Ott 18 2009

La spedizione dei Mille: le truffe, i massoni e la regia britannica

Category: Italia storia e dintornigiorgio @ 15:26

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RISORGIMENTO.   L’ALTRA VERITA’

I Mille che partirono da Quarto erano il triplo (abbondante) dei 300  “giovani e forti che sono morti”  al seguito di Carlo Pisacane ma ugualmente male in arnese.  Non vinsero per la forza del loro spirito, non per la loro capacità di usare le armi, non per una strategia tattica sopraffina e nemmeno per l’audacia delle loro azioni.

Testimonianza di parte piemontese,  quella che ha vinto.  «Quando si vede un regno di sei milioni di abitanti e un’armata di 100mila uomini, vinto con la perdita di 8 morti e 18 storpiati…chi  vuol capire…capisca…..»  I numeri che Massimo d’Azeglio comunicò per lettera al nipote Emanuele erano approssimativi per difetto ma,  quali che fossero le esatte statistiche belliche, gli risultava chiara che una battaglia vera non c’era  stata.

SI RITIRARONO PER L’ORO

Testimonianza di parte borbonica,  quella che ha perso: «Scrivo perché mi sdegna vedere travisato  il vero».  Un affidale napoletano che restò a Messina durante i nove mesi d’assedio, poco dopo la fine delle ostilità, nel 1862, pubblicò un  diario di ricordi firmandosi,  prudentemente, con le sole iniziali: G.L.   « I napoletani si sono ritirati davanti a Garibaldi non per magia ma per l’oro.  E questo perché mille non possono batterne l00mila e uno non può batterne cento».

Apparve evidente – fin dall’ inizio e a chiunque – che esisteva una storia letteraria accreditata dall’intellighenzia – alla quale bisognava far mostra di credere – cui se ne contrapponeva un’altra che ribaltava completamente valori e giudizi ma che non era nelle condizioni di lambire le carte ufficiali per correggerne i contenuti più vistosamente retorici.

Come sarebbe finita la spedizione di Garibaldi era chiaro fin dal momento della partenza. Non lo sapeva la maggior parte degli uomini in camicia rossa.  Loro credevano di partecipare a un’azione di “commando”, destinata a suscitare una rivolta popolare.  Fra tutti, erano intellettualmente onesti – questo sì – perché pensavano che si trattasse di un’iniziativa pericolosa e mettevano in conto che avrebbe potuto anche finire male.  Però, chi riteneva che per un ideale valesse la pena rischiare qualche cosa,  si rendeva conto che quello era il momento di giocarsi tutto il coraggio che era rimasto.  Potevano anche  sembrare incoscienti, ma era, impossibile non riconoscergli le stimmate dei patrioti veri.

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Ott 16 2009

Giuseppe Garibaldi, rozzo e senza principi saldi, esordì come …schiavista

Category: Italia storia e dintornigiorgio @ 13:05

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RISORGIMENTO.   L’ALTRA VERITA’

Pronto a predare donne di tutte le età e condizioni sociali – fino al punto di macchiarsi dell’assassinio del marito di Anita – il “condottiero Nizzardo” si lasciò sempre trascinare non da una ideologia politica coerente, ma dal senso di avventura che lo portò a incappare  in iniziative dall’esito disastroso

Giuseppe Garibaldi?  Rubava i cavalli e quando lo catturarono,  in Sud America,  gli tagliarono un orecchio, secondo il codice gaucho che puniva con la legge del taglione chi toccava gli animali degli altri.  Dovette farsi crescere i capelli e lasciarli cadere sulla guancia per nascondere il padiglione che gli mancava.

Fra i tanti mestieri che praticò saltuariamente, fra un’avventura e l’altra, accettò di fare lo schiavista. Riempiva la stiva della nave di cinesi che dovevano lavorare il “guano”  destinato a essere utilizzato come fertilizzante.   Si segnalò come comandante di buon cuore, rispetto ai colleghi che trattavano quella povera gente peggio delle bestie: i suoi schiavi arrivavano “in buona salute” e persino “grassottelli”.

