Gen 13 2015

OPPEANO CITTA’ CARDINE DELLA CIVILTA’ PALEOVENETA

OPPEANO CITTA’ CARDINE DELLA CIVILTA’ PALEOVENETA 

Ciclo di incontro culturali dedicati alla Civiltà Paleoveneta

presentati dall’Assessore alla Cultura Emanuela Bissoli,

a cura di Luigi Pellini

 

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Gen 12 2015

LA MAPPA DEI DIALETTI ITALIANI

 

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Tanti dialetti in un paese che sta riscoprendo gli idiomi locali, non più come lingue esclusive, ma come strumento espressivo aggiuntivo.

 

 

Paese dei campanili e dei frammenti orgogliosi di sé, l’Italia porta ancora oggi nei suoi dialetti la storia di una terra che da centro dell’Europa è diventata crocevia di culture diverse.

Dopo oltre un secolo e mezzo di unità, i dialetti resistono a testimonianza della ricchezza culturale del nostro paese e della provenienza delle sue genti che, stando ad uno studio condotto alla Sapienza di Roma, hanno contribuito a fare dell’Italia il paese geneticamente più eterogeneo d’Europa. A ciò si aggiungono le caratteristiche morfologiche del nostro paese, le cui barriere naturali nei tempi antichi hanno contribuito a caratterizzare culturalmente le comunità locali.

 

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Secondo la più recente indagine dell’Istat sull’argomento, datata 2006, diminuisce progressivamente l’uso esclusivo del dialetto, mentre aumenta il numero di coloro che in casa o con gli amici parla un misto di lingua locale e nazionale. Considerate le variabili di sesso, età e titoli di studio, parlano maggiormente il dialetto gli uomini, le persone anziane e quelle incolte. Geograficamente, invece, il dialetto è più diffuso nel Sud Italia e nel Nord Est.

Ciò che però risulta più interessante è, come venne osservato sul magazine Treccani, il fenomeno di progressivo sdoganamento del dialetto, che non è più percepito come lingua del ghetto e degli emarginati, ma come conoscenza che, arricchendo, è utile acquisire.

 

La maggior parte degli idiomi diffusi in Italia è di provenienza romanza, ma neLle zone di confine sono diffuse anche lingue germaniche (il tedesco nel Triveneto) e slave (Trieste, Gorizia e Udine). Minoranze diffuse nel Sud Italia portano ulteriore ricchezza linguistica al paese parlando idiomi greci (Salento e Calabria), albanese ed indo-arii (il romanì di sinti e rom).

 

 

Fonte: visto su SCIENZE FANPAGE del 1 luglio 2014

Link: http://scienze.fanpage.it/la-mappa-dei-dialetti-italiani/

 


Gen 11 2015

ECCO DOVE DANTE AVEVA MESSO MAOMETTO

Category: Cultura e dintorni,Religioni e rasiegiorgio @ 11:14

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C’è una satira anti-Maometto più feroce di quella di Charlie Hebdo. Circola liberamente in Europa e non solo da secoli. A scriverla fu uno dei più grandi scrittori della storia dell’Occidente. E la si studia anche in tutte le scuole. Mette il profeta musulmano e Alì, suo cugino, genero e successore come Califfo, nientemeno che all’inferno, nel canto XXVIII dedicato ai seminatori di discordia. Lui, l’anti-Maometto, è nientemeno che Dante e l’opera è la Divina Commedia. In cui Maometto viene messo nella bolgia più “sozza” che si possa immaginare, piena di corpi mutilati e orrendamente sfigurati.

 

C’è che secondo le convinzioni dell’epoca, condivise evidentemente da Dante, l’islam era il risultato di uno scisma nell’ambito della cristianità: come riporta il Corriere della Sera, il cardinale o monaco Maometto, amareggiato per non aver conseguito il papato, avrebbe fondato una nuova dottrina. Per questo Dante lo immagina nella nona bolgia, squarciato dal mento all’ano, “infin dove si trulla” (ovvero dove si scorreggia). Alì con la faccia spaccata dal mento alla fronte. Questo perchè, secondo Dante, i seminatori di discordia nell’aldilà erano condannati a subire il contrappasso adeguato, soffrendo nel loro corpo le stesse mutilazioni di cui sono stati artefici in vita.

