Ago 11 2017

GARIBALDI, BEZZECCA. QUELLA VITTORIA PATRIOTTARDA DECANTATA DAGLI ITALIANI

Giuseppe Garibaldi a cavallo, campagna del trentino (Giulio Carlin)

 

 

La retorica patriottarda italiota pretende di far passare come una vittoria strepitosa quanto è accaduto a Bezzecca (Tn) il 21/7/1866 protagonista il “nostro”, anzi il “loro” Giuseppe Garibaldi. 
Sentiamo come descrive l’episodio Gilberto Oneto sul suo “L’iperitaliano”, pagina 212 :  
“Il 13 luglio Garibaldi è a Storo, diretto alla Val Chiese. Il 16 viene respinto da Cimego. Occupa il forte di Ampola e, poi, il paese di Bezzecca. Qui il 21 luglio viene attaccato da Kuhn (generale austriaco n.d.a.), che mette in fuga i garibaldini. Garibaldi riesce a fatica a riorganizzare i suoi reparti, evitando una rotta disastrosa grazie soprattutto al fatto che gli avversari sono a corto di uomini e che si contentano dell’obiettivo raggiunto di rallentare l’avanzata nemica.
Quella che viene descritta come la sola vittoria italiana della guerra, in realtà è stata una beffa giocata da 4.000 austriaci discesi arditamente da alcuni passaggi scoscesi a 8-10.000 garibaldini. Garibaldi ha pagato questa vittoria mediatica con la perdita di 2.382 uomini contro 188 austriaci.
Il 10 agosto La Marmora lo toglie d’impaccio inviandogli l’ordine di rientrare. Garibaldi risponde con un laconico telegramma che è diventato un sacro orpello del patriottismo italiano. “Ho ricevuto il dispaccio n. 1073. Obbedisco”. Avrebbe fatto meglio ad aggiungere. “Meno male!”. A Trento non sarebbe mai arrivato: sono troppe le sue perdite, troppe forte è la difesa guidata dal generale Kuhn.”

 

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Giu 21 2017

IUS SOLI? I ROMANI NON SAPEVANO COSA FOSSE. COSÌ SI DIVENTAVA CITTADINI NELL’URBE

Foro Augusteo  

 

 

Di Adriano Scianca – 15 giugno 2017

 

Roma, 15 giugno – Non c’è marchetta all’immigrazione che non tiri in ballo Roma, la “aperta”, “tollerante”, “colorata” Roma, contrapposta alla chiusura delle polis greche.

 

È vero che, a differenza di queste ultime, l’Urbe non conobbe mai mito dell’autoctonia. Da qui a farne l’antesignana della società multirazziale ce ne passa.

 

Proprio il dibattito sullo ius soli è, a questo riguardo, interessante. Come si diventava cittadino, a Roma? Ha scritto Eva Cantarella (pur aggiungendo in seguito le frasi di prassi sui romani come campioni dell’assimilazione): “Back to the Romans, quindi, torniamo ai romani. Per i quali la soluzione era chiara: la cittadinanza si acquistava iure sanguinis.

 

Come scriveva il giurista Gaio, nel II secolo d. C., nel suo celebre manuale di Istituzioni, erano cittadini romani i figli legittimi di un cittadino, ovvero quelli naturali di una cittadina. La regola, infatti, voleva che i figli nati da un matrimonio legittimo seguissero la condizione del padre al momento del concepimento, e che quelli nati fuori del matrimonio seguissero la condizione della madre al momento della nascita”.

 

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Giu 14 2017

L’UNITA’ CHE HA SEPOLTO I VALORI UNIVERSALI DELLA CIVILTA’ ITALIANA

Category: Italia storia e dintornigiorgio @ 01:26

 

FEDOR DOSTOEVSKIJ SULL’UNITA’ D’ITALIA.

 

Per duemila anni l’Italia ha portato in sé un’idea universale capace di riunire il mondo, non una qualunque idea astratta, non la speculazione di una mente di gabinetto, ma un’idea reale, organica, frutto della vita della nazione, frutto della vita del mondo: l’idea dell’unione di tutto il mondo, da principio quella romana antica, poi la papale.
I popoli cresciuti e scomparsi in questi due millenni e mezzo in Italia comprendevano che erano i portatori di un’idea universale, e quando non lo comprendevano, lo sentivano e lo presentivano. La scienza, l’arte, tutto si rivestiva e penetrava di questo significato mondiale.