UCCIDE IL MARITO DELLA BELLA ANITA

E per conquistarsi l’amore  di   Anita non andò per il sottile:  ammazzo  direttamente il marito che gli intralciava la strada. Un giorno, a bordo della nave “Rio Pardo” vide, con il cannocchiale, il viso della donna destinata a condividere fino alla morte  (sulla spiaggia di Ravenna) la sua vita di guerrigliero.  Lo confessò lui stesso, con toni involontariamente trucidi,  raccontando la storia del  suo innamoramento che compare nell’Edizione nazionali  degli scritti di Garibaldi.  «Io non avea mai  pensato al matrimonio».  E, tuttavia, la mancanza di un legame solido e formale non significava  rinunciare alla soddisfazione dei sensi. Anzi: «Avea bisogno di chi mi amasse…e subito!».  Bastava guardarsi in giro. «Con quel pensiero, dall’alto del cassero, io volgea lo sguardo a terra. Scorgea donne occupate in domestici trattenimenti ma una giovane mi attraeva  sopra le altre. Ordinai perciò che mi sbarcassero e mi avviai verso quella casa con una di quelle soluzioni che non falliscono».

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Ott 14 2009

Seconda guerra d’indipendenza, un conflitto disertato dai Savoia; i brogli dei blebisciti

Category: Italia storia e dintornigiorgio @ 08:29

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Nella Seconda guerra d’indipendenza il Piemonte e i Savoia fecero da  comparse. Avevano assicurato – Vittorio Emanuele IICavour e i comandanti dello Stato Maggiore – che sarebbero scesi in campo con un contingente di 150mila uomini ma, a stento, riuscirono a metterne insieme 50mila. Metà dei coscritti chiamati alle armi, utilizzando  qualche pretesto a portata di mano,  non rispose all’appello ed evitò di indossare la divisa.  I  volontari – che si attendevano a centinaia di migliaia – non si videro affatto.  Forse non fu nemmeno un male perché i reparti, nonostante fossero più che dimezzati rispetto alle  aspettative, non furono in grado di assicurare a tutti una giubba, un fucile e qualche munizione.  Chi restava disarmato veniva inquadrato nelle retrovie e, avanzando al seguito delle prime linee, doveva preoccuparsi di recuperare l’attrezzatura abbandonata da qualche compagno rimasto ucciso o ferito grave.

IL RE  “FINTO” CONDOTTIERO

Il re voleva fare la sua parte e, considerandosi un grande  condottiero, pretendeva di assumere la direzione della guerra. Per non correre il rischio di essere contraddetto, scelse come aiutante di campo il super – fidato – Morozzo della Rocca che tutto avrebbe potuto fare (compreso sistemare la Rosina, amante di Vittorio Emanuele, al seguito delle truppe) ma non discutere per smentire sua maestà.

Il  conte di Cavour, al contrario, non aveva fiducia nelle capacità belliche del suo sovrano e, per controllarlo, pretese che il generale La Marmora occupasse il ruolo di capo di Stato Maggiore.  Il risultato fu che i due ufficiali, ritenendosi più alti  in grado (e con protezioni maggiori), fecero la guerra ognuno per proprio conto, evitando il  più delle volte di rivolgersi la parola.  Fra tutti, ignorarono completamente le esigenze del Governo che non informarono affatto dell’andamento delle operazioni.  Cavour veniva a conoscenza di che cosa stesse accadendo ai fronte leggendo i giornali francesi che gli arrivavano da Parigi.

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Ott 13 2009

La guerra di Crimea

Category: Italia storia e dintornigiorgio @ 09:03

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RISORGIMENTO.   L’ALTRA VERITA’

Cavour si inventò di partecipare al conflitto che, opponendo Russia e Turchia, si stava scatenando per il controllo della Crimea, una penisola di qualche decina di chilometri quadrati che la maggior parte degli occidentali  faceva fatica a collocare geograficamente e che, del resto, non conosceva. Peraltro – anche ai giorni nostri – dove si trova  esattamente  Herat o Falluja?

Quel contenzioso era uno dei tanti che si dipanavano nell’Ottocento e che poi, in un modo o nell’altro, trovava una soluzione se non proprio accettabile,  sufficiente almeno per smetterla di tirarsi schioppettate e tirare avanti pacificamente per qualche tempo.