 

Fonte: visto su Libero Quotidiano.it del 10 gennaio 2015-01-10

Link: http://www.liberoquotidiano.it/news/esteri/11740978/Dante-aveva-gia-capito-tutto-.html

 


Gen 08 2015

IL CRISTIANESIMO HA DATO DIGNITÀ A DONNE E BAMBINI

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Tutti oggi consideriamo «naturale» che donne e bambini abbiano diritti inviolabili equiparabili a quelli degli uomini, e che non possano essere proprietà di nessuno e da nessuno sacrificabili. Pochi sanno e tanti non vogliono sapere, tuttavia, che essi sono un dono della civiltà cristiana.

 

Anzi, come ha concluso dopo anni di studio uno dei più importanti sociologi delle religioni, Rodney Stark, docente di Scienze Sociali presso la Baylor University del Texas, le cause dell’incredibile aumento del numero dei cristiani dall’anno 40, in cui erano 1000, al 350 quando arrivarono a 32 milioni sono -oltre che l’attenzione e la cura per il prossimo- proprio per l’attenzione, la stima, il rispetto e la protezione che i cristiani praticavano nei confronti delle donne. Esse infatti, come vedremo, godevano di uno status più alto rispetto alle donne del mondo greco-romano, avevano rispetto e venivano equiparate all’uomo (R. Stark, “Le città di Dio. Come il cristianesimo ha conquistato l’impero romano”, Lindau 2010). La cristianità si sviluppò all’interno dell’impero romano non solo in virtù della forza della sua dottrina, ma anche perché riuscì a creare delle isole di stabilità, di protezione, di dignità per donne e bambini, all’interno delle rigide barriere etniche e di classe presenti nella società ebraica e romana.

 

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Gen 07 2015

IL MEDIOEVO VALORIZZÒ LA DONNA, L’ILLUMINISMO LA CHIUSE IN CASA

Category: Cultura e dintorni,Storia e artegiorgio @ 00:31

 

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Augurandovi nuovamente buon 2015 avviamo l’attività di quest’anno infinitamente grati al Signore per quanto ci ha dato nel 2014. Si riparte dunque, buon cammino a tutti!

 

Certamente il Medioevo fu il periodo storico in cui la Chiesa poté esercitare la sua massima influenza sulla società ed è da questa evidenza che si giustifica la leggenda nera dei “secoli bui”, creata dai sedicenti “illuministi” dell’800. Ancora oggi resiste l’esclamazione del “torniamo al medioevo” quando qualcosa non gira per il verso giusto.

 

Eppure, fior di storici hanno dedicato la loro vita a smontare questo antistorico pregiudizio, primo fra tutti l’agnostico Jacques Le Goff, secondo il quale addirittura non è mai esistito il Rinascimento, poiché si è trattato semplicemente di un lungo Medioevo, dal VI al XVII secolo.

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Dic 30 2014

LE NOTTI PIÙ LUNGHE DELL’ANNO. SATURNALIA

 

Alfredo Cattabiani – Scrittore e saggista

 

Nel periodo presolstiziale si celebravano nell’antica Roma i Saturnalia, la ricorrenza più festosa dell’anno. Gli schiavi erano temporaneamente liberi, venivano scambiati doni, si eleggeva una specie di re di burla. Tale festa in onore del dio Saturno, segnava la fase di passaggio tra il vecchio e il nuovo anno, tra il sole che muore ed nuovo che deve rinascere.

 

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Combattimento simbolico fra il carnevale (metà sinistra del quadro) e la quaresima (metà destra), di P. Bruegel il Vecchio (1559).

