Mar 29 2009

I Registri dei Cavalieri del Santo Sepolcro conservati nell’Archivio Storico della Custodia di Terra Santa: SBF – Nuova pubblicazione

Category: Chiesa Cattolica,Libri e fontigiorgio @ 06:57

SBF Editiones

 

Registrum Equitum SSmi Sepulchri D.N.J.C. (1561-1848). Manoscritti dell’Archivio Storico della Custodia di Terra Santa a Gerusalemme, editi a cura di Michele Piccirillo (Studium Biblicum Franciscanum – Collectio Maior 46), Edizioni Custodia di Terra Santa, Jerusalem – Milano 2006.

 

Un’opera che risulterà una sorpresa per molti ricordando i rapporti secolari che legano l’istituzione dei Cavalieri del Santo Sepolcro con i Francescani di Terra Santa custodi del Santuario di Gerusalemme dal lontano 1333 grazie alla trattativa diplomatica condotta a buon fine con il Sultano d’Egitto al-Nasir Muhammad da Roberto d’Angiò e Sancha di Maiorca reali di Napoli. I registri non si spingono così lontano e iniziano solo con il 1561. Il motivo è detto a pagina a pagina 3 del primo registro che rimanda alla storia sempre tribolata di questa terra. Nel 1633 padre Paolo da Lodi Custode di Terra Santa diede l’ordine di ricopiare i nomi dei Cavalieri nel nuovo Registro. Il copista tiene a ricordare che, purtroppo, il registro nel quale erano annotati i nomi dei Cavalieri creati da padre Bonifacio da Ragusa con tutti i registri precedenti furono bruciati dai Turchi durante la guerra di Cipro. Altri nomi andarono persi perché non trascritti, sempre a causa delle perquisizioni dei Turchi, viene aggiunto a pagina 15. Mancanze che non intaccano la sostanza storica dei documenti pubblicati nell’opera grazie al patrocinio del Cardinale Carlo Furno Gran Maestro dei Cavalieri.

 

I due Registri pubblicati conservati nell’Archivio Storico della Custodia di Terra Santa a Gerusalemme (Registrum A – Registrum B) iniziano con l’anno 1561 e terminano nel 1848. La motivazione è stata scritta in italiano sulla copertina del Registrum B: “I nostri Padri non crearono più i Cavalieri perché venne il Patriarca e annesse a sè questa facoltà nel 1848”.

Il 1561 è l’anno nel quale Papa Pio IV emanò la bolla con la quale confermava tutte le facoltà e i privilegi del Padre Custode di Terra Santa (1 Agosto, 1561), come avevano fatto prima di lui Papa Leone X il 4 Maggio 1515, e Papa Clemente VII nel 1525. Tra i privilegi risulta l’investitura dei Cavalieri del Santo Sepolcro. Da pochi anni i Frati abitavano nel Convento di San Salvatore, ex convento georgiano della Colonna, dopo essere stati cacciati nel 1551 dal Convento del Sion dove avevano abitato dal 1333. Nel 1847 Papa Pio IX aveva emanato la bolla Nulla Celebrior con la quale ripristinava a Gerusalemme il Patriarcato Latino dando al Patriarca la facoltà di investire i Cavalieri. Era Custode di Terra Santa padre Bernardino Trionfetti che il 16 Maggio 1848 creò Cavaliere il Patriarca Giuseppe Valerga. L’investitura fu registrata nel Registrum B che termina con tale data.

 

Di fatto, l’investitura dei Cavalieri sulla Tomba di Cristo da parte del Padre Custode di Terra Santa è attestata dal 1496 al tempo del Padre Bartolomeo di Piacenza primo Magnus Ordinis S. Sepulchri Magister.  Precedentemente, abbiamo le testimonianze dei pellegrini che descrivono l’investitura a Gerusalemme sempre nella Basilica del Santo Sepolcro.

Il primo ricordo dell’Ordine della Cavalleria del Santo Sepolcro si legge nella relazione di viaggio del Cavaliere Guglielmo di Boldensel del 1336: “Dopo la Messa, io feci cavalieri due gentiluomini sul Sepolcro cingendo loro la spada e osservando le altre formalità che sono d’uso per ricevere l’Ordine della Cavalleria”. Nel 1340 un documento del priorato spagnolo del Santo Sepolcro di Calatayud è firmato da Guglielmo cavaliere dell’Ordine del Santo Sepolcro. La Cronaca Anonima di Valenciennes (XIV-XV secolo) riporta che Guglielmo di Solre fu creato cavaliere nel Santo Sepolcro da Guglielmo II conte di Olanda e di Hainaut che egli aveva accompagnato a Gerusalemme nel 1343. Valdemar IV Atterdag re di Danimarca nel 1340, venne a Gerusalemme dove volle essere fatto cavaliere del Santo Sepolcro.

La relazione del martirio dei Santi Nicola Tavelich, Stefano da Cuneo, Pietro di Narbona e Deodato Aribert di Rodez, avvenuto a Gerusalemme l’11 novembre 1391, scritta lo stesso giorno da fra Gerardo Chauvet guardiano del convento francescano del Monte Sion, fu sottoscritta tra gli altri da Giovanni Barrile di Napoli, “fatto allora cavaliere del Santo Sepolcro con i suoi servitori”che si trovava a Gerusalemme.

 

Nel 1420 nella Cronaca de Leyde viene descritta l’investitura di Compar De Caumont avvenuta l’anno prima da parte del sacerdote celebrante alla presenza dei Francescani che avevano preso dimora fissa all’interno del complesso del Santo Sepolcro nel 1348 al tempo del Sultano al-Mudhaffar. Nel testo si spiegano anche gli obblighi che si richiedevano all’aspirante Cavaliere. Del 1465 è l’attestato che Padre francesco da Piacenza, vicario del Guardiano del Monte Sion, consegnò a Giorgio Emerich di Görlitz venuto a Gerusalemme in espiazione di un atto di violenza, creato cavaliere sulla tomba di Cristo, dopo aver ricevuto il perdono delle sue azioni.

Un importante ruolo nelle investiture della seconda metà del XV secolo ebbe fra Giovanni di Prussia ricordato da fra Felix Fabri domenicano nella sua visita del 1480 e del 1483: “Hic habet auctoritatem domini Papae et domini Imperatoris, et favores principibus Christianitatis, creandi et percutienti milites peregrinos ad sanctum domini Sepulchrum venientes”. Di fra Giovanni, fra Fabri dà una convinta testimonianza nella sua opera: “Ingressi sunt etiam nobiscum Fratres Montis Syon, inter quos nobiscum intravit spectabilis vir, dictus Johannes de Prussia, Procurator Fratrum Montys Syon, saecularis quidem status, sed regularis habitu et vita. Utitur enim proprio arbitrio habitu tertii ordinis S. Francisci, cui tamen regulae voto se non adstrinxit. Hic vir est genere nobilis, de prosapia comitus, Teutonicus de Prussia, procerae statura, longam barbam, veneranda canitie decorus; maturus valde est vir ille, et multarum experientiarum, moribus compositus, conscentiosus et timens Deum. Has laudes non ex auditu, sed ex certa scientia huic probo viro do”. Probabilmente fra Giovanni è ricordato impropriamente con il titolo di Guardiano nell’itinerario di Martin Ketzel (1476): “Il duca Albert de Saxe creò 72 cavalieri del S. Sepolcro e il Guardiano ne creò altri 31”.