Quella volta diventò una “guerra mondiale”   che mise a soqquadro le diplomazie e i Governi di un intero continente.

SCONTRO DECISO DALLLA MINORANZA

Gli storici hanno a lungo  riflettuto sulla questione  per concludere  che non  sono affatto  evidenti le cause  di un   allargamento  così  generalizzato del conflitto.

Perché  una bega di piccole dimensioni coinvolse Francia e Inghilterra?  E che senso aveva massacrare, migliaia di soldati,  portati  in una plaga desolata che non interessava nessuno? L’episodio più famoso di quel conflitto fu la carica della cavalleria britannica contro le postazioni dell’artiglieria russa di Balaclava: un assalto eroico per la poesia che scrisse Tennyson e per il film che venne girato  dagli americani.  Dal punto di vista della strategia militare,  quell’ azione  era quanto di più sconclusionato si potesse immaginare.  E, infatti, venne originata da un malinteso attribuito al colonnello Raglan che, come ufficiale,  valeva poco e – non a caso – lasciò traccia soltanto nella storia della moda maschile per via dei soprabiti che si faceva tagliare su misura.

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Ott 12 2009

Contessa di Castiglione: quando la storia passa dalle lenzuola

Category: Italia storia e dintornigiorgio @ 12:44

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RISORGIMENTO.   L’ALTRA VERITA’

 

Virginia  Verais  Oldoini  Rapallini,  nota come  contessa di Castiglione,  che il cugino Cavour  incarico di sedurre l’imperatore  francese Napoleone III perché  appoggiasse  l’aspirazione dei Savoia  di conquistare l’Italia intera

La più bella escort dell’ Ottocento si chiamava Virginia  Oldoini  Rapallini,  moglie del conte di Castiglione e amante di una quantità sterminata di vip.

Gli amici la chiamavano  “Nicchia”.  Bella, piacente, elegante, raffinata nei gesti e sofisticata per le conoscenze culturali, si trovava naturalmente aperte le porte della buona società.  E lei cercava  di approfittarne.  In quegli anni che prepararono la  “Seconda guerra  d’Indipendenza”,  la partecipazione sabauda alla  spedizione in Crimea e gli accordi di  Plombières  non sarebbero bastati per assicurarsi l’appoggio di Parigi.

Per convincere Napoleone III a intervenire contro l’Austria  più che i tavoli diplomatici, funzionò l’impresa di “pubbliche relazioni” di “Nicchia” che mise a disposizione anche la sua camera da letto.  Lei tenne fermo nell’imperatore francese il proposito di aiutare i Savoia a diventare re d’Italia.  «Riuscite, cara cugina – benedisse l’operazione quel furbacchione di Cavour – usate i mezzi che vi pare… ma riuscite!».

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Ott 11 2009

Carlo Alberto e Vittorio Emanuele, i dettagli non possono salvarli

Category: Italia storia e dintornigiorgio @ 13:37

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Caro direttore, ho letto lei lenzuolata di martedì scorso ed essendo cocciuto e rompiballe,  cito alcuni errori.

Sul generale  Chrzanowsky il nostro Del Bocca  nota che aveva servito con  Napoleone,  per segnalarne l’età avanzata.  Ma i generali dell’epoca  erano tutti coetanei,  Radetzky compreso. Sull’ impronunciabilità del cognome  non  mi pronuncio, ma  sembra chiaro che neanche il capo delle truppe imperiali si chiamasse Rossi.  Ulteriore difetto del Chrzanowsky  era il non parlare  l’italiano   usando «il francese con chi era in grado  di capirlo».  Cioè tutto l’entourage delle alte sfere  militari  con cui trattava quotidianamente,  visto che non solo il francese era la lingua franca  Internazionale dell’epoca (utilizzata quindi da nobili e funzionari), ma soprattutto  era la lingua parlata dalla corte sabauta ( o forse Del Bocca  ignora che Vittorio Emanuele II  parlava un ottimo francese, un superbo piemontese e un sdentato italiano?)

