Giu 09 2009

Il partito dei Pirati arriva a Strasburgo

I Pirati all’Europarlamento”Difenderemo la libertà sul web”

Gli “hacktivist” superano il quorum avendo ottenuto in Svezia il 7,4 per cento dei voti e arrivano al Parlamento europeo.

Il portavoce italiano: “Il nostro Paese? Uno dei più impegnati per ridurre al silenzio la rete e le sue comunità”.

Per la prima volta il Partito Pirata entrerà nel Parlamento Europeo. Il partito ha, infatti, ottenuto in Svezia il 7,4% devi voti, una svolta che la dice lunga sui sentimenti popolari intorno a temi quali il copyright su Internet e la paura di una rete meno libera. Costituito in Svezia nel 2006, il Partito dei Pirati ha varie diramazioni in tutta Europa (Italia compresa) ed è nato con lo scopo di modificare, sia legalmente, sia concettualmente, il copyright e il diritto d’autore in generale. Secondo il partito, infatti, il copyright e, più in generale, il diritto d’autore sono attualmente troppo sbilanciati in favore dello sfruttamento economico a scapito dello sviluppo culturale della società.

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Giu 06 2009

Attacco alla libertà di internet

Il Senato ha approvato il cosiddetto pacchetto sicurezza (D.d.L. 733) tra gli altri con un emendamento del senatore Gianpiero D’Alia (UDC) identificato dall’articolo 50-bis: Repressione di attività di apologia o istigazione a delinquere compiuta a mezzo internet; la prossima settimana Il testo approderà alla Camera diventando l’articolo nr. 60. 

Il senatore Gianpiero D’Alia (UDC) non fa parte della maggioranza al Governo e ciò la dice lunga sulla trasversalità del disegno liberticida della “Casta”. 

In pratica in base a questo emendamento se un qualunque cittadino dovesse invitare attraverso un blog a disobbedire (o a criticare?) ad una legge che ritiene ingiusta, i providers dovranno bloccare il blog.

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Mar 13 2009

i nemici di Internet

Si intitola “I Nemici di Internet”, ed è una sorta di guida ragionata ai luoghi ed i modi della censura online. A stilarla, gli attivisti di Reporters Sans Frontières (RSF), che descrivono un mondo sempre più minacciato dal cybercontrollo. Nei paesi sotto dittatura e non solo.

“Con il pretesto di proteggere la morale, la sicurezza nazionale, la religione e le minoranze etniche, e talvolta persino il potenziale spirituale culturale e scientifico del paese, molti paesi ricorrono al filtraggio della rete per bloccarne parte dei contenuti” denuncia RSF nell’introduzione al documento (disponibile qui in versione integrale).

E dopo questa prolusione generale, gli autori del documento fanno nomi e cognomi dei cattivi, stilando una “Top12” dei paesi meno virtuosi e dedicando ad ognuno una scheda sinottica, completa di dati, riferimenti legislativi ed episodi notevoli in materia di censura digitale.

In cima alla lista si colloca la Cina. È qui che si trova la macchina di controllo più robusta e capillare, con oltre 40000 funzionari pubblici pagati per monitorare le comunicazioni online, quasi 50 persone in prigione per reati legati alla cyber-espressione ed un Ministero dell’Informazione onnipresente.

Ma Vietnam e Siria, che con la Cina condividono il “podio”, non se la cavano male neppure loro. Nel paese mediorientale, spiega RSF, il governo ha inibito l’accesso a una serie ampia di siti – tra cui YouTube, Amazon e Facebook – ed ha imprigionato almeno cinque persone per “reati di espressione” legati a quanto scritto online. In Vietnam, invece, le autorità hanno creato una forza di cyber-polizia dedicata in modo esclusivo al controllo su Internet, mentre il Ministro dell’Informazione ha così commentato l’impiego dei mezzi di espressione individuale: “I blog sono spazi dedicati alle notizie personali. Se un blogger li usa per le notizie pubbliche, alla maniera degli organi di stampa, sta infrangendo la legge e sarà punito”.

L’imprigionamento dei blogger e il restringimento del range di siti raggiungibili non sono comunque le uniche strategie di limitazione della libertà impiegate, denuncia ancora il report. Di recente, governi come quello cinese hanno cominciato a “orientare” la discussione su blog e social network con commenti comandati dall’alto (il cosiddetto astroturfing), mentre altri hanno preso ad impiegare gruppi di hacker per colpire i nemici interni ed esterni.