 

 

Il tempo che precede il solstizio d’inverno e le feste ad esso collegate, dal Natale al Capodanno, è un periodo di passaggio tra il vecchio e il nuovo anno, tra il sole che sta morendo e il nuovo che deve “risorgere”. La Chiesa ha trasformato questo periodo con la liturgia dell’Avvento, che consta di quattro domeniche, simboli dei 4.000 anni mitici di attesa del Messia dopo la Caduta originale. Il carattere dell’Avvento è duplice: di penitenza, che si esprime con il carattere violaceo delle paramenta, la proibizione dei fiori sull’altare e del suono dell’organo, la soppressione del Gloria in excelsis e del Te Deum; e di un santo “entusiasmo”, di un intenso desiderio della venuta del Messia, espresso nei numerosi Alleluia. Ma la liturgia cristiana non è se non un velo sovrapposto a una sequenza di riti che ancor oggi riaffiorano, pur stravolti, nell’ambito delle feste natalizie e di fine anno.

 

Per orientarci meglio in questi meandri, dove convivono residui mitici e rituali di epoche diverse, occorre cominciare dal calendario.

 

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Dic 28 2014

LE FESTE SOLSTIZIALI. I 12 GIORNI MAGICI, DA NATALE ALL’EPIFANIA

 

Alfredo Cattabiani – Scrittore e saggista

 

Il sole di Capodanno  

Le dodici notti che vanno dal Natale all’Epifania, oltre a rappresentare i dodici mesi dell’anno, sono intrise di simbolismi. Dall’antichità ad oggi, gli usi e i costumi dei popoli europei che celebrano in queste notti il rinnovamento del cosmo.

 

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Allegoria del solstizio invernale, da Nuova Iconologia del Cavalier Ripa Cesare Perugino (Padova 1611).

 

Le feste natalizie erano nella Roma imperiale feste del solstizio, del nuovo sole che rinasceva dopo la morte simbolica, risalendo verso il nord dopo aver toccato il punto più basso con l’entrata nella costellazione del Capricorno. Anche il nuovo anno legale cominciava in quei giorni, alla Kalendae Januarii nel periodo immediatamente posteriore al solstizio che, come si è accennato nell’articolo precedente, (vedi Abstracta n. 9) veniva convenzionalmente fissato al 25 dicembre per seguire la tradizione dei Romani più antichi che, poco esperti in astronomia, si erano fidati dei propri occhi.

 

Prima di cominciare l’anno – scriveva l’Imperatore Giuliano nel discorso su Elio Re – noi diamo in onore di Elio giochi magnifici, solennità consacrate a Elio Invincibile. … Ah! si degnino gli dèi sovrani di permettermi di celebrare sovente questi misteri, e che il sovrano stesso dell’universo, Elio il primo, mi accordi questo favore! Sorto da tutta l’eternità intorno all’essenza feconda del Bene, mediatore fra gli dèi intelligenti, essi stessi mediatori, Egli ne assicura pienamente la continuità, la bellezza senza limiti, l’inesauribile fecondità, l’intelligenza perfetta, e li dota abbondantemente di tutti i beni atemporali[X].

 

La festa del Sole era diventata il culto più importante in Roma verso la fine del III secolo per l’influenza delle tradizioni orientali.

 

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Dic 26 2014

LA “MADONNA NERA” DI CHARTRES NON È PIÙ NERA

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(La madonna nera prima e dopo il restauro)

(foto via http://www.nybooks.com/)

 

Sta creando un certo scalpore il restauro – ormai in fase molto avanzata – della Cattedrale di Chartres. L’allarme è stato lanciato qualche giorno fa dallo storico dell’architettura Martin Filler, che dalle colonne della sua rubrica sulThe New York Review of Books ha denunciato la pulitura troppo aggressiva cui sono sottoposti l’edificio e le sue sculture (A Scandalous Makeover at Chartres), seguito a ruota da ArtWatch Uk, rivista online che da sempre sostiene l’inopportunità di intervenire sulle opere d’arte se non con intenti esclusivamente conservativi. Per la verità alcuni dubbi erano stati avanzati già nelle prime fasi del cantiere, sempre da parte anglo americana: si veda ad esempio l’articolo Restoration Tragedy uscito su The Spectator nel maggio 2012. Non riesco invece a rintracciare in rete pareri francesi sul tema.

Nonostante le reprimende di ArtWatch si basino su posizioni in gran parte ideologiche e risultino perciò spesso irrazionali ed eccessivamente intransigenti, in questo caso risulta difficile non restare a bocca aperta di fronte all’invadenza dell’intervento e all’inappropriatezza delle tinte da torta Saint Honoré utilizzate.