Quando finalmente arriva  il momento di criticare il generale polacco su questioni rilevanti,  cioè la strategia.  Del Boca che fa? Ammette  che non era sbagliata!  In compenso  non cita  neppure di sfuggita i forti contrasti sorti  proprio  su questioni tattiche che si  ebbero  nel  campo imperiale tra Radetzky e il conte  Laval  Nugent  di Westmeath (comandante  del corpo di riserva austriaco), che per poco non favoriva i sabauti.

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Ott 10 2009

Cavour e il connubio Rattazzi; i conflitti di interessi: la politica di prostituisce

Category: Italia storia e dintornigiorgio @ 04:51

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RISORGIMENTO.   L’ALTRA VERITA’

Lo hanno chiamato “decennio di preparazione” perché – con il senno del poi – è stato giusto il tempo che servì al Piemonte per riuscire a battere l’Austria e diventare Italia.

Si disse che migliorarono l’agricoltura e potenziarono il trasporto ferroviario, che irrigarono le risaie con canali appropriati  e consentirono lo sviluppo del porto di Genova, che determinarono regole moderne per le banche e incrementarono gli scambi commerciali con il resto d’Europa. Anche.  Ma, soprattutto, inventarono il “ribaltone” parlamentare, diedero corpo al  “conflitto di interesse” e avviarono il finanziamento delle missioni militari all’estero.  Fondamentale per diventare Italia,  per davvero.

La politica stava cercando le regole per inventare se stessa. La Presidenza del Consiglio era stata, affidata a Massimo  d’Azeglio ma – il rampante del Governo  si chiamava Camillo Benso ed era conte di Cavour:  un impiccione di genio,  un secchione con la testa sempre affondata nelle carte, preparatissimo su ogni questione  tanto puntiglioso da intervenire,  alla Camera, anche sette-otto volte sullo stesso argomento,  per rispondere alla più piccola contestazione e assicurarsi  l’ultima parola.

CAMBIO DELLA GUARDIA PER NIENTE INDOLORE

Sgomitò,  allargando le proprie competenze e tagliando l’erba sotto i piedi dei concorrenti,  finché non soffiò il posto al d’Azeglio che l’aveva chiamato.

Il cambio della guardia non risultò indolore.  Cavour ce l’aveva fatta a sedersi sulla seggiola di Presidente del Consiglio e,  una volta diventato il numero uno, si organizzò in modo da crearsi una sua corrente politica di fedelissimi.  Alcuni compagni di strada “moderati” che pure militavano nel suo stesso gruppo di riferimento politico non gli piacevano.  Avrebbe preferito allearsi con gli uomini di Urbano Rattazzi – anche se stavano all’opposizione – e a loro faceva l’occhiolino.  Si mandarono messaggi sempre più espliciti, si incontrarono in gran segreto e fecero incontrare i rispettivi capigruppo. Il reciproco avvicinamento non poteva passare inosservato.  Venne rivelato, senza equivoci, nel corso di una serie di votazioni nel corso delle quali la minoranza si trovò a votare con la maggioranza al punto che l’accordo realizzato sottobanco fu scoperto, diventando di dominio pubblico.

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Ott 07 2009

Vittorio Emanuele, re degli scandali: primo sovrano dell’Italia unita

Category: Italia storia e dintornigiorgio @ 21:15

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RISORGIMENTO.   L’ALTRA VERITA’

Il sovrano non era all’altezza di governare, ma amava donne, caccia e affari: voleva comprarsi persino Venezia…

Dopo la disfatta di Novara, gli misero in bocca una frase che, molto probabilmente  non aveva mai pronunciato perché  non era in grado di pensarla;  «I Savoia conoscono la via dell’esilio, non quella del disonore».

Vittorio  Emanuele II  esordì in condizioni assai complicate, a Vignale, in una cascina  appena abitabile, a un tiro di schioppo dal campo della battaglia di Novara. La sconfitta del suo esercito era stata definitiva e irrimediabile. Carlo Alberto – persino  coraggiosamente – aveva abdicato e gli aveva lasciato il peso del trono con le responsabilità che comportava.  Il suo futuro e,  per la verità, anche quello del suo Stato e della sua gente,  era punteggiato da troppi interrogativi che lui non poteva sciogliere perché non dipendevano da lui.  Il destino dei Savoia era – ovviamente – nelle mani di chi aveva vinto espugnando il nemico.  Vittorio Emanuele II incontrò il generale vincitore Radetzky.