Della lista dei “più cattivi” fanno parte, oltre ai paesi già menzionati, anche Cuba, Egitto, Myanmar, Iran, Corea del Nord, Arabia Saudita, Tunisia, Turkmenistan, Uzbekistan. Nel complesso, spiega RSF, sono oltre 70 le persone in prigione per “reati di espressione” commessi in rete.

Dopo aver completato la disamina sui dodici least wanted, poi, il report esamina la situazione dei paesi ritenuti “a rischio”. E qui arrivano altre sorprese. Perché in questo secondo gruppo si trovano tra gli altri anche due paesi – la Corea del Sud e l’Australia – che si potrebbero ritenere delle democrazie compiute. Ed invece, argomenta RSF, anche qui le autorità hanno introdotto delle misure legislative che potrebbero attentare alla libertà di espressione online.

La cronaca degli ultimi anni ha visto un aumento costante dei tentativi di controllo e censura governativa nei confronti di Internet, in moltissime parti del mondo. Alcuni paesi, come ad esempio la Cina, sono arrivati a difendere pubblicamente l’esigenza di censurare la comunicazione online, e si sono verificati talvolta effetti perversi come l’autocensura da parte degli stessi cittadini della rete.

Fonte: srs di Giovanni Arata Venerdì  13 maggio 2009


Mar 13 2009

Parigi lustra la ghigliottina

Presso l’Assemblea Nazionale francese sono ore di dibattito: si sta discutendo del futuro della gestione dei diritti di proprietà intellettuale online, si sta tracciando un solco nel quale gli attori del mercato dovranno muovere per difendere la propria attività. La dottrina Sarkozy attende di essere avallata dalle istituzioni.

Al senato era passata all’unanimità, fatta eccezione per l’astensione di sparuti rappresentanti dei cittadini. La loi Création et Internet è ora all’esame dell’Assemblée Nationale. L’obiettivo, ha spiegato del ministro della Cultura Christine Albanel, è quello di dissuadere i cittadini della rete dall’abusare della connettività: “se il downloading illegale si riducesse del 60 o del 70 per cento sarebbe una grande vittoria”. Le armi che la legge potrebbe consegnare nelle mani dell’industria dei contenuti per tutelare mercato e legalità, armi che l’industria dei contenti ambisce ad imbracciare in mezzo mondo, sono missive e ghigliottine sulla connessione. Il primo avvertimento potrebbe giungere a mezzo email: una misura che dovrebbe scoraggiare molti dei downloader. Nel caso in cui entro sei mesi l’industria si trovi a riscontrare una nuova violazione in capo all’indirizzo IP dietro a cui si cela l’abbonato, il provider si troverà a dover recapitare una seconda ingiunzione. Il terzo avvertimento potrebbe arrivare per posta, con una raccomandata con ricevuta di ritorno.

Dopo la terza notifica, la disconnessione: i provider non dovranno concedere connettività a coloro che si siano macchiati di violazioni del diritto d’autore. Le pene potrebbero oscillare da un mese ad un anno: a comminarle, l’Haute Autorité pour la diffusion des ?uvres et la protection des droits sur Internet (Hadopi), l’autorità indipendente posta a presidio della ghigliottina francese. Non sarà l’autorità giudiziaria a fare da filtro tra i detentori dei diritti e i cittadini della rete: se il disegno di legge dovesse entrare in vigore, all’industria dei contenti basterà rastrellare indirizzi IP e chiedere all’Hadopi di intercedere presso i provider. Gli ISP potrebbero essere costretti a consegnare il nome dell’intestatario dell’abbonamento a cui è riconducibile l’indirizzo IP colto in fallo dall’industria, il cittadino potrà patteggiare o fare ricorso rivolgendosi all’autorità giudiziaria. Le autorità ritengono che l’individuazione e la punizione di un indirizzo IP sia la strada da battere, nonostante la stessa magistratura francese abbia riconosciuto che l’IP non consenta di delimitare una responsabilità individuale. Una volta identificato e avvertito l’intestatario dell’abbonamento, questa la dinamica che i relatori della legge prevedono si inneschi, sarà lui stesso ad operare il controllo e un’azione dissuasiva nei confronti dei fruitori della connettività che mette a disposizione, siano essi pargoli irretiti dalla rete o infidi piggybacker.