 

Ammettiamo pure che questa idea mondiale, alla fine, si era logorata, stremata ed esaurita (ma è stato proprio così?) ma che cosa è venuto al suo posto, per che cosa possiamo congratularci con l’Italia, che cosa ha ottenuto di meglio dopo la diplomazia del conte di Cavour?

 

È sorto un piccolo regno di second’ordine, che ha perduto qualsiasi pretesa di valore mondiale, […] un regno soddisfatto della sua unità, che non significa letteralmente nulla, un’unità meccanica e non spirituale (cioè non l’unità mondiale di una volta) e per di più pieno di debiti non pagati e soprattutto soddisfatto del suo essere un regno di second’ordine.

 

Ecco quel che ne è derivato, ecco la creazione del conte di Cavour!”

 

 

Fonte: Fëdor Michajlovic’ Dostoevskij, Diario di uno scrittore, ed. it. a cura di Ettore Lo Gatto, Sansoni, Firenze 1981, 1877, Maggio-Giugno, capitolo secondo, pp. 925-926

 


Apr 30 2017

DON DOMENICO MERCANTE, IL PRETE FUCILATO DAI TEDESCHI IL 27 APRILE 1945 –

Don Domenico Mercante 

 

 

IL 27 APRILE 2017, 72° ANNIVERSARIO DALLA MORTE DI DON DOMENICO MERCANTE – GIAZZA (LJETZAN) –

 

 

RICOSTRUZIONE STORICA DEI FATTI

 

Nelle ultime giornate dell’aprile 1945, a Giazza nell’alta Valle d’Illasi, c’era, ad ogni ora, gente sulla piazza che osservava il passaggio di reparti tedeschi in fuga verso i valichi alpini. Con l’appoggio di massicce incursioni aeree che frantumavano sotto una valanga di ferro e di fuoco ogni resistenza le colonne corazzate americane e inglesi, superato il Po, dilagavano ora in Lombardia. È il momento del crollo definitivo del fronte tedesco, e chi può, fugge verso il Nord.
Il 27 aprile, di buon mattino, è in marcia verso Giazza una compagnia germanica di circa cento uomini formata, in prevalenza, di paracadutisti e carristi e da alcuni elementi delle SS. È bene armata e vuole raggiungere Passo Pertica per scendere ad Ala, in Val d’Adige.

 

Una formazione partigiana, nascosta nella zona, intende fermarla alle porte di Giazza e disarmarla. Avvertito che in questo modo un grave pericolo incombe sul paese, il parroco di Giazza, don Domenico Mercante, accompagnato da un brigadiere della milizia forestale, si fa incontro ai due gruppi, per convincere i partigiani a non provocare i tedeschi in ritirata e per invitare i tedeschi a non fare del male alla pacifica popolazione. In testa alla compagnia vi sono due ufficiali che ascoltano i due “parlamentari” senza tuttavia dare alcun peso alle loro spiegazioni. A conoscenza che nella zona operano partigiani, obbligano i due a mettersi in cammino davanti ai soldati per farsi scudo con loro contro un improvviso attacco nemico. In particolare tengono d’occhio don Mercante, ostaggio prezioso che può assicurare loro via libera.

 

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Mar 20 2017

RISORGIMENTO… LE RADICI DELLA VERGOGNA

 

 

Il Risorgimento: uno stupro. Un atto violento, arbitrario, malcondotto, che ha generato i mostri che oggi attanagliano il nostro paese. Un atto vergognoso che ha generato vergogna.

Il grido di dolore di un’Italia fatta nascere con la forza. Di un’Italia costruita sull’oblio delle identità e delle tradizioni, contro la sua natura e la sua volontà. Il grido di dolore di una grande nazione “idea universale capace di riunire il mondo”, che si è fatta piccolo stato. Il grido di dolore di un’Italia che vuole risorgere.

 

L’Italia è una nazione? O è vera la celebre espressione irrisoria del Metternich che la riduceva piuttosto a mera “espressione geografica”?

 

Il senso del nostro paese è indubbiamente cambiato dopo che, poco più di 150 anni fa, lo si è voluto ad ogni costo far diventare uno stato unitario. È cambiato, ma non come forse ci si aspettava. L’espressione del Metternich a ben guardare è più adatta all’Italia di oggi che non a quella di ieri.

 

L’Italia dei piccoli stati e delle sue molte capitali primeggiava per cultura, arte, mecenatismo. Era formata da tanti centri vitali, indipendenti, custodi di tradizioni antiche e diversissime tra loro. E poteva essere definita una nazione, quantomeno in virtù di una dimensione culturale e religiosa che le veniva universalmente riconosciuta.