I libri che si studiano a  scuola lasciano intendere che si trattò di uno scontro fra titani.  Da una parte un vecchio reazionario, intenzionato ad approfIttare del successo e,  quindi, a punire quell’insignificante Piemonte, cancellandolo dalla carta geografica e dall’elenco dei diritti.   Dall’altra, un re di fresca nomina, giovane per età e per esperienza ma risoluto nel rispettare i principi della libertà e della Costituzione, non importa quali fossero i costi da pagare.  Gli misero in bocca una frase che, molto probabilmente, non pronunciò mai, soprattutto perchè non era in grado di pensarla: «I Savoia conoscono la via dell’esilio, non quella del disonore».

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Ott 06 2009

Prima guerra d’indipendenza: la battaglia di Novara

Category: Italia storia e dintornigiorgio @ 06:00

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RISORGIMENTO.   L’ALTRA VERITA’

L’anno dopo la sconfitta del 1848, la guerra d’ indipendenza riprese in una situazione di assoluto caos: continui cambiamenti alla testa del Ministero della Guerra e al vertice dei comandi militari, pressioni dei democratici,  fallimentare situazione del bilancio dello stato.

Bastonati a Custoza (1848) e costretti a scappare con la coda in mezzo alle gambe, i piemontesi cominciarono fin  da subito a pensare alla rivincita.  Come i tifosi delle squadre di calcio che aspettano il girone di ritorno per accarezzare quelle soddisfazioni che sono venute meno nella partita dell’andata.  E proprio come capita nel mondo del Football Club, dove la speranza di successi futuri viene legata al cambio dell’allenatore, il re Carlo Alberto e il Consiglio dei ministri decisero che occorreva un nuovo generale comandante. Quelli già in servizio non sembravano adeguati. Chi aveva avuto qualche responsabilità nella conduzione della guerra, andava scrivendo memoriali non tanto per evidenziare i meriti propri che, del resto, erano davvero rari quanto per “coglionare” i colleghi.

Il generale Bava aveva da precisare “in modo genuino”,  il generale Bes “puntualizzava” , il generale Durando “riferiva”, il generale Pisacane “metteva in evidenza”.  Un carteggio che partiva in via “assolutamente riservata” e che si ritrovava pubblicato sui giornali di Torino. Il risultato?  Un panorama di inefficiente squallore.

Dunque, tentarono di assumere un ufficiale francese, ma poiché i francesi rifiutarono, si rivolsero a un polacco, Whjciech Chrzanowsky.  Il neo-acquisto aveva servito con Napoleone (quarant’anni prima!) ma, avendone respirato la stessa aria, avrebbe dovuto assimilare anche una piccola parte del suo genio.

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Ott 05 2009

La figura di Carlo Alberto: sciupafemmine, traditore e indeciso a tutto

Category: Italia storia e dintornigiorgio @ 05:54

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RISORGIMENTO. L’ALTRA VERITA’

Una  “piccola rivoluzione” abortita – quella del 1821 – dimostrò al mondo  quanto Carlo Alberto fosse incapace di trovare una propria line di condotta e di restarvi fedele. Abbandonati gli insorti che credevano di fare  conto su di lui,  si schierò a sostegno delle posizioni più reazionarie

Di questi tempi uno come il re Carlo Alberto farebbe la felicità di Giorgio Forattini che potrebbe sbizzarrirsi a disegnare la caricatura di uno spilungone di due metri e più,  magro e, quasi, emaciato, con un testone a cipolla messo a ciondolare su un collo sottile  come quello dei cigni.  Per la verità, si divertirono anche i disegnatori del Piemonte risorgimentale che lo dipingevano come l’asino di Buridano,  morto di fame perché, davanti a due sacchi di biada, non  era capace di scegliere quale dei due mangiare.  Il tentennare di sua maestà doveva essere un fatto antropologico.  Non risulta una decisione – una! – autonoma e inequivoca:  lui emerge dalla storia ma lo conoscevano anche i con temporanei.