 

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(La madonna nera di Chartres prima del restauro)

http://www.eurogrille.fr/)

 

La manomissione più sconvolgente però è quella subita dalla celebre scultura della “Vierge noire” della Cattedrale, completamente sbiancata e ridotta ad una rosea bambola di biscuit (altre info su Art History News). Per rendersi conto della diffusione e dell’importanza storica del culto di questo tipo di immagini sacre – e quindi dell’assurdità di questa scelta – è sufficiente dare un’occhiata al ricco database Nigra Sum, nato dal convegno internazionale tenutosi nel 2010 a Oropa o leggerne gli atti, disponibili a questo link.

 

 

Fonte: visto su CONTROCORRENTE di venerdì 10 dicembre 201$

Link: https://controcorrentearte.wordpress.com/2014/12/19/la-madonna-nera-di-chartres-non-e-piu-nera/

 


Dic 20 2014

SMASCHERARE LE FALSITÀ ISLAMICHE. BASTA LEGGERE

Category: Cultura e dintorni,Islam,Monolandia,Storia e dintornigiorgio @ 00:15

 

la vittoria dello occidente

 

 

 

di REDAZIONE

 

 

Dal libro “La vittoria dell’Occidente”, di Rodney Stark.

 

(Capitolo SMASCHERARE LE FALSITÀ ISLAMICHE. Falsità sulla cultura islamica – pag. 451)

 

Per molto tempo è stata opinione indiscussa e indiscutibile che, mentre l’Europa arrancava attraverso i «Secoli Bui», nell’islam fiorivano scienza e cultura (Goldstone, 2009; Saliba, 2007).

Il celebre storico Bernard Lewis azzardò questa opinione quando scrisse che l’islam «all’epoca aveva raggiunto il più alto livello della storia umana nelle arti e nelle scienze» e che intellettualmente «l’Europa medievale era un’alunna e in un certo senso dipendente dal mondo islamico» (2002, p. 6).

Poi però, sosteneva Lewis, improvvisamente gli europei cominciarono a progredire «per salti e balzi, lasciandosi alle spalle l’eredità scientifica, tecnologica e infine culturale del mondo islamico» (Lewis, 2002, p. 7).

Di qui la domanda che Lewis poneva nel titolo del suo libro: What Went Wrong? (Cos’è andato storto?)

 

Non è andato storto proprio niente. La convinzione che un tempo la cultura mussulmana fosse superiore a quella europea è, nella migliore delle ipotesi, un abbaglio.

Chiedersi cosa sia andato storto è come chiedersi perché la Spagna sia crollata, quando di fatto il crollo dell’impero spagnolo ha rivelato che la Spagna non aveva mai conosciuto un’ascesa, ma era sempre rimasta un’arretrata società medievale. Lo stesso vale per l’islam.

 

CULTURA «DHIMMI»

 

Un dhimmi “Gente della dhimma“,  era un suddito non-musulmano di uno Stato governato dalla shari’a: la legge islamica. Con Dhimma si intende un “patto di protezione” contratto tra non musulmani e un’autorità di governo musulmana. Lo status di dhimmi era in origine riferito solo all’Ahl al-Kitab (“Gente del Libro”), cioè ebrei e cristiani, ma in seguito anche zoroastriani, mandei e infine agli indù, ai sikh e ai buddhisti.

 

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Dic 07 2014

DIETRO LE QUINTE LIBRARIE: CIÒ CHE NON SVELA UNO SCHIAVO LETTERARIO

Category: Cultura e dintorni,Media e informazionegiorgio @ 00:03

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Non è un segreto che molti libri di famosi autori siano stati scritti da un’intera squadra di scrittori a pagamento, i quali sotto la benedizione di Dumas-padre furono battezzati “nègre littéraire“. La loro professione gli obbliga a celare il proprio nome, ma un fantasma del pennino che si nasconde dietro le iniziali K.V. ha raccontato a La Voce della Russia la propria vita.

 

– Qual è stato l’inizio della Sua carriera come “fantasma” letterario?