 

Nel 1480, anno del primo pellegrinaggio di fra Felix Fabri, Fra Giovanni viene chiamato ‘legato imperiale’ da Santo Brasca: “In dicto Sancto Sepulchro forno facti Cavalieri aurati sette pellegrini da uno legato imperiale, con grandissima solennità, devozione et riverentia”.

Lo stesso pellegrino ricorda che il Padre Guardiano del Monte Sion, al tempo padre Giovanni de Thomacellis rilasciò la patente scritta in latino nella quale si attestava che il neo Cavaliere “Super Sanctissimum Domini Sepulchrum fuit cingulo militari insignitus atque solemniter decoratus”. Nel 1483 Bernardo di Breydenbach Canonico di Mainz ricorda come dopo aver trascorso la notte nel Santo Sepolcro, all’alba del 16 luglio, “diversi dei nostri pellegrini nobili presero l’ordine della cavalleria osservando le cerimonie e i riti stabiliti, in modo secreto perché gli infedeli non li permettono. Acquistarono così la dignità cavalleresca. Terminate queste cerimonie, i Frati Minori celebrano la Messa nel Sepolcro del Signore”.

Un’altra interessante testimonianza è del sacerdote Pietro da Casola che nel 1494 aiutò a riempire i formulari dei Cavalieri investiti durante il suo pellegrinaggio: “Siccome mancava un segretario, io scrissi diverse lettere che certificavano che erano stati creati cavalieri al Santo Sepolcro, conforme al modello che mi diede il Guardiano (dei Frati Minori)e io sigillai le lettere”.

Dalle ricerche condotte da J.-P. De Gennes, (Les Chevaliers du Saint Sépulchre de Jérusalem, Vol. I, Ed. Herault, 1995, p. 175 ss.) risulta che tra il 1348 e 1496 (data del riconoscimento ecclesiastico alla pratica attestata in precedenza) furono creati 653 Cavalieri (20 per il XIV secolo e 633 per il XV secolo).

 

Il testo in latino del rito dell’investitura da parte del Padre Custode di Terra Santa ci è stato conservato da Padre Tommaso Obicini da Novara nella Forma Instituendi, seu ordinandi Milites, ripubblicata integralmente con la traduzione italiana a fronte ad inizio del volume. Foto del testo e trascrizione a fronte che è stato seguito anche per la pubblicazione dei registri dando così modo al lettore di controllare di persona il documento. Un indice onomastico curato dallo studioso Giuseppe Ligato faciliterà la consultazione. Tra i nomi, con i Custodi e i frati benemeriti di Terra Santa come padre Bonifacio da Ragusa, padre Francesco Quaresmi, padre Faustino da Tuscolano, padre Mariano da Maleo, fra Elzeario Horn, padre Andrea da Montoro, il lettore troverà i pellegrini scrittori Kotovicius, Aquilanus da Rocchetta, Chateaubriand, lo storico delle Crociate Michaud, il professore Nepomuceno Sepp, il principe Massimiliano di Baviera e tanti altri membri delle famiglie reali d’Europa.

L’idea di pubblicare i due Registri, accettata e caldeggiata dal Padre Giovanni Battistelli Custode di Terra Santa e dal Gr.Uff.Gen.Avv. Gian Roberto Costa, Luogotenente per l’Italia Settentrionale dell’Ordine Equestre del Santo Sepolcro di Gerusalemme, è stata realizzata grazie all’assenso dato all’iniziativa culturale dal Padre Pier Battista Pizzaballa, attuale Custode di Terra Santa, da S.E.Cav.di Gr.Cr.Dott.Ing. Pier Luigi Parola Governatore Generale e dal Gr.Uff.Gen.Avv.Silverio Vecchio Luogotenente per l’Italia Settentrionale dell’Ordine Equestre del Santo Sepolcro di Gerusalemme che hanno generosamente contribuito alle spese per la coedizione di questo importante documento.

La pubblicazione vuole essere un passo importante per uno studio ancora in corso di approfondimento su una nobile istituzione benefica che ha le sue origini nell’amore comune al Santo Sepolcro e alle Comunità Cristiane della Terra Santa che lega i Frati Minori ai Cavalieri del Santo Sepolcro ai quali questo lavoro è dedicato.

 

Fonte: srs di Michele Piccirillo, SBF Gerusalemme


Mar 15 2009

Verona: La terra di Batiorco e il suo monastero

 

Anno Accademico 1924.1925  –  Tomo LXXXIV – Parte seconda

 

RAFFAELLO BRENZONI

(presentata: dal dott. A. Forti, m. e., nell’ad. ord. 14 dicembre 1924)

 

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Batiorco! Nomè storico veronese, che servì a precisare fino da remota  età un breve  tratto di terra, situato  in pianura in vicinanza  di S. Michele in Campagna. Nessun dato, nessuna notizia circa l’origine ed il significato di questo nome, trovato persino in  carte del X secolo. La sua origine perciò, collegata al più oscuro  Mediò Evo e la conseguente sua derivazione da una forma linguistica latina o barbarica, (si noti persino la desinenza in o, ch’ esso mantiene nei documenti più antichi), tolgono, a mio  avviso, oggi serietà alla nota leggenda dell’ orco, che il popolo nostro  fece sorgere intorno a  questa denominazione, in cui si volle vedere la  fusione di un verbo e di un sostantivo italiano

(Si pensi, fra l’atro, che, se qualche rara volta s’incontra in carte della remota antichità il verbo battere, esso ha il significato di  percuotere; non mai, di percorrere; mentre per orco s’ intese, anche nella bassa latinità;  l’inferno; o il Dio dell’ inferno e nulla piu’)

Allo stato delle cose, mancando ogni elemento sicuro, per una deduzione etimologica,  credo sia meglio affidare questo nome  all’oscurita’  del tempo in cui sorge,  anzichè costruire ipotesi campate in aria  in aria,   cercando invece con dati e notizie precise di seguire le vicende e determinare  quei fatti  fatti, che su essa terra si svolsero, ricavandoli  da inconfutabili documenti, che cerchero’  ora di esporre cronologicamente.

La prima notizia  di questa terra si trova nel testamento  di  Davide “ presbiter Sancte Veronensis Ecclesie”  dell’anno 

 

pag. 222 R.BRENZONI (2)

 

987:  “ Idest terra cum vineis super se habitis in loco uno iuris  proprietatis nostre predictis germanis, quam nos habere et possidere visi sumus, que  posita est in finibus veronensibus intransmonte (sic) locus ubi dicitur Batiorco”. . . ecc. (1).