 

Gli italiani non hanno mai avvertito un orgoglio nazionale inteso in senso politico. Velleità espansionistiche, brama di potere non erano aspirazioni diffuse, perché «l’unica cosa che li interessava era quello che avrebbe potuto dar loro un certo valore agli occhi degli altri, quello che avrebbe conferito loro un significato universale» spiegava il filosofo Vladimir Solovev nella sua opera La giustificazione del bene. E Dostoevskij, riconoscendo all’Italia un ruolo di grande nazione culturale, denunciava come, dopo l’opera unificatrice di Cavour, un «piccolo regno di second’ordine» avesse preso il posto di una grande «idea universale capace di riunire il mondo».

 

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Mar 08 2017

ANGELINA ROMANO, LA BRIGANTESSA DI 9 ANNI FUCILATA DAGLI ITALIANI

Category: Italia storia e dintorni,Regno delle Due Siciliegiorgio @ 00:22

 

 

 

di ETTORE BEGGIATO

 

Nel giorno della donna mi sembra giusto ricordare ANGELINA ROMANO di anni 9, di Castellammare del Golfo (Trapani) barbaramente ammazzata dai liberatori del Regio Esercito Italiano il 3 gennaio 1862.

 

Era passato solo qualche mese dalla proclamazione del Regno d’Italia quando furono emanate delle disposizioni che obbligavano alla coscrizione (naja) tutti i giovani nati a partire dal  1840 per una durata di 6 (sei) anni e così la folla inferocita scese in piazza nell’ex Regno delle Due Sicilie.

 

 

A Castellammare del Golfo il 2 gennaio 1862 la folla assaltò il Commissariato di leva in aiuto del quale fu mobilitato un battaglione dei Regi Bersaglieri; la folla si disperse ma in sei furono catturati e fucilati, fra di loro il prete del paese, don Benedetto Palermo di 43 anni.

 

Alla fine dell’esecuzione nella piazza del paese si sentì piangere una bambina, Angelina Romano; ha appena nove anni ed è terrorizzata come può essere una bambina della sua età che ha assistito a tanta malvagità, a tanta violenza. Ma la legge dei conquistatori venuti da lontano  non ammette né pietà né deroghe e la piccola Angelina viene messa al muro e giustiziata: doveva essere proprio una temibile brigantessa.

 

Angelina Romano

 

Peccato che di Angelina  non ci sia traccia né nella “storia” ufficiale di quella repubblica italiana che è l’erede legittima di chi si macchiò di tanti eccidi,  né nella “storia” del movimento femminista che evidentemente deve ricordare e omaggiare altre donne più “in linea” con la storia  italiana.

 

 

Ma per fortuna c’è anche chi, come il comune di Lamezia Terme  si è ricordato dell’eccidio di Angelina Romano e Le ha recentemente dedicato una via, sostituendo  la precedente intitolazione  al generale Cialdini proprio il   protagonista di tanti e tanti eccidi compiuti dal Regio Esercito Italiano  nel meridione.  E sarebbe bene ricordare la piccola Angelina sui banchi di scuola, quella scuola che Lei non ha potuto frequentare.

 

Ettore Beggiato

 

Fonte: srs di Ettore Beggiato, da miglioverde del 7 marzo 2017

Link: http://www.miglioverde.eu/angelina-romano-la-brigantessa-di-9-anni-fucilata-dagli-italiani/

 


Gen 15 2017

BATTAGLIA DI CUSTOZZA, 26 GIUGNO 1866: L’ULTIMA VITTORIA DELLL’ESERCITO AUSTRO-VENETO

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16 GIUGNO – La Prussia dichiara guerra all’Austria e passa la frontiera.

In contemporanea dovrebbero muoversi anche gli italiani, almeno così era stato concordato in un sommario piano strategico.

 

17 GIUGNO – La Marmora lascia Firenze dopo che si è incontrato con Cialdini, per portarsi sul Mincio a compiere il primo attacco diversivo.

 

18 GIUGNO – Lo Stato Maggiore che ha già preparato la dichiarazione di guerra e la sta consegnando all’Austria, viene fermato dal Re. La vuole ritardare di due giorni. I Prussiani non capiscono perché.

 

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Dic 15 2016

10 GIUGNO 1940: LA DICHIARAZIONE DI GUERRA DI BENITO MUSSOLINI

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Benito Mussolini, 10 giugno 1940

 

 

Riporto il testo integrale dell’annuncio della dichiarazione di guerra fatta da Benito Mussolini  il 10 giugno 1940.