– All’epoca mio figlio era piccolo, si ammalava spesso e io non ero compatibile con il lavoro in ufficio. Ero in cerca di un’opportunità di lavoro da casa. Tramite un annuncio trovato sulla Rete ho conosciuto una committente che pensava di scrivere un romanzo. Aveva definito perfino una breve trama, erano stati fatti piccoli abbozzi, ma non aveva sufficiente maestria per dare il tocco finale a tutto quanto. Ci siamo incontrate, ci siamo piaciute e io mi sono messa all’opera. Quando il romanzo era finito, la committente l’ha spedito a una casa editrice e qualche tempo dopo ha firmato un contratto per una serie di romanzi, uniti da movente e atmosfera comuni. E la cosa è andata avanti. Tutti i libri seguenti bisognava inventare di sana pianta.

 

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Nov 28 2014

PERCHÉ NON INSEGNANO AI NOSTRI FIGLI LA STORIA LOCALE?

Category: Cultura e dintorni,Società e politicagiorgio @ 00:15

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di Diana Ceriani

 

Ragionate con me: nelle Scuole si insegna la grande storia, quella degli eroi, e dei farabutti, quella delle guerre, le vittorie e le tremende sconfitte, quella delle rinascite, delle carestie, degli infiniti errori politici e delle grandi idee sviluppate o spesso dimenticate.

Nelle Scuole, quindi, si insegna solo il lato eclatante della vita, il comportamento di pochissimi individui su milioni di individui che invece la storia l’hanno subita, senza possibilità di scelte e decisioni.

Chi studia questo tipo di storia non capirà mai il perché e come siamo arrivati fino ad oggi, e, questo tipo di storia, non svelerà mai tra le sue righe le implicite soluzioni ai secolari problemi che l’essere umano ha trasportato, suo malgrado, subendo le scelte degli eroi e anche dei farabutti.

 

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Set 26 2014

ORIANA FALLACI E L’ISLAM: LA PROFEZIA SULL’ISLAM FANATICO, GLI INSULTI DELLA SINISTRA, I PROCESSI: “MI VOGLIONO MORTA PERCHÉ DICO LA VERITÀ”.

 

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Il testo di cui oggi iniziamo la pubblicazione – per gentile concessione di Edoardo Perazzi, nipote e erede della Fallaci – è quello di un discorso pronunciato da Oriana Fallaci nel novembre del 2005. La grande toscana fu insignita del Annie Taylor Award, un premio conferito dal Centro Studi di cultura popolare di New York. Il suo discorso, in versione integrale inglese, fu pubblicato pochi giorni dopo da Il Foglio. Poi, il primo dicembre del 2005, Libero ne pubblicò la versione italiana, col permesso della stessa Fallaci, che volle rivederne personalmente la forma (modificandola tramite memorabili telefonate con l’allora responsabile delle pagine culturali Alessandro Gnocchi). Abbiamo deciso di ripubblicare questo testo perché pensiamo che oggi, a quasi dieci anni di distanza, sia più attuale che mai. 


 

Bé: un premio intitolato a una donna che saltò sopra le Cascate del Niagara, e sopravvisse, è mille volte più prezioso e prestigioso ed etico di un Oscar o di un Nobel: fino a ieri gloriose onorificenze rese a persone di valore ed oggi squallide parcelle concesse a devoti antiamericani e antioccidentali quindi filoislamici. Insomma a coloro che recitando la parte dei guru illuminati che definiscono Bush un assassino, Sharon un criminale-di-guerra, Castro un filantropo, e gli Stati Uniti «la-potenza-più-feroce, più-barbara, più-spaventosa-che-il-mondo-abbia-mai-conosciuto». Infatti se mi assegnassero simili parcelle (graziaddio un’eventualità più remota del più remoto Buco Nero dell’Universo), querelerei subito le giurie per calunnia e diffamazione. Al contrario, accetto questo «Annie Taylor» con gratitudine e orgoglio. E pazienza se sopravvaluta troppo le mie virtù.