A questo secolo X appartiene pure una  “carta da batiorco”, che trovasi in originale  nella Biblioteca Capitolare di Verona. Questa pergamena, in parte logora, non permette la lettura completa della data; lo stesso Canobbio, che la lesse nel secolo XVI, non riuscì a decifrarla e si limitò a datarla solamente col giorno e mese (…14 febbraio) (2). I dati paleografici ci persuadono a porla nel X secolo; inoltre la firma del notaio rogante l’atto  “Liutefredus” (chierico e notaio) perfettamente identica alle firme contenute in documenti  esistenti negli antichi Archivi Veronesi, con date del X sec., ov’egli si firmò quasi sempre chierico e notaio, ci persuade ancor più della verità della nostra asserzione (3).

Per l’etimologia del nome si tenga presente, che nelle carte appartenenti ai secoli posteriori al mille il nome  Batiorco assumeva  forma e declinazioni latine, e gli esempi non mancano specie nella Biblioteca Capitolare (4).

Da altri due documenti posteriori, dell’ undicesimo e dodicesimo secolo, veniamo a conoscere che eletta località Batiorco, in cui esisteva una contrada che portava lo stesso nome

 

Note di pagina 422

 

  (I) Docum. apparten. All’Arch. della Comp: del SS., in S. Libera e Siro (pubblic. dal Dionisi: “De duobus episc. Ald. et Not”, pag. 171) (tolto dalla Capitolare) oggi non figura negli elenchi (neppure in quello del Canobbio).

(2) Bibliot. Capito di Verona, rotulo N. 7, mazzo 2 AC. 38.

(3) Confr. perg. esist. negli Ant,  Arch. Ver.;  Osped. Civo (Anno 930)

rot. N. 15. S. M. in Org: (anno 938) rot. N. 24, app. S. M. in Org. (940) N. 9, S. M. in Org. (958), rot. N. 11, S. M. in O,  g. N. 35 (971) ecc. 

(4) Bibl. Cap. di Verona, BC. 39, M 5, N. 15 (22 genn. 1290), altro AC. 72, M. 3,  N. 7 (23 maggio 1258),  altro AC. 9, M. 2, N. 9 (17 luglio. 1380), altro: AC. 49, M. 5, N. 3 (23 nov. 1338), altro: A C. 48, M. 4, N. 15 (23 nov. 1338), altro: AC. 49, M. 5, N. 3 (19 genn. 1366, altro: BC. 32-3-13 (26 maggio l338), altro: BC. 38-14 (4 maggio 1332), altro: BC. 39, M. 4, N. 7 (22 genn. 1330), altro: AC. 36, M. 5, N. 11 (28 nov. 1343),

sono quasi tutte carte di locazioni, nelle quali vi è scritto quasi sempre: “in pertinenti a Verone in ora Batiorchii ”,  “ in sorte Batiorchi”.

 

(3) LA TERRA DI “BATIORCO”  ECC pag. 223

 

fuori di Porta Vescovo: “ 24 settembre 1023 – Sentenza tra Paulo e Florasino q. Drogo da una e Bonifacio da Cellore dall’ altra sopra una pezza di terra in Verona, fuori di Porta del Vescovo in Contrà di Batiorco” . (1),  “4 Ottobre 1153 – Uberto figlio  quondam Waldo de Capite pontis, diacono e canonico, professante legge romana riceve da Giovanni q. Uberto Fatiga il prezzo di una  pezza di terra arativa posta foris Porta Episcopi nel luogo uhi  dicitur  Butiorco” (2).

Sappiamo inoltre, che su parte di questa terra aveva un antico diritto di decima la Pieve di S. Giovanni in Valle, come risulta da una pergamena del 1219 (21 dicembre) ove è detto, che Augustino Arciprete della Chiesa di S. Giovanni in Valle, consenzienti gli altri fratelli di essa chiesa, dà in locazione perpetua a Fautino prete ed a Fautino chierico di S. Faustino per la loro chiesa la decima sopra alcune pezze di terra più sotto designate:  per una pezza di terra con viti che giace in monte di S. Giovanni in valle; per altra pezza di terra che giace in luogo uhi dicitur…. gella;  per altra pezza di terra in loco ubi dicitur batiorco; altra pezza di terra que iacet apud sortern que fuit illoorum de Moscardis; altra in loco ubi dicitur Paltena et loco qui dicitur Ronco; altra in Valpantena (3).

Ma una determinazione  ben più precisa abbiamo in una carta d’investitura del 18 gennaio 1243, da parte dell’ arciprete e chierici di S. Giovanni in Valle fatta a frate Adobello dell’ordine degli Agostiniani Eremitani allo scopo: “ edificandi Ecclesiam et locum ad  honorem Dei et Beati Angustini in fundo  sito extra Portam Episcopi  in loco  ubi  Battyorchus apud flumicellum, quì olim fuit presbiteri Viti;  de uno latere fluit idem flumicellum,  de alio lattere Via…. ecc.”; il Biancolini, che lo riporta, scrive nel testo: “Battiorco non lungi  dalla terra di Montorio (4).

 

Note di pagina  223

 

(1) A. A. Ver. Clero intrinseco (Repertorio Franc. Melegatti notaio (copia) ).

(2) A. A. Ver.,  S, Maria in Org., rotulo N. 87.

(3) A. A, Ver., S. Giov. in Valle, rotulo N. 13. 

(4) Biancolini, Le Chiese di Verona, Tomo II, pag. 502. La pergamena originale esiste tuttora presso l’Archivio parrocchiale di S. Giov. in Valle (Archivio Busta IX, fascicolo X).

 

Pag.  224 BRENZONI (4)

 

Da quanto abbiamo finora esposto, possiamo affermare, che questa località era fuori di Porta del Vescovo, fra il fiumicello e la strada (e non sappiamo ancora quale), e probabilmente ad una certa distanza dalla città, essendo riposta negli scritti in vicinanza della terra di Montorio; sappiamo inoltre dall’ ultimo documento in parte riportato, che su questa si dovette erigere un Monastero  ed una Chiesa pei frati Agostiniani.  E tali fabbriche sorsero veramente, come vedremo dai registri amministrativi della Pieve di S. Giovanni in Valle, nei quali si fa parola spesso di diritti di livelto “sopra una pezza di terra ove si dice batiorco, presso il fiumicello, sopra la quale sta; il Monisterio  degli, Agostiniani (1).

A maggiore determinazione riporterò alcuni tratti di  scritti raccolti in un volume appartenenti all’archivio del Monastero di  S. Salvar  Corte Regia, del 1725, in cui sono elencati documenti del XlII-XlV-XV sec.;  da questi si potrà sempre più persuadersi della verità dei dati sopra riferiti circa la località in parola:

  “Una pezza di terra in pertinenza di Verona in Contrà di S. Nazar extra (nella spianata), in sorte di  Battiorco ”  (da un doc. del 1475)  (2). 

“ Una pezza di terra arativa con viti… in pertinenza di Verona, in Contrà di Battiorco  (confini: da una la via comune, via Lavagnesca)”  (da doc. del 1432) (3).

“Una pezza di terra arativa in pertinenza di Verona, in Contrà di Battiorco, vicino alla Chiesa di S. Agostino” (da doc. del 1327) (4). .