Non è ancora chiaro quanto costerà innescare il meccanismo di risposta graduale: le istituzioni meditano di stanziare 15 milioni di euro per sostenere le attività dell’autorità, ma la ripartizione dei capitoli di spesa sembra ancora da discutere. I provider potrebbero essere gli anelli della catena più penalizzati: si stima che possano dover spendere oltre 30 milioni di euro per sostenere il proprio ruolo di boia a tutela del diritto d’autore. Sembrerebbe trattarsi di un contrappasso: la motivazione di un alto tasso di pirateria, ha denunciato il ministro Albanel, sarebbe da imputare alle offerte di banda illimitata messe a disposizione degli ISP.

Sono finora oltre 400 gli emendamenti depositati. Una volta illustrato il testo della legge, l’Assemblea Nazionale passerà al vaglio le altre istanze proposte. C’è chi ambisce ad abolire i sistemi DRM, una volta che le violazioni siano scoraggiate con la minaccia della disconnessione, c’è chi vorrebbe scongiurare il rischio che agli intermediari venga imposto l’onere di filtrare i contenuti in rete, c’è chi sembrerebbe invece voler imporre ai gatekeeper della rete di incanalare i cittadini verso offerte legali messe in campo per contrastare i traffici illeciti. Con ogni probabilità si deciderà solo dopo la fine del mese di marzo.

Se il dibattito parlamentare si sopirà e verrà rimandato di settimane per lasciare spazio ad altre priorità, il confronto fuori dall’Assemblea infuria. La spaccatura non risparmia la stessa maggioranza: “Internet non è un giocattolo – ha denunciato Lionel Tardy, deputato dell’UMP, facendo riferimento all’orientamento espresso in sede europea – ma un servizio universale”. Per questo motivo Tardy chiede la mediazione dell’autorità giudiziaria: solo un magistrato può decidere di delimitare la libertà di esprimersi e di informarsi che spettano al cittadino. Sulle sanzioni vertono inoltre numerose delle critiche mosse alla loi Création et Internet: c’è chi ritiene la disconnessione una misura troppo radicale, e propone di convertirla in un’ammenda, garantendo così l’accesso a servizi di utilità fondamentale.

I cittadini della rete, nel contempo, organizzano la mobilitazione e tentano di insinuare nel Palazzo il concetto di licenza globale per accedere alle opere, che garantirebbe la possibilità di attingere a flussi di contenuti senza per questo privare i detentori dei diritti dell’equo compenso che spetta loro. Basterebbero tra i due e i sette euro al mese, spiega Philippe Aigrain, cofondatore dell’associazione a tutela dei diritti dei netizen La Quadrature du Net: qualora aderissero 18 milioni di utenti si potrebbe ricompensare abbondantemente tutta la filiera dell’audiovisivo.

Fonte: srs di Gaia Bottà, da Punto informatico del 13,aprile,2009


Mar 13 2009

Wikipedia cede al diritto d’autore italiota

Roma – Se ancora li avesse, probabilmente anche Fuksas si metterebbe le mani nei capelli. Secondo quanto deciso da amministratori ed utenti di Wikimedia Commons e della Wikipedia italiana, infatti, le fotografie delle sue opere – assieme a quelle di un nutrito numero di colleghi – vanno eliminate dalla nota enciclopedia telematica a causa del diritto d’autore. L’intera architettura contemporanea e moderna italiana, perciò, rischia di non poter essere raffigurata nella più grande enciclopedia del mondo, col pesante danno per i beni culturali italiani che questo comporta.

 

Mentre il Brunelleschi se la rideva dal suo sepolcro in Santa Maria del Fiore, già nel gennaio 2007 la Soprintendenza per il Polo Museale fiorentino pensava bene di diffidare l’uso “in modo non autorizzato di immagini di opere conservate nei musei statali di Firenze”, inviando una lettera formale tramite il sistema OTRS alla Wikimedia Foundation (che gestisce tutti i progetti intorno a Wikipedia).

 

Da allora si è animato un ampio dibattito, fino ad arrivare alla sofferta decisione di eliminare le fotografie raffiguranti opere architettoniche in Italia di progettisti ancora in vita, o morti da meno di 70 anni (come previsto dalla Legge 633/1941 sul diritto d’autore). Questo perché la legislazione italiana, a differenza di molti altri paesi, non contemplerebbe il cosiddetto panorama freedom (libertà di panorama), che permette a chiunque di fotografare e riprodurre quanto pubblicamente visibile senza preoccuparsi di dover trovare il progettista e pagargli i diritti d’autore.