 

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Set 22 2014

IL DIALETTO RINASCE PERCHÉ NON È MAI MORTO

Category: Cultura e dintornigiorgio @ 00:07

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di Paolo Di Stefano – (29/12/2013)

 

Corriere della Sera

 

 

«Fra le altre tragedie che abbiamo vissuto (…) in questi ultimi anni, c’è stata anche la tragedia della perdita del dialetto, come uno dei momenti più dolorosi della perdita della realtà».

Con questo grido di dolore Pier Paolo Pasolini, nel 1964, decretava come avvenuta la morte delle parlate dialettali a vantaggio di un italiano medio «tecnologico», modellato a misura della società neocapitalistica.

Italo Calvino, assumendo in polemica con lui un punto di vista decisamente più «moderno», scrisse che l’italiano si giocava il suo futuro in rapporto alle lingue straniere e che gli scambi con il dialetto erano superati: la nostra lingua nazionale doveva porsi un problema di traducibilità. Cinquant’anni dopo, chi dei due aveva ragione? Pasolini o Calvino?

Probabilmente né l’uno né l’altro, se è vero che entrambi davano per spacciato il dialetto (Pasolini con angoscia, Calvino forse con sollievo), mentre il dialetto anzi i dialetti, al plurale, resistono e si rinnovano. Si rinnovano mescolandosi con l’italiano. Del resto, le lingue, come i popoli, sopravvivono solo se sanno rinnovarsi, cioè mescolarsi.

 

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Set 07 2014

COME PREVEDEVANO IL TEMPO I NOSTRI NONNI?

Category: Cultura e dintorni,Geografia e ambientegiorgio @ 00:00

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Barometro a corda

 

 

Come prevedevano il tempo i nostri nonni?

 

In questo articolo vi racconto i metodi che si usavano per le previsioni meteo anni fa e, in alcuni casi, ancora oggi.

Per utilizzarne alcuni è necessario avere molto spirito d’osservazione,solo cosi se ne possono trarre risultati soddisfacenti.

Alcuni sono inapplicabili in città ma molti, invece, si possono utilizzare ovunque.

Tutti o quasi sappiamo che quando le rondini volano basse è indice di maltempo. In realtà, non sono le rondini a sentire il cambiamento atmosferico, ma le miriadi di moscerini che si avvicinano al suolo sentendo l’avvicinarsi di un temporale. E le rondini li seguono.

Ma vediamo di descrivere questi segni ed il significato che la tradizione attribuisce loro.

 

 

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Set 05 2014

LA TRADIZIONE DEL FURTO DELLA SPOSA: UNA LETTURA MULTIDISCIPLINARE

Category: Cultura e dintorni,Storia e artegiorgio @ 00:03

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Nicolas Poussin, Il ratto delle Sabine

 

 

A. NORSA – A. BRUGNOLI – F. CORTELLAZZO – G. MORTARO – A. RIDOLFI

 

1. INTRODUZIONE

Il “furto della sposa”, consolidata tradizione presente in tutte le vallate ladine, è un rito che i giovani del paese, invitati alle nozze, compiono il giorno stesso, abitualmente dopo la celebrazione del matrimonio. Il rituale si ritrova, con similitudini e differenze, oltre le catene montuose anche in altri luoghi più o meno distanti, di diverse culture e religioni e affonda le sue radici nella notte dei tempi, laddove si perdono le documentazioni ed iniziano le interpretazioni.

 

Il presente lavoro è la sintesi di cinque diverse prospettive inerenti il tema proposto, frutto di altrettanti professionisti della Frazer Association for Anthropological Research, associazione che da alcuni anni è impegnata nell’indagine e raccolta di testimonianze nel settore etnoantropologico, competenti in diverse discipline: antropologia, medicina e psicologia, religione, storia ed educazione.

 

Il contributo sarà quindi introdotto da una disamina del rito nelle vallate ladine, continuerà con una lettura dal punto di vista antropologico-sociale, per rintracciare poi una continuità con i testi classici, evidenziandone significative presenze anche nei sacri testi della fede cristiana ed infine con la presenza, più o meno manifesta o mascherata dal simbolo, nel mondo delle fiabe.

Faranno da cornice al lavoro i concetti di esogamia ed endogamia, legami costanti dei diversi contributi.

 

 

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