“ Una pezza di terra arativa e casaliva,  fuori di Porta de Vescovo, vicino alla Chiesa  di S. Agostino (confini: da una la

 

Note di pag. 224

 

(1) Vedi ad es. il volume  appartenente all’ Arch. di S. Giov. in Valle, del 1764 – (Instruzione dei livelli, affitti ecc.) (copia del vol. citato in esso dell’ anno 1475).

(2) A. A. Vero Arch. di S. Salvar, Corte Regia (Monastero), vol. 1725, carta 448t.

(3) A. A. Ver. Arch. di S. Salvar, Corte Regia (Monastero), vol. 1725, carta 443.

(4) A. A. Ver. Arch. di S. Salvar, Corte Regia (Monastero), vol. 1725, carta 436.

 

5 LA TERRA DI  “BATIORCO”,    ECC pag. 225

 

via lavagnesca, dall’ altra il fiumicello ecc.)  (da doc. del 25 agosto 1297) (1).

“ Una pezza di terra  arativa fuori di Porta del Vescovo, vicino al Monastero e Chiesa di S.- Agostino, in Contrà di Battiorco (confini; da una la strada di Montorio, dall’ altra a mattina le dette monache, dall’ altra a mezzogiorno  la via di Battiorco)”  (da doc. dell’  11 nov. 1354) (2).

Faccio notare subito, che la via lavagnesca, della quale si fa parola in questi documenti,  corrisponde, secondo una vecchia descrizione stradale del XVI sec., alla odierna via  delle Banchette, che da Porta Vescovo, attraverso il borgo, conduce fino a Lavagno (3).

Da quanto siamo venuti fin qui dicendo, mi pare di poter senz’altro affermare, che la terra di Batiorco si trovava fuori di Porta Vescovo, in contrada di S. Nazar extra (si pensi che, questa parrocchia s’estendeva allora fino a S. Michele), nella spianata fra il fiumicello e la via lavagnesca, e che su di essa vi era il Monastero e la Chiesa degli Agostiniani, nonchè un gruppo di case, che prendevano il nome dalla località, stessa, separate le une dalle altre, forse, da una strada, che aveva pure quel nome.

Il nostro storico Veronese del sec. XVII, Lodovico Moscardo, ch’ebbe modo di vedere ai suoi tempi ancora, com’egli afferma, gli ultimi avanzi del vecchio Convento e della Chiesa, così si esprime:  “Quest’ anno (1262) li frati eremitani vennero, ad habitar in Verona a S. Eufemia li quali solevano star a Montorio dove havevano l’antica Chiesa e Monastero, dei quali ancora si vedono i fondamenti” (4).

 

Note della pagina 225

 

(I) A. A. Ver. Arch. di S. Salvar, Corte Regia (Monastero), vol. 1725, carta 435.

(2) A. A. Ver. Arch. di S. Salvar, Corte Regia (Monastero), vol. 1725, carta 437.

(3) A. A. Ver. Volume “Legitimatio campioni facta 1589”, carta 1, (Arch. del Com.). La via lavagnesca è descritta così: “ via che, partendo dalle ferrazze, viene, attraversando la spianata, fino alla città ove finisce “. È detto poi che era attraversata da tre ponti.

(4) L. Moscardo, Historia di Verona, pag. 195.

 

Pag. 226 R. BRENZONI (6)

 

“Le  monache hora dimoranti nel Monastero di S. Salvar Corte Reggia havevano il loro monastero e Chiesa chiamata di S. Agostino poco fuori dalla porta del Vescovo, tra la riva  del  fiumicello vicino al ponte, che lo travesa e fra la strada prossima al detto fiume, per la quale si va a Lavagno”. 

“Vedesi tutt’ hora in questo sito molte vestigia dei fondamenti con assaissime ruine di fabriche non solamente del detto Monastero, ma di  molte habitazioni contigue che ivi si trovavano” (1).

L’ esistenza tutt’ora di quel ponte in cotto, benché in parte rifatto, mi servì alla sicura identificazione della terra di Batiorco;  nome tramandato a noi non soltanto attraverso la storia, ma, per tradizione, nella viva voce di chi coltiva oggidì quel terreno.  E l’ubicazione d’oggi è perfettamente corrispondente ai confini dei secoli andati!   Così infatti viene determinato ora quel tratto di campagna compreso, ad un miglio dalla attuale porta del Ve scovo, fra la via delle Banchette, il fiumicello ed il piccolo ponte in cotto (2). .

Trovandosi questo luogo distante circa un miglio dalle mura di Verona e non  esistendo fino all’epoca Napoleonica il paese  di S. Michele, ed essendo d’altra parte vicino alla strada, che metteva in quel di Montorio, gli storici nostri, dal Moscardo al Dalla Corte, dal Perini al Sommacampagna, non esitarono a chiamare alle volte il Convento, di cui stiamo trattando, “Monastero di S. Agostino di Montorio”.

 

Storia del Monastero

 

Su questa terra di Batiorco la Pieve di S. Giovanni in Valle, come risulta dai suoi antichi registri, che ne fanno parola, esercitò un jus fino da remoti tempi.

Il  14 gennaio  1243 il  suo arciprete Guido ne investì Fra Donello, della Congregazione di Fra Canebono di Cesena, priore

 

 Note di pag. 226

 

(1) L. Moscardo.  Historia di Verona, pag. 387.

(2) Questo tratto di terra posto a poca distanza dalla Chiesa parrocchiale di S. Michele, piantato a gelsi, è segnato al foglio N. 14 (mappe catastali).

 

 

(7) LA TERRA DI  “BATIORCO”,    ECC pag. 227

 

degli Eremitani di S. Agostino, venuto con i suoi monaci in  quel dì nelle nostre contrade.

Scopo di questa investitura fu ch’essi potessero erigere sopra quel terreno una Chiesa ed un Convento, dedicati al loro Santo.

Venne loro pertanto accordata  “ l’ esenzione dalla decima e l’immunità  da qualunque canonica e civile esazione, salvochè dall’annua recognizione d’una libra d’ incenso, che pagar dovevano  in segno di soggezione alla Chiesa di S. Giovanni”  nella festa del loro Santo Titolare.

Così nello stesso anno 1243 si eseguirono le fabbriche e  “ quindi con ogni onorevolezza i Padri vi si annidarono ed ivi stettero con grand’ esempio” (1).

Ma tale dimora non doveva durare a lungo, poiché una Bolla di Alessandro stabiliva, nel 1256, che le  molte Congregazioni  degli Eremitani di S. Agostino si unissero formando unici monasteri: così avvenne anche in Verona e il Monastero di Batiorco divenne troppo ristretto per ospitar tanti monaci, sicché essi dovettero nel 1262  passar in quello di S. Eufemia, entro la Città.

Partiti dal luogo gli Eremitani e rimasto pertanto disabitato il Convento, di questo venne fatto acquisito  da una nobil Donna  “Duchessa di Bagnolo” che nel 1275 ne fece propria dimora ritirandosi a vivere claustralmente insieme a tre monache di nome Margherita, Catterina ed Antonia.