 

Sempre assistiamo allo stralcio iniziale e finale di tale discorso.  Chi legge attentamente può capire anche le motivazioni date a questa decisione, che affrontano le grandi tematiche dello sfruttamento dei ricchi sui poveri. Spesso il  testo del discorso non è mai riportato integralmente, proprio per far in maniera che non si possa capire.

 

Benito Mussolini, annuncia al popolo acclamante di aver dichiarato guerra alla Gran Bretagna e alla Francia.  In mezzo alle promesse di futura vittoria, abbonda in Piazza Venezia l’esaltazione di una folla eccitata.   Questa decisione segnerà la fine del fascismo in una tragedia immane conclusa con una guerra fratricida: fra macerie e sangue.

Il fascismo fu in ogni  caso una vera rivoluzione,  ma come disse Giustino Fortunato,  anche una rivelazione, la rivelazione del carattere servile e ottuso del popolo italiano.

 

 

 

Combattenti di terra, di mare e dell’aria.

 

Camicie nere della rivoluzione e delle legioni.

 

Uomini e donne d’Italia, dell’Impero e del Regno d’Albania.

 

Ascoltate! (Acclamazioni)

 

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Dic 02 2016

SUD ARRETRATO ANCHE PRIMA DELL’UNITÀ. IL RISORGIMENTO È UNA MITOLOGIA DA SFATARE!

Category: Italia storia e dintorni,Regno delle Due Siciliegiorgio @ 05:06

 

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di ROMANO BRACALINI

 

Un lettore di origini calabresi, Franco Scarola, residente in Brasile, scrive a Mario Cervi del Giornale che i suoi genitori furono costretti a lasciare la loro terra che, essendo “nelle mani degli antichi i baroni”, dava poche speranze di vita. Terre, scrive ancora il lettore, in cui vigeva il feudalesimo, i contadini non contavano nulla ed erano costretti all’emigrazione, mentre l’Europa era avviata verso la modernità.

La lettera si chiude con la domanda: perché mai personaggi come Garibaldi, Vittorio Emanuele II, Cavour e Mazzini, i cui nomi si trovano nelle principali piazze e vie d’Italia, sono onorati dal popolo che da loro è stato sfruttato e massacrato?

Finalmente un lettore meridionale che non ci rifila la solita solfa di un Sud prospero e ricco prima che venissero i “piemontesi” a depredarlo. Non può essere né evoluto né ricco un paese rimasto feudale fino al 1860 e dove l’economia era basata sul latifondo.

Del resto una monarchia vincente come quella sabauda non poteva non glorificare nelle piazze gli uomini che si erano battuti per la causa italiana. Perfino Mazzini, condannato due volte a morte in contumacia dai Savoia, entrò nel Pantheon degli eroi.

 

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Nov 13 2016

ITALIANI BRAVA GENTE?

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L’ultimo libro di Angelo Del Boca

 

 

IL FALSO MITO  DEGLI “ITALIANI BRAVA GENTE” CRIMINI ED IMPRESE DELITTUOSE DEGLI ITALIANI IN PATRIA E ALL’ESTERO IN 150 ANNI DI STORIA NAZIONALE

 

Gli italiani sono diventati peggiori dei tedeschi”. Questa è solo una delle tante testimonianze raccolte durante l’occupazione delle truppe italiane in Slovenia, tra l’aprile del 1941 ed il settembre del 1943. Era contenuta in un rapporto “riservatissimo” di un funzionario civile indirizzato all’alto commissario per la provincia di Lubiana. Nell’arco appena di due anni, nel solo territorio di Lubiana, furono almeno 1000 gli ostaggi fucilati dall’esercito italiano, 8000 le persone eliminate, 3000 le case incendiate e 800 i villaggi completamente devastati, 35.000 i deportati in Italia nei campi di concentramento, tra loro moltissime donne e bambini. Nel solo lager di Arbe perirono di fame in più di 4500. Sono le cifre spaventose e crudeli di un tentata “bonifica etnica” che ha visto protagonista il nostro paese, documentata da Angelo Del Boca nel suo ultimo libro “Italiani, Brava gente?” (Neri Pozza Editore, 318 pagine, 16 euro).

 

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Nov 12 2016

ETIOPIA: ITALIANI, GENTE NON TANTO BRAVA

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Morti etiopi ammassati dopo l’attacco di Graziani

 

 

Nel monastero di Debre Libanos, dove sessantotto anni fa gli uomini del maresciallo Graziani massacrarono a sangue freddo forse duemila fra monaci e pellegrini per vendetta.