 

La prossima volta che fotografiamo la Stazione Centrale di Milano in una calda sera estiva, quindi, oltre a dover fare attenzione a non essere rapinati, sarà meglio verificare che non ci siano nelle vicinanze funzionari della SIAE. Anche le opere dell’architettura (come quelle della pittura, del disegno, della fonografia…), infatti, sono protette dalla legge sul diritto d’autore (Artt. 2 e 13). Di conseguenza, solo gli autori originali avrebbero il diritto esclusivo di riprodurle, in qualsiasi forma: inclusa quella fotografica. La violazione vera e propria (l’uso per scopo personale è consentito), nasce nel momento in cui la fotografia viene caricata su un sito ad accesso pubblico e dotata di una licenza libera, diventando potenzialmente riproducibile anche con fini commerciali. Questa è esattamente la filosofia Wikipedia.

 

Dello stesso avviso è il prof. Enrico Santarelli, ordinario di Politica Economica ed Economia industriale dell’università di Bologna, a cui abbiamo chiesto un parere in proposito. Secondo Santarelli, “la questione, ovviamente, si pone qualora i titolari del diritto intendano farlo valere”.

 

Punto Informatico: Wikipedia (anche quella italiana) si trova su server posti negli Stati Uniti, ove è in vigore la dottrina del “fair use”. Posto questo, crede sia legale la riproduzione fotografica di un’opera architettonica italiana su quei server?

Enrico Santarelli: È un questione complessa che evidenzia il problema – di cui prima o poi qualcuno dovrà occuparsi – della omogeneizzazione delle normative internazionali. È da tener presente che in materia di brevetti, ad esempio, il mancato completamento delle procedure di definizione di un “brevetto europeo” fa sì che in sede di enforcement (quasi) ciascun paese dell’ Unione europea segua procedure diverse. Tornando al caso specifico, credo che gli aventi diritto possano comunque chiedere di oscurare quel sito estero nel paese in cui la normativa non contempla la dottrina del “fair use”.

 

PI: Il nucleo della Legge sul diritto d’autore in Italia risale addirittura al 1941. Si può affermare che sia sostanzialmente arretrata rispetto al quadro mediatico e tecnologico configuratosi negli ultimi anni?

ES: Le attuali tecnologie dell’informazione e della comunicazione rendono imprescindibile una omogeneizzazione delle normative a livello internazionale. In questo caso, parlerei di una ineluttabilità della globalizzazione delle norme a tutela del copyright.

 

Quindi, a meno di un diretto pronunciamento degli interessati o di un’improbabile modifica della legge sul copyright, il destino dell’architettura moderna italiana su uno dei dieci siti più visitati al mondo, pare segnato. L’Auditorium Parco della Musica di Roma, la Fiera di Milano, la Stazione Centrale, il palazzo del rettorato de La Sapienza di Roma, le stazioni della metropolitana di Napoli, il Pirellone, la nuova chiesa di Padre Pio a San Giovanni Rotondo… scompariranno a breve dalle Wikipedie internazionali: per la gioia del turismo italico, della promozione dei beni culturali, e di quei 60 milioni di utenti che ogni giorno visitano Wikipedia nelle varie lingue. L’ironia maggiore sta nel fatto che un’opera di un architetto italiano collocata, ad esempio, in Germania, può tranquillamente essere riprodotta, poiché la legge tedesca – come la maggioranza degli stati europei – prevede la succitata “libertà di panorama”.

 

Così, mentre la stessa Germania finanzia lo sviluppo di Wikipedia, l’Italia la diffida dall’uso di fotografie di quadri presenti nei propri musei e si trova senza le immagini di tutte le opere architettoniche moderne presenti nel proprio territorio. In attesa di trovare il classico cavillo legale che risolva la situazione, fra mandolini, pizza e maccheroni.

 

Fonte: srs di Luca Spinelli da Punto informatico lunedì 02 luglio 2007


Mar 13 2009

Fotografare nei musei

 

Fotografare i quadri e le opere d’arti nei  musei italiani è vietato perché “si rovinano”, al Louvre di Parigi invece si può…

Della serie,  vivere   nel paese delle balle.


Mar 12 2009

Legge Urbani, ovvero l’ arte italiana scompare dalla rete

Ecco un bel articolo che spiega le conseguenza  di una delle più belle legge che poteva  partorite questa decadente, confusionaria e incapace  legislazione italiana dove la sapienza  è un’opzione rarissima.