Subentrate così le monache agli eremitani, esse tentarono subito di liberarsi dagli oneri finanziari, che  gravavano sul  Convento e ne fa prova il carteggio svoltosi fra questo  e la  Pieve di S. Giovanni in Valle, che le suore non volevano più  riconoscere come donataria del fondo  “ sive terra di Battiorco” .  Troviamo così in atti del notaio Ottobon de Bonomo  un “ atto di prottestatione contro le dette suore ” per la rivendicazione del

 

Note di pagina  227

 

(1) Atti Bonaventura di Isnardo e  di Ultramarin Nodaro (trovasi copia in un Registro del Monastero di S. Salvar Corte Regia),  (Arch. 1725),  c. 481 (A. A. Ver.). Trovasi riportato  il docum. anche nel manoscr. del Perini (Bibl. Com. di Ver.). (Busta V, incarto Monast. S. Salvar  C. Regia). 

 

Pag.  228 R. BRENZONl (8)

 

diritto in base al documento di concessione del 1243 ai frati Agostiniani con la unita condizione del livello perpetuo.

Il Monastero divenne negli anni sempre più importante e numeroso e nel 1297  (all’ ultimo di ottobre) si unì a questo il Convento di S. Catterina in S. Maria delle Stelle (unione approvata con decreto di Bonincontro Vescovo di Verona in data 10 luglio 1297).

Il numero delle monache benedettine, che vennero in questa occasione ospitate nel nostro Convento, determinarono per così dire una prevalenza di quest’ordine sull’ altro;  e dalla fusione di questi elementi s’ebbe una vera e propria congregazione femminile d’ordine ed abito benedettino,  pur rimanendo al Monastero l’antico nome di S. Agostino.

Intanto Donna Duchesia da Bagnolo era divenuta mal ferma di salute anche per l’età avanzata e il 22 dicembre 1280 fece dono delle costruzioni tutte alle sue compagne, riservando a se l’usufrutto,  sua vita durante, di un orto con alcune stanze vicine alla Chiesa (1).

Questo  Monastero di S. Agostino in Batiorco fu regolato fino allora in forma di Abbadessato e chi volesse potrebbe costruire attraverso le carte, che ci sono giunte, la serie delle priore che si sono man mano succedute.

S’erano intanto maturati per Verona tempi gravidi di tristi avvenimenti e i disagi si ripercuotevano su tutto e su tutti: così  “ essendo gli affari di questo Monastero in gravissimo disordine, e quasi desolato, anche per i contagi, guerra, calamità sofferte dalla nostra Italia, il Vescovo Ermolao Barbaro pensò d’ intraprendere la  riforma di alcuni conventi;  furono pertanto in quell’ occasione levate dal Monastero di S. Spirito cinque monache con la loro stessa Abbadessa, suor Eufrosina, e passate in quello di Batiorco  (2).

 

Note di pagina 228

 

(1) A. A. Ver. Mon. di S. Salvar C. R. (Vol. Arch. 1725) c. 481, Perini (Manoscr. Bibl. Com.). Busta V,   (Mon. S. Salvar).  (Atti di Antonio Castagnaro, Nodaro (copia) ).

(2) A. A. Ver. Val. Monast. S. Salvar C. Regia. C. 482,  e A. A. Ver. Compendio della fondaz. ed esistenza del Monastero di S. Agost., poi S. Salvar C. R., c. 2.

 

(D) LA TERRA DI “BATIORCO”  ECC Pag. 229

 

Ma questo, per il luogo in cui sorgeva, era continuamente posto sotto sopra dalle soldatesche e milizie, che, nelle guerre e negli assedi alla città nostra, di esso facevano rifugio e meta preziosi: sicché le monache, stanche ormai dei lunghi disagi sofferti, chiedevano nel 1486 di poter riparare entro la città  (1).

La legittima loro domanda veniva accolta e approvata con bolla del Papa Innocenzo VIII,  che concedeva l’occupazione del Monastero di  “S. Salvar di Corte del Re “ (2).   Con lettera ducale del 17 febbraio 1487 tale unione dei due conventi veniva confermata e sanzionata dal Doge Augustino Barbadico (3).  Ottenuta così l’autorizzazione ad entrare in città, nel Monastero di S. Salvar, si diede subito opera alla ricostruzione, al restauro, all’ampliamento del fabbricato, che doveva servire per la nuova dimora.

Passate le suore di S. Agostino nella nuova sede, l’antico Convento di Batiorco rimase disabitato e la Chiesa abbandonata.

Se però i tempi antecedenti a questo passaggio non erano stati certamente lieti e tranquilli, avvicinandosi al principio del secolo XVI si preparavano per Verona tempi veramente nefasti; doveva essere questa avvolta ben presto in guerre ininterrotte ed in terribili epidemie.

Dopo la peste degli anni 1511-1512 ricominciò, più violenta che mai la guerra: s’ebbe nel 1516 l’assedio della città da parte dei Veneziani uniti ai Francesi; ma finalmente, in forza del trattato di Bruxelles, la Seren. Repubblica poté riavere Verona, dietro corrispettivo di molte migliaia di ducati.

Così fra indescrivibile entusiasmo la città nostra si diede ancora una volta al dominio della gloriosissima Repubblica Veneta!

Cessata pertanto la guerra, nel timore e per l’eventualità, che altre ne succedessero, il Seren. Dominio  s’accingeva poco dopo a crear nuovi  mezzi di difesa e nuove fortificazioni. Considerando che i borghi potevano servire come punti d’appoggio

 

Note di pagina 229

 

(l) Bibl. Com.  (Manoscr. del Perini),  (S. Salvar, C. R.,  alla data 1486).  Vedi anche docum. nel suaccenn. volume di S. Salvar (arch. 1725)  (A. A. Ver.).

(2) A. A. Ver. Compendio della fondazione ed esist. del Mon. Di S. Ag. (c. 3t e seg.).

(3) A. A. Ver. Com. Fiscale  (Ducali) c. 129 (ANNO 1487).

 

Pag. 230 R. BRENZONI (10)

 

per un esercito nemico, si deliberò, per le esigenze strategiche, l’ abbattimento dei borghi  stessi riccamente adorni, come scrive  lo storico contemporaneo Canobbio  “di divotisime Chiese, ornatissimi  palazzi, honoratissime case, et amenissimi giardini” (1).

In seguito a tale ordine  furono rase al suolo  in varie riprese tutte le case, Chiese, Monasteri, alberi od altro intorno alla Città per un raggio di un miglio, come ci consta dagli atti pubblici e dalle cronache contemporanee (2).

Il decreto fu emanato dal Serenissimo Principe nel 1517 e l’opera di demolizione per la “spianata” ebbe principio nel borgo di S. Giorgio, come afferma il continuatore delle cronache dello Zagata (3).  Nell’ anno successivo, 1518, venivano così demoliti il Monastero, la Chiesa di S. Agostino e le case adiacenti in parte possedute da quelle monache, non rimanendo a queste che il nudo fondo di Batiorco, su cui la Pieve di S. Giovanni conservava ancora il suo antico jus, come vedremo.