«In diebus illis, c’era in  Italia/un re che andava, fin dalla balia/pazzo pel gioco dell’altalena/ e fu chiamato Tentenna primo:/or lo ninnava Biagio ora Martino/ma l’uno in fretta e l’altro adagino/E il re diceva: “In fretta, adagio /bravo Martino, benone Biagio”.  /Ciondola, dondola/che cosa amena/dondola, ciondola è l’altalena… / un po’ più celere… / m e n o… d i più… / ciondola… dondola…/e su… e giù…/ Mori Tentenna ma, ancora incerto,/ se tener l’occhio chiuso o aperto/e fu trovato, forza dell’uso/con l’uno aperto e con l’altro chiuso” .

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Ott 03 2009

Le cinque giornate di Milano

Category: Italia storia e dintornigiorgio @ 09:50

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RISORGIMENTO.  L’ALTRA VERITA’

Cimch Giornad, Milan la fa deperlee

Li insorti del marzo 1948 misero in fugga l’esercito austriaco contando solo sulle proprie forze: Carlo Alberto si mosse quando la città era libera.

Chiamiamo il ladro…. solo Carlo Alberto può mettere mano a quest’affare”.

Anche se appariva sfrontato e, per certi versi insultante, Massimo d’Azeglio diede proprio questo consiglio ai patrioti torinesi che non sapevano come fare per aiutare i colleghi di Milano, insorti contro gli austriaci e in guerra da cinque giorni. Occorreva rivolgersi a quel furfante del re del Piemonte che tutti cercavano di scansare – tanto poco lo stimavano – ma che, in quella occasione e per ragioni assai lontane dalle loro,  poteva tornare utile al progetto di chi sognava un’ Italia libera e indipendente.

Massimo d’Azeglio era bravino in tutto senza riuscire ad eccellere per davvero in qualcosa: pittore, poeta, tragediografo, politico, ammiratore delle gambe delle ballerine. Si trascinava da sempre una crisi depressiva che, allora; non era una malattia riconosciuta dalle discipline mediche, dunque. inesistente e, perciò, incurabile. Chi ce l’aveva ugualmente si ritrovava con un carattere che, incline al pessimismo, sfociava facilmente nella melanconia. Nel suo caso gli faceva assumere un atteggiamento annoiato tanto da renderlo apatico e, quasi, indifferente a quello che gli capitava intorno. Perciò assisteva al dipanarsi delle polemiche letterarie, contribuiva al dibattito parlamentare, partecipava a costruire scenari di un futuro che non immaginava lontano ma lo faceva senza entusiasmo. Anzi: con quell’aristocratico distacco che gli impediva di inorgoglirsi quando veniva nominato Presidente del Consiglio e lo lasciava abbastanza incurante se lo “rombavano” senza che fosse responsabile di disastri ministeriali.

Tuttavia, almeno un vantaggio c’era: i suoi giudizi, proprio perché disinteressati, non erano mai avari di schiettezza. Dunque, alla congrega di carbonari che, dopo anni di riunioni velleitarie, si trovavano alle prese con un fatto vero maturato a Milano, motivò la sua proposta di bussare al portone di palazzo Carignano.  “Se invitate un  ladro a essere galantuomo e che ve lo prometta, potreste dubitare che mantenga. Ma invitare un ladro a rubare e aver paura che vi manchi di parola, non vedo il perché...?!”.

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Ott 02 2009

Goffredo Mameli il primo ladro della storia d’Italia

Category: Italia storia e dintornigiorgio @ 08:53

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RISORGIMENTO.  L’ALTRA VERITA’

OPPORTUNISTA. Goffredo Mameli. Fratelli d’Italia non è opera sua ma di frate Anastasio Cannata

Con la scusa dell’Unità intere generazioni hanno speculati sul disinteresse dei patrioti per affari tutt’altro che gloriosi.

Il  Risorgimento è quello che ci hanno insegnato a scuola?  Nelle pagine dei sussidiari – quelli sui cui hanno studiato i nonni, i  padri e, purtroppo, i figli e i nipoti – è uno spreco di retorica, e di buoni sentimenti, capaci di allineare un raro repertorio di luoghi comuni.