 

Esempio eclatante della totale mancanza di   rispetto  dello stato verso i sui cittadini, visto che è riuscita per i soli meri interessi di potentati economici, culturali e fiscali togliere l’usufrutto  dell’arte  e delle bellezze dell’ Italia agli stessi italiani e non solo.

 

Venerdì  21 dicembre 2007

Roma – Pochi giorni fa il Ministro Rutelli ha annunciato il rientro nel nostro territorio di opere d’arte italiane trafugate e portate illegalmente all’estero. 

Dal 21 dicembre al 2 marzo, sessantotto manufatti d’epoca romana, greco-romana ed etrusca, avranno temporaneamente casa in una mostra al Quirinale, di ritorno dalle teche di prestigiosi musei e gallerie di tutto il mondo (tra i quali il Metropolitan di New York), per poi trovare collocazione nei più importanti musei della penisola.

L’intellighenzia italiana, con in prima fila il ministro Rutelli, si è felicitata e congratulata per quello che rappresenta indubbiamente un notevole successo per i beni culturali nostrani.

Queste opere però – e non solo queste – sono condannate da una misconosciuta legge italiana ad un limbo burocratico dal quale sarà ben difficile tirarle fuori, e che rischia di consegnarle all’oblio più completo.

Il “Codice dei beni culturali e del paesaggio” (che chiameremo Codice Urbani, dal nome del suo ispiratore), regola tutte le opere gestite da enti pubblici italiani, e sta creando non pochi problemi alla loro promozione nel mondo. 

Tale codice prevede il divieto assoluto di fotografare le opere in mancanza di un’autorizzazione dell’ente che le gestisce (museo, comune, ministero…). Per lo stesso motivo è vietata anche la riproduzione su internet.

Nel silenzio generale dei media, sotto la scure del Codice Urbani sono già passate l’Annunciazione di Leonardo, la Venere di Botticelli, il Bacco di Caravaggio ed altre notissime opere di Raffaello, Tiziano e Rembrandt: tutte scomparse dalla maggiore enciclopedia online del mondo. 

Ma non è tutto: altre decine e decine di fotografie di opere notissime stanno scomparendo proprio in questi giorni a causa della suddetta legge. 

E con loro, chissà quante altre nel silenzio di siti più piccoli spersi per la Rete.

Anche le opere appena recuperate rischiano la stessa sorte, con la tutto sommato piccola aggravante che il tempo per fotografarle è pure più ristretto. I reperti, infatti, dopo il breve periodo di permanenza al Quirinale, partiranno per le loro collocazioni definitive in musei e gallerie italiane. 

A chi volesse fotografarli per inviarne la foto alla nonna che vive in Svizzera, non resta che appostarsi davanti al Quirinale per intercettarli durante il loro ultimo viaggio verso la galera burocratica dei musei italiani (sempre che, com’è ovvio che sia, non siano già ora in gestione a un ente pubblico).

Il governo, interrogato sulla questione, ha recentemente confermato ufficialmente il ruolo e i poteri operativi di questa legge. Nella stessa dichiarazione, il sottosegretario ai beni culturali Andrea Marcucci ha chiarito incontrovertibilmente che anche la “Libertà di panorama” in Italia non esiste. 

Riassumendo: non solo non è possibile fotografare le moderne opere architettoniche pubbliche, non è nemmeno possibile fotografare quadri e sculture di qualsiasi epoca presenti nel territorio italiano.

In una società sempre più pervasa dalla tecnologia e dall’immediatezza di comunicazione, dove la maggioranza delle informazioni viene acquisita online, l’Italia si chiude dietro a leggi burocratiche e farraginose che stanno facendo scomparire tutta la sua arte dal Web: coi danni che questo comporterà nel breve ma soprattutto nel lungo termine.

E ora c’è già chi pensa che le opere trafugate stessero molto meglio nei musei che, fino ad oggi, le hanno esposte molto più liberamente.

 

Fonte Prima comunicazione 21,12,07

Luca Spinelli

luca.spinelli@deandreis.it


Mar 12 2009

Il Comitato italiano antipirateria

Category: Informatica,Media e informazionegiorgio @ 06:19

Roma – Continua la strana storia, tutta italiana, di quel decreto del Presidente del consiglio (DPCM 15 settembre 2008) che istituisce presso le istituzioni un “Comitato tecnico contro la pirateria digitale e multimediale”. Tale decreto è in vigore già da quasi due mesi, come annunciato dalla Gazzetta Ufficiale. Tuttavia se ne sa ancora molto poco.