Ma se il Convento disabitato nulla più rendeva alle suore, le case adiacenti procuravano alla Congregazione un frutto annuo, pei fitti, di ducati ventotto; tale doveva quindi considerarsi il danno da questa subito per l’abbattimento di quei fabbricati;  e l’abbadessa rivolgeva perciò al Serenissimo Doge una domanda in proposito per ottenere una riparazione, un risarcimento, pel danno subito (4).

La bontà delle ragioni era tale, che il Serenissimo Principe Leonardo Loredano il 27 novembre 1518 in una lettera “ pro monialibus Sancti Augustini ” accordava loro “per l’abbattimento del Monastero con case (e terre) dalle quali le monache ricevevano a titolo di livello ducati 28 annui”, l’esenzione dalle tasse fino a ducati dieci e per sei anni l’esenzione dalla tassa delle  “ lanze” (5).  Rimase pertanto ad esse il solo terreno ingombro dei resti dei fabbricati distrutti, rovine ancor numerose ai tempi in cui scriveva lo storico  Moscardo, come dicemmo (fine XVII sec.).

 

Note di pagina  230

 

(l) Canobbio, Historia della gloriosa imagine della Madonna posta

in campagna di S. Michele, pag. 6.

(2) Il miglio veronese corrispondeva a circa 1800 metri.

(3) Zagata, Cron. di Ver. tomo II, pag. 196.

(4) Perini, Busta V (26), S. Salvar C. R., alla data 1518.

(5) A. A. Vero Camera Fiscale.  Ducali (1517-1530). C. 29-29 t.

 

(11)   LA TERRA DI  “DATIORCO”  ECC. Pag. 231

 

Una domanda, alle quale è doveroso rispondere, è questa: Il fondo di Batiorco rimase sempre proprietà del Monastero di S. Salvar di Corte Regia?  O fu in seguito venduto o ceduto?

A questa domanda rispondono nella forma più chiara e precisa i vari registri amministrativi della  Pieve di  S. Giovanni in Valle, dai quali si ricavano le annualità del livello  della libbra d’incenso ininterrottamente pagate a quella dal Monastero di S. Salvar di Corte Regia fino all’ epoca Napoleonica  (1).  Il diritto di livello, considerato sempre come un “jus in re”,  non poteva essere esercitato che verso il possessore del fondo;  così il possesso di quella terra dovette rimaner sempre del Monastero di S. Salvar.

A comprova di quanto si è detto e a maggiore schiarimento riporto parte del testo di una lettera del 30 ottobre 1846 diretta dall’ I. R. Intendenza Provinciale delle Finanze di Verona alla Fabbriceria di S. Giovanni in Valle, che vantava il diritto del livello della libbra d’incenso verso il Demanio subentrato nella proprietà del monastero di S. Salvar di Corte Regia, dopo l’espropriazione Napoleonica: “onde ottenere la contribuzione del canone di una libbra d’incenso ad essa in origine dovuta dal Conv. di S. Salvar…. sopra una pezza di terra detta Batiorco presso il fiumicello sulla quale fu eretto il  Monastero di S. Agostino….; la pezza di terra sopra indicata  non  appartiene  all’Intendenza”,   essendo passata a privati già da  lungo  tempo (2).

Così sembrami di aver esposto nelle sue linee generali la storia di quest’ eremo, ch’ebbe una vita di duecento e settantacinque anni, e che ospitò figlie di nobilissime ed importanti famiglie, delle quali sarebbe qui inutile far parola; basti dire, che

 

Note di pagina  231

 

(I) Annualità del livello si trovano nei seguenti registri esistenti  nell’Archivio parrocch. di S. Giov. in Valle:  vol. “Nomina antiqua et moderna affictualium ecc.”  Reg. B. (anno 1523), c. 139 t.  “Libro d’entrata di S. Zuane in Valle” (1554), c. 13 t. “Libro della Pieve di S. Giov. in Valle, cominc. l’anno 1583”,    carta 75 t. (vol. F.) (annualità dal 1584 al 1606).   “ Liber S. Johannis in Valle, 1535 e seg.”    C. c. 70 t, (annual. dal 1535 al 1545).  Reg. B, c. 81 (1575). Vol. T (1764), C. 91 ecc.  (Talvolta il livello è corrisposto in denaro: 1 libra incenso è valutata 20 soldi; altro volte vengono accumulate varie annualità).

(2) Arch. parrocchiale di S. Giov. in Valle. (Arch. Busta IX, fasc. X).

 

Pag. 232 R. BRENZONI (12)

 

oltre alla suaccennata Duchessa di Bagnolo anche una Scaligera  vi ebbe dimora “Donna Albuina figlia di Alberto della Scala, Signor di Verona”, creata abbadessa del Monastero nel 1385 (1).

 

Prima di abbandonare questo  studio, piacemi togliere un  errore, spesso ripetuto anche da valorosi nostri storici contemporanei, quale il Prof. Luigi Simeoni.

Parlando della trecentesca “immagine della Madonna di Campagna” così egli si esprime:

“…. Questa pittura che porta dei grafiti  del XV secolo si trovava su una Muraglia del Monastero di Batiorco”. (2). Vediamo ora come stiano le cose: Da tutte le cronache di Verona sappiamo, che effettivamente questo pezzo di muro su cui stava dipinta la Vergine col bambino e due Santi fu trasportata dove ove si trova da una località non bene determinata, in mezzo alla Campagna, e ciò  nel 1559.

Questo frammento di muraglia apparteneva a ruderi  di fabbricato abbattuto nella spianata del 1518, come risulta dagli scritti dell’ epoca.

Costantemente si rilevano da queste pagine  press’a poco le seguenti parole circa quella notizia: “pezzo di muro posseduto insieme con il terreno da Messer Cosimo e fratelli da Perarolo” (3).  TaIe modo di esprimersi comincia già di per sé  a creare dei dubbi circa l’appartenenza di quella muraglia all’Antico Monastero di S. Agostino;  sembrerebbe infatti logico, che i compilatori di quei documenti e di quelle storie avessero dovuto rammentare le origine di quel muro piuttosto che indicare il nome del possessore del fondo in quei giorni.

 

Note di pagina  232

 

(1) A. A. Ver. Comp. della fondaz. ed esist. ecc., c. 2.

(2) L. Simeoni, Guida di Verona. pag. 358.

(3) A. A. Vero Arch. del Com. Vol. N. 49 (Madonna Campagna): (Jura et instrumenta Ecclesie Beat. Virg. Marie ecc.), c. 1. (Parlando del muro dipinto lo si dice: “Illorum a Perarolo”).

Aless. Canobbio nella sua “Historia della Glor. lmag. della Madonna posta in Campagna di S. Miehele (1587) dice: pezzo di muro posseduto insieme il terreno da Messer Cosimo e frat. da Perarolo, quivi restato dalle ruine”.   Il Dalla Corte nello stesso secolo XVI scrive a pag. 747  del II tomo: “ pezzo di muro fuori di Porta Vescovo posto al quanto fuori dalla strada maestra”.