 

Di Emiliano Bos

 

Debre Libanos. Inerpicarsi nella stagione delle piogge sui monti Entoto, alle spalle di Addis Abeba, è come essere catapultati in una cartolina delle Highland scozzesi. Cielo plumbeo e un caleidoscopio di tonalità di verde. Abbandonate le ultime baracche della capitale, la strada si attorciglia in tornanti, porta a un valico che spalanca gli altipiani dello Scioà, culla degli imperatori d’Etiopia.  All’alba, una teoria infinita di donne, adolescenti e anziane – a piedi nudi – scende in senso opposto verso la città. Sulla testa, il fardello di fascine di legna: moneta di scambio dell’economia informale al mercato di Addis Abeba, distante ancora un’ora di cammino.  Qualche chilometro più in là ci si rende conto dell’interminabile salita che queste sherpa etiopi hanno percorso insieme ai loro muli prima di svalicare in discesa verso la capitale. Lo stradone ora s’allarga: l’antica direttrice – che conduce ai santuari ortodossi a nord del Paese e alla valle del Nilo – porta le cicatrici del periodo coloniale. Conduce a uno dei luoghi della memoria più tristi dell’occupazione fascista tra il 1935 e il `41: il monastero di Debre Libanos, dove un numero ancora imprecisato di monaci, diaconi e pellegrini – di certo oltre 1.400, probabilmente più di 2.000 – venne massacrato per rappresaglia all’attentato cui scampò nel 1937 ad Addis Abeba il maresciallo Rodolfo Graziani, Viceré d’Etiopia.

 

«La pagina più odiosa del colonialismo italiano»,  la bolla Angelo Del Boca, storico e giornalista, studioso di quel periodo.

 

Cento km d’asfalto

 

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Nov 12 2016

I DEPORTATI LIBICI IN ITALIA NEGLI ANNI 1911- 1912

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Omar El Mukhtar, capo della resistenza libica, dopo l’arresto e prima dell’esecuzione

 

 

Intervista a Angelo Del Boca «La guerra del 1911 crimine della nostra storia.». Domani ( 29 ottobre 2007) un convegno a Roma

 

I danni di guerra sono stati rimborsati con taccagneria. Resta aperto il contenzioso con la Libia di Gheddafi che si aspetta a saldo dei suoi 100mila morti non promesse materiali ma il riconoscimento del loro sacrificio negato 29 ottobre 1911, alle Tremiti e a Ustica sbarcano i primi 2.975 esiliati. Presi a caso per le strade di Tripoli, stivati a forza nelle navi, senza alcuna prova di colpevolezza. Fra di loro bimbi in tenera età, donne e vecchi. Molti non sopravvivranno

 

Tommaso Di Francesco

 

Si apre domani, 29 ottobre, all’Archivio centrale di stato (ore 10, piazzale degli Archivi, 27) il convegno «I deportati libici in Italia negli anni 1911- 1912».

La data del 29 ottobre è stata scelta perché è quella dell’arrivo della prima nave di esiliati libici nelle Isole Tremiti. Il Comune del piccolo arcipelago è il promotore dell’iniziativa. Che ha il patrocinio del Ministero degli esteri italiano, la collaborazione dell’Ambasciata libica, dell’Isiao, insieme alla collaborazione dei comuni di Favignana, Ponza e Ustica, che hanno avuto il triste primato di avere ospitato i luoghi di detenzione dove si è consumata la vita di centinaia e centinaia di disperati. Abbiamo rivolto alcune domande ad Angelo Del Boca storico del colonialismo italiano.

 

L’avventura coloniale italiana in Libia (1911-1943) mostra da subito particolari forme di repressione: rappresaglie, uso di gas asfissianti proibiti e bombe incendiare contro i civili, i primi campi di concentramento per civili del ventesimo secolo.  Perché questa violenza rabbiosa e diffusa, tanto che lei nelle sue opere parla di genocidio?

 

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Nov 07 2016

LA GRANDE GUERRA DEL 15-18: SU 5,5 MILIONI DI SOLDATI SOLO 8MILA VOLONTARI

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di GILBERTO ONETO

 

La guerra del 1915-’18 – sintomaticamente ricordata come la Grande Guerra – ha rifinito l’unità italiana: qualcuno la ricorda anche come la quarta guerra di indipendenza, con la quale si è concluso il grande e sfolgorante disegno di unificazione sotto un unico paterno Stato di tutte le parti di mondo che si trovano all’interno dei “sacri confini”, la cui definizione qualcuno attribuisce con un eccesso di autobenevolenza e con qualche acrobazia teologica al Buon Dio in persona.