Gli autori. a ogni capoverso, si sono impegnati a citare: la Nazione, la Riunione, l’Autonomia, l’Indipendenza, l’Unificazione.  Il tutto con uno spreco davvero eccessivo di lettere maiuscole e di virgolette per amplificare e sottolineare il significato di concetti di per sé chiari nel significato letterale e già abbastanza esagerati in quello concettuale. Sono i  principi che rappresenterebbero la pietra angolare del nuovo edificio – Italia – dove coesisterebbero libertà, coscienza, Dio e popolo, religione, solidarietà, altruismo, gloria, diritto insopprimibile delle genti, redenzione,  nuova  alba e rinnovellate speranze. Mica facile! È stato necessario scuotere il giogo che ci asserviva, sotto gli occhi dell’Europa che ci guardava, mettere in  campo animi indomiti e tenaci, spezzare le catene della tirannide e dare corpo a un’idea vagheggiata da secoli.

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Ott 01 2009

RISORGIMENTO – L’ALTRA VERITA’: Ci hanno venduto una storia deformata sui padri della patria

Category: Italia storia e dintornigiorgio @ 00:06

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L’INERVISTA – Lorenzo del Bocca

«Tagliamo lo sgabello dove siedono i vincitori, raccontiamo la verità nelle scuole»

«I problemi di oggi non sono figli della contemporaneità ma vengono dal passato. Il passato non c’è l’hanno raccontato giusto. Col risultato che chi aveva  vinto non aveva solo ragione ma  ragionissima. Che non era buono, ma buonissimo. Che chi aveva perso non aveva torto ma tortissimo»

«Siamo quello che eravamo, diventeremo quello che siamo».  Lo scioglilingua storico di Lorenzo Del Boca è la prima risposta alla domanda: Ma scusa tanto, perché dovremmo rivedere la storia del Risorgimento?

Allora lui, al di sopra di ogni sospetto, presidente dell’Ordine nazionale dei giornalisti e una passione sfegatata per la storia, dopo che col figlio aveva fatto un ripasso folgorante per l’esame di quinta elementare, con pazienza ti spiega che le cose le leggi  “così”  ma peccato siano andate “colà“.  Se non addirittura in altri colà siano accadute.

Colà dove? Del Boca è un trapano che svita e riavvita i fatti, i luoghi, smitizza i miti, la retorica dei vincitori. Fa il giornalista. Fa lo storico. La storia da lui riletta diventa  quindi un’impresa di traslochi: un trasloco dai luoghi comuni, che non ci sforziamo di rimettere in discussione,  per arrivare alla storia che colpevolmente la scuola, le università non insegnano. Piuttosto inculcano.

«La domanda la faccio io – spiega il presidente -. I problemi, i vizi che ha il paese, riverberati nella politica di tutti i giorni, da dove arrivano secondo te?  Dove se non da dove arriviamo?».

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Apr 19 2009

Ecco le macerie di una Italia fallita.

Category: Italia storia e dintorni,Società e politicagiorgio @ 20:30

Mi è arrivata questa email, a leggerla mi ha fatto male, ma purtroppo è una sacrosanta  verità  

L’Italia è un paese sociologicamente spappolato, economicamente fallito, infatti:

È un fallimento in fatto di funzionalità e competitività internazionale. 

È un fallimento come capacità di rinnovarsi e ammodernarsi: è il più rigido tra i paesi occidentali. 

È un fallimento come produttività: è ultimo tra i paesi occidentali. 

È un fallimento di fatto in produzione: dal 1992 è divenuto l’ultimo dei paesi europei, con uno sviluppo di meno della metà della media. 

È un fallimento come natalità: è ultimo tra i paesi occidentali. 

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Mar 05 2009

Tacito: Discorso di Ponzio

Category: Autonomie Indipendenze,Italia storia e dintornigiorgio @ 21:20

Romani <<crudeli al punto che non si sentono sazi della morte dei colpevoli, della consegna di loro corpi senza vita né di quella che hanno tenuto dietro ai padroni se non offriamo loro il nostro sangue in bevanda, i nostri visceri da dilaniare.>>

Della serie: non è cambiato niente


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