 

(13)   LA TERRA Di  “DATIORCO”  ECC. Pag. 233

 

Vari argomenti poi, mi dissuasero subito della verità dell’ asserzione del Simeoni e di altri;  come spiegare l’appartenenza del fondo di Batiorco, su cui stava il monastero, a certi “Da  Perarolo” se in quegli anni (sec. XVI) e dopo, fino all’ epoca Napoleonica il Monastero di  S. Salvar pagò sempre il canone di livello alla Pieve di  S. Giovanni, quale possessore della terra suddetta?   Ma non basta: si tenga presente, che nell’ archivio di S. Salvar (A. A. Ver.) esistono molti registri anche del sec. XVI, dai quali si conoscono tutti i contratti, locazioni ecc. fatte dal Convento; e mai s’incontra il nome dei “Perarolo”.   La carta ultima da me trovata (della I. R. Intendenza), di cui ho già fatto parola; decide la questione, facendoci noto che solo nel 1813 il fondo era venduto a privati.  La mia tesi avrebbe trovato sostegno anche nel brano dello storico nostro L. Moscardo, che così chiaramente e dettagliatamente segna questa notizia:

“Nella spianata dei borghi, che fu fatta intorno alla  Città era rimasta un  pezzo di muraglia fuori della Porta del Vescovo, sopra di una strada vicinale, poco discosta dal fiumicello e dal sito ove la Chiesa e Convento di S. Agostino…., situata in un terreno all’ hora posseduto da Cosimo dal Perarollo”- (I).   Possiamo pertanto affermare, che il pezzo di muro affrescato, pur essendo nelle vicinanze del Monastero, non vi appartenne.

Così sembrami dimostrato sufficientemente l’errore, in cui sono incorsi vari nostri  scrittori di storia veronese.

 

Note di pagina  233

 

(1) Moscardo, Ristoria di Verona. Tomo II, pag. 419.

 

 

Licenziate  le bozze per la  stampa il giorno 14 febbraio  1925)


Feb 16 2009

I Veneti e la loro storia – tutte le fonti letterarie

Category: Libri e fonti,Veneto e dintornigiorgio @ 12:55

 

Aristotele

 

Presso i Veneti succede, a quanto si dice, un fatto stranissimo. 

Sulle loro terre infatti calano a migliaia le “cornacchie” e saccheggiano il grano da loro seminato. 

I Veneti allora offrono loro, prima che oltrepassino i confini della regione, dei doni, gettando semi di ogni genere, se le “cornacchie” li mangiano, non passano sul loro territorio e i Veneti sanno di poter stare tranquilli; se non ne mangiano, pensano che costituiranno una minaccia, tale quale un attacco nemico.

 

Teopompo di Chio

 

Teopompo narra che gli Eneti abitanti lungo l’ Adriatico, quando è il momento dell’ aratura e della semina, offrono alle “cornacchie” doni consistenti in specie di pani e focacce, impastate molto bene.


L’offerta di questi doni vuole allettare e stabilire una tregua con le “cornacchie”, in modo che esse non scavino e non raccolgano il frutto di Demetra affidato alla terra.


Lico concorda con questo racconto e vi aggiunge che (gli Eneti portano) anche cinghie purpuree e che gli offerenti poi se ne vanno. 

Gli stormi delle “cornacchie” rimangono fuori dei confini, mentre due o tre di esse sono scelte e mandate verso i messi che vengono dalle città, per rendersi conto dell’insieme dei doni. 

Queste, dopo l’esame, fanno ritorno e chiamano le altre, per l’istinto naturale per il quale le une chiamano e le altre obbediscono.


Arrivano dunque a nugoli e, se assaggiano le offerte suddette, gli Eneti sanno di essere in stato di intesa con gli uccelli in questione; se invece non le curano e, sprezzandole come modeste, non le gustano, gli indigeni restano convinti che il costo di quel disprezzo sia per loro la fame. 

Se infatti i predetti uccelli non ne mangiano e, per così dire, non si lasciano corrompere, essi calano sui campi e saccheggiano la maggior parte delle sementi, scavando e cercando con rabbia tremenda.

 

Timeo

 

Molti poeti e storici dicono infatti che Fetonte, figlio di Elio, ancora in età infantile, convinse il padre a dargli, per un giorno, la guida del suo carro. 

Ottenutolo, Fetonte, nel condurre il carro, non riusciva a reggere le briglie e i cavalli, sprezzando la guida del ragazzo, uscirono dalla solita orbita. 

Dapprima, girovagando per il cielo, lo incendiarono e formarono quella che oggi è definita Via Lattea, poi, arsa molta parte della terra abitata, devastarono con le fiamme non poche regioni. 

Perciò Zeus, indignato per l’accaduto, scagliò un fulmine su Fetonte e fece tornare Elio sulla sua solita orbita. 

Fetonte cadde alle foci del fiume ora detto Po e in passato chiamato Eridano e le sorelle, a gara, piansero la sua morte e, per l’intensità del lutto, persero il loro primitivo aspetto, trasformandosi in pioppi. 

Questi, ogni anno nello stesso periodo, stillano una lacrima che, induritasi, produce la cosiddetta ambra. 

Questa supera per splendore le pietre dello stesso tipo e, nella regione, viene usata in segno di lutto alla morte dei giovani . (…)

 

Catone

 

La maggior parte della Gallia coltiva soprattutto l’arte militare e l’eloquenza.

 

Polibio

 

Un altro popolo, già da tempo, si era insediato lungo il litorale adriatico; sono chiamati Veneti e, per costumi e abbigliamento, sono poco diversi dai Celti, ma usano un’altra lingua. (…)

I Galli della Cisalpina desiderano seguire Annibale, ma se ne restano tranquilli per timore dei Romani; alcuni sono poi costretti a militare tra le fila romane.

 

Catullo

 

Ma morranno gli Annali di Volusio proprio vicino alla sua Padua e forniranno spesso ampi cartocci per gli sgombri.

 

Cicerone

 

Gli abitanti di Vicenza mostrano grande rispetto verso di me e verso M. Bruto. 

Ti prego perciò di fare in modo che non subiscano un torto in senato per la questione dei vernae. 

La loro causa è più che legittima, la loro lealtà verso lo stato è provata, i loro avversari invece sono tipi indegni totalmente di fiducia e turbolenti. 

Da Vercelli, 21 maggio (43 a.C.).

Non si può certo passare sotto silenzio il valore, la fermezza e la dignità della provincia della Gallia. 

Essa costituisce davvero il fiore d’Italia, il sostegno del popolo romano, l’ornamento della sua grandezza. (…)

 

Ovidio

 

Mantova è fiera di Virgilio, Verona di Catullo (…).

 

Stradone

 

Si tratta di una pianura estremamente ricca e costellata di fertili colline. 

E’ divisa circa a metà dal Po in due regioni, chiamate rispettivamente Cispadana e Transpadana; la Cispadana quella verso i monti Appennini e la Liguria, la Transpadana quella restante. 

La prima è abitata da stirpi liguri e celtiche, le une sulle montagne, le altre in pianura, la seconda è abitata da Celti e da Veneti. 