 

Con scarsa coerenza patriottica ma con un insperato sussulto di buon senso non si parla più di una quinta crociata nazionale per “liberare” il Canton Ticino, Nizza, la Corsica e San Marino, irriverente foruncolo di libertà dentro al corpo della grande patria tricolore. Uno degli aspetti più sventolati del grande tormentone quindici-diciottesco è costituito dai martiri e dagli eroi, dagli esponenti della maschia gioventù che si sono lanciati nell’avventura e immolati sull’altare della riunificazione, sorta di “ultimo chilometro” di una gara iniziata tanti anni prima da Garibaldi, Mazzini e comitiva cantante.

 

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Nov 01 2016

21 OTTOBRE 1860: IL PLEBISCITO ORGANIZZATO DALLA CAMORRA CONSEGNA NAPOLI AL PIEMONTE

 

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Basta che si manifesti il desiderio di votare per il mantenimento dei Borbone, perché si venga arrestati e rinviati a giudizio per rispondere di attentato a distruggere la forma di Governo; basta un semplice sospetto, perché si proceda al fermo preventivo che impedisce a numerosi cittadini di partecipare alle operazioni di voto.

 

Così scriveva lo storico lucano Tommaso Pedìo, un personaggio al quale i Borbone erano tutt’altro che simpatici. Egli, infatti, era dell’opinione che l’insurrezione popolare “brigantesca” contro il neonato Regno d’Italia fosse una semplice reazione al fatto che la nuova dirigenza, lungi dal mantenere comportamenti tali da migliorare la condizione di vita della plebe, era invece parecchio accanita. C’era poi la questione delle terre, promesse e mai date ai contadini. Secondo il Pedìo, perciò, la volontà di una restaurazione borbonica risiedeva nell’ormai proverbiale “si stava meglio quando si stava peggio”, di gattopardiana memoria, guidata dai vecchi proprietari terrieri.

 

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Ott 29 2016

MIGLIAIA DI SOLDATI BORBONICI DEPORTATI NEI LAGER DEL NORD

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Forte Fenestrelle

 

di STEFANIA MAFFEO

 

la storia vista da un’altra parte (per cercare di capire)

 

Dopo l’  “invenzione contrassegno per marchiare gli ebrei con un panno sulla spalla” (vedi AMEDEO VIII DI SAVOIA) – quindi un precursore dello “antisemitismo” hitleriano – nel 1863 un altro sabaudo inventava i “lager”, e le “vasche di calce” per scioglierci dentro i cadaveri dei reclusi soccombenti borbonici.

 

IL TALLONE DI FERRO DEI SAVOIA

Dopo la conquista del Sud, 5212 condanne a morte. Prigionieri e ribelli puniti con decreti e una legge del 1863

 

Cinquemiladuecentododici condanne a morte, 6564 arresti, 54 paesi rasi al suolo, 1 milione di morti. Queste le cifre della repressione consumata all’indomani dell’Unità d’Italia dai Savoia. La prima pulizia etnica della modernità occidentale operata sulle popolazioni meridionali dettata dalla Legge Pica, promulgata dal governo Minghetti del 15 agosto 1863  “… per la repressione del brigantaggio nel Meridione”[1].

 

Questa legge istituiva, sotto l’egida savoiarda, tribunali di guerra per il Sud ed i soldati ebbero carta bianca, le fucilazioni, anche di vecchi, donne e bambini, divennero cosa ordinaria e non straordinaria. Un genocidio la cui portata è mitigata solo dalla fuga e dall’emigrazione forzata, nell’inesorabile comandamento di destino:  “O briganti, o emigranti”.

 

Lemkin, che ha definito il primo concetto di genocidio, sosteneva: “… genocidio non significa necessariamente la distruzione immediata di una nazione…esso intende designare un piano coordinato di differenti azioni miranti a distruggere i fondamenti essenziali della vita dei gruppi nazionali. Obiettivi di un piano siffatto sarebbero la disintegrazione delle istituzioni politiche e sociali, della cultura, della lingua, dei sentimenti nazionali, della religione e della vita economica dei gruppi nazionali e la distruzione della sicurezza personale, della libertà, della salute, della dignità e persino delle vite degli individui…non a causa delle loro qualità individuali, ma in quanto membri del gruppo nazionale”.

 

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