Questi Celti sono della stessa razza dei Celti transalpini, mentre per quanto riguarda i Veneti la spiegazione è duplice. 

Alcuni sostengono infatti che siano un ramo degli omonimi Celti abitanti lungo l’Oceano, altri che siano dei Veneti della Paflagonia, salvatisi qui con Antenore dopo la guerra di Troia. 

A prova di questa loro affermazione costoro citano il loro zelo per l’allevamento dei cavalli, attività oggi completamente scomparsa, ma un tempo molto in onore presso di loro e derivante da una antica predilezione per le cavalle generatrici di muli, cui allude Omero: “dal paese dei Veneti, da cui (proviene) una razza di muli selvatici”. 

E Dionigi, il tiranno di Sicilia, aveva fatto venire di qui il suo allevamento di cavalli da corsa, tanto che i Greci conobbero la fama degli allevatori veneti e questa razza divenne per lungo tempo celebre presso di loro.


L’intero territorio abbonda di fiumi e di lagune, soprattutto nella parte abitata dai Veneti (…).
(…) 

Sono un fatto accertato invece gli onori resi a Diomede presso i Veneti. 

Gli si sacrifica infatti un cavallo bianco e si mostrano due boschi sacri l’uno ad Era Argiva, l’altro ad Artemide Etolia. 

Si favoleggia poi, com’è ovvio, che in questi boschi le fiere diventino domestiche, che i cervi vivano in branco con i lupi, lasciandosi avvicinare ed accarezzare dagli uomini, che la selvaggina inseguita dai cani, non appena rifugiatasi qui, si salva dall’inseguimento.


Si racconta anche che uno dei maggiorenti del luogo, conosciuto perché amava offrirsi come garante e per questo deriso, incontrò dei cacciatori che avevano preso in trappola un lupo.


Costoro, per scherzo, gli promisero che, se dava garanzia per il lupo e pagava il prezzo dei danni che poteva fare, lo avrebbero liberato dai lacci ed egli acconsentì. 

Il lupo, liberato, si imbatté in un gruppo di cavalle non marchiate e le spinse verso la scuderia del suo garante; questi, sensibile a una tale prova di riconoscenza, marchiò le cavalle con un lupo e le chiamò licofore, bestie più rinomate per velocità e per bellezza.


I suoi discendenti conservano il marchio e il nome di questa razza di cavalli e si fecero come legge di non vendere all’estero neppure una giumenta, per mantenere solo per sé la razza autentica, dato che là questo allevamento era diventato famoso.


Ora però, come abbiamo detto, questa attività è del tutto scomparsa (…).

 

 

Fonte: Da “Le fonti letterarie per la storia della Venetia et Histria”
Clizia Voltan, 

 

“Da Omero a Strabone”, Volume I – (Venezia, 1989. Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti)

 

Storia – Veneto – Veneti – Origini

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Gen 26 2009

Adriano Gaspani: Verona origini storiche e astronomiche

Category: Libri e fontigiorgio @ 17:31

 

PREFAZIONE AL TESTO

 

Il cielo sopra di noi da sempre ci affascina nel chiarore flebile della sua immensità.

Sovrasta la nostra esistenza pressoché immutato nei millenni dei millenni.

In esso eternamente cerchiamo risposte sul nostro destino, propiziamo la nostra fortuna e cerchiamo inconsciamente il senso profondo della nostra vita.

Le stelle con la loro luminosità sembra ci indichino una via di salvezza, una maniera per liberarsi della pesantezza della materia, del terrestre per essere assorbiti dall’alto, dove tutte le religioni collocano le loro divinità.

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Dic 12 2008

Verona-La Carta Lapidaria della Chiesa di Negrar

Category: Chiesa veronese,Libri e fonti,Verona storia e artegiorgio @ 11:48

La  Carta lapidaria

 

La Carta lapidaria di Negrar  è definita la lunga iscrizione  di ben 64 righe, una delle più lunghe d’Italia,  scolpita in caratteri maiuscoli romani nel 1166  o poco dopo, sulla parete sud del campanile della Chiesa di Negrar. Vi è riportata una serie di contratti,  tutti del 1166, mediante i quali la pieve di Negrar riscatta un vecchio censo annuale dovuto al cittadino veronese Ribaldino.
Praticamente essa non è altro che un atto notarile autentico,  un contratto stipulato nel 1166 fra Wizardo arciprete della chiesa di S. Martino di Negrar e gli eredi di Odelrico Saketo

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Dic 10 2008

STORIE DE L’ARBIO di Don Alberto Benedetti

PREFAZIONE di Mons. Alberto Piazzi, prefetto della Biblioteca Capitolare di Verona.

Don Alberto Benedetti è certamente un personaggio scomodo. Forse non fa nulla per esserlo, ma nemmeno fa nulla, ma proprio nulla per non esserlo. Scomodo e anche un po’ anarchico, non perché sia nemico della regola o del principio di autorità ma perché non consente ad alcuna legge positiva di prevaricare sulla sua coscienza.

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Dic 09 2008

Pergamena di Chinon trascrizione e traduzione

Category: Chiesa Cattolica,Conoscenza varie,Libri e fontigiorgio @ 19:48

Assoluzione degli Alti Dignitari dell’Ordine del Tempio da parte dei Legati Pontifici ASV, A.A., Arm. D 217 – Chinon, 1308 agosto 17-20

In nome di Dio amen. Noi per misericordia divina cardinali preti Berengario del titolo dei Santi Nereo e Achilleo, e Stefano del titolo di San Ciriaco in Termis, e Landolfo, cardinale diacono del titolo di Sant’Angelo, rendiamo noto a chiunque visionerà il presente e pubblico documento quanto segue:

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Dic 09 2008

Pergamena di Chinon: Assoluzione di Papa Clemente V ai capi dell’Ordine Templare

Category: Chiesa Cattolica,Libri e fontigiorgio @ 19:39

Chinon, diocesi di Tours, 1308 agosto 17-20.  Originale formato da un unico foglio membranaceo di grandi dimensioni (mm. 700×580), in origine munito dei sigilli pendenti dei tre legati apostolici che formavano la speciale Commissione apostolica ad inquirendum nominata da Clemente V: Bérenger Frédol, cardinale prete del titolo dei SS. Nereo ed Achilleo e nipote del papa, Étienne de Suisy, cardinale prete di S. Ciriaco in Thermis, Landolfo Brancacci, cardinale diacono di S. Angelo.

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Dic 09 2008

Vaticano: Pergamena di Chinon, svelato il mistero dei templari

Category: Chiesa Cattolica,Libri e fonti,Storia e dintornigiorgio @ 19:20

IL FOGLIO DI CHINON: SVELATO IL MISTERO DEI TEMPLARI – DOPO 7 SECOLI IL VATICANO APRE GLI ARCHIVI . Il titolo è di quelli che fanno venire l’acquolina in bocca agli appassionati del genere mistico-esoterico: il “Processus contra Templarios” si basa, sostanzialmente sul “Foglio di Chinon”, la pergamena scoperta nel 2001 dalla ricercatrice Barbara Frale nell’Archivio Segreto Vaticano.

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