Proseguono, intanto, le voci di critica e perplessità avanzate da varie associazioni, voci già raccolte nelle settimane scorse da Punto Informatico.

Dopo un’indagine online, però, siamo finalmente riusciti a trovarne una copia sul sito del governo. Poiché abbiamo a disposizione il testo, facciamo un’analisi critica del Decreto che istituisce il Comitato, riassumendo le parti salienti.

L’articolo 1 del decreto definisce i compiti del “comitato antipirateria”, ovvero:

a) coordinamento delle azioni per il contrasto del fenomeno;

b) studio e predisposizione di proposte normative;

c) analisi e individuazione di iniziative non normative, ivi compresa anche la eventuale stipula di appositi codici di condotta e di autoregolamentazione.

Oltre ad attività di tipo repressivo, perciò, tra i compiti del comitato non sembra prevista alcuna forma di studio o indagine né sul fenomeno della pirateria in sé, né sulle dinamiche della rete, né per la proposta di soluzioni deterrenti alternative alla semplice repressione (come per esempio il supporto della vendita di musica tramite canali legali). 

Ciò significa che il comitato agirebbe e lavorerebbe strettamente con un ottica repressiva o, nei casi migliori, etico/moralizzatrice (tramite il punto c). 

L’articolo 2 stabilisce chi sono i membri di detto comitato:

a) il segretario generale della presidenza del consiglio dei ministri, in qualità di coordinatore

b) il capo di gabinetto del ministero dei beni e attività culturali, in qualità di vice coordinatore

c) sei capi di gabinetto dei principali ministeri

i) il presidente della SIAE

j) due rappresentanti della presidenza del consiglio dei ministri

k) due rappresentanti del ministro per i beni e le attività culturali

l) due esperti del settore, nominati dal presidente del consiglio dei ministri d’intesa col ministro per le attività culturali

Molti rappresentanti delle istituzioni ma nessun membro indipendente, nessun membro delle associazioni dei consumatori, di quelle dei provider, nessun membro della società civile né della cultura, né dell’imprenditoria. 

Come se al tavolo per discutere il futuro della carta stampata italiana sedessero solo il ministro per i beni culturali e un “esperto” da lui stesso nominato. 

Infatti, gli unici due “esperti del settore” presenti nelle file del comitato dovranno essere nominati da Silvio Berlusconi in accordo con Sandro Bondi. 

Soggetti di cui almeno uno dei due non è proprio un profondo conoscitore del mezzo (come da lui stesso rivelato in una recente intervista).

L’articolo 3 indica le modalità di funzionamento del comitato. In particolare:

2. il comitato svolge audizioni, anche pubbliche, di esponenti delle categorie, associazioni, enti dei settori interessati.

3. si avvale di un proprio indirizzo internet per avviare una consultazione pubblica con le categorie interessate, con gli utenti del settore e con i cittadini.

Sebbene il proposito di svolgere audizioni pubbliche e di sfruttare un proprio indirizzo internet per la comunicazione con gli utenti e i cittadini sia confortante, mancano indicazioni chiare su come tale consultazione avverrà, su quale sia l’indirizzo internet cui fare riferimento (probabilmente questo), e soprattutto sulla effettiva considerazione che queste non meglio precisate “consultazioni” avranno in sede di decisione. Manca, in sostanza, un’auspicabile e fondamentale comunicazione trasparente.

In attesa di ulteriori e attesi chiarimenti dal governo, un sentimento di preoccupazione è diffuso: attualmente, infatti, ci troviamo di fronte ad un nutrito comitato ministeriale il cui unico e monotematico compito è la lotta alla pirateria. 

Un comitato composto da soli membri del governo e della SIAE: soggetti che, a prescindere da quale sia la propria opinione in materia di pirateria, difficilmente rappresentano tutti i movimenti vivi nel variegato mondo della cultura e della Rete.

Ebbene: quale autorità ha un comitato così composto per redigere codici etici e deontologici in totale autonomia sulla gestione di un fenomeno estremamente complesso come quello della pirateria? 

Quale reale utilità democratica può avere un tavolo di discussione al quale non sono invitati buona parte dei soggetti in causa se non per prendere il dolce (ovvero tramite le non precisate “audizioni”)? Quale senso ha un comitato formato per redigere leggi sul Web senza neppure alcun membro del ministero delle comunicazioni o del dipartimento per l’innovazione tecnologica?

È da tempo noto l’apprezzamento delle istituzioni italiane verso la cosiddetta “dottrina Sarkozy” in materia di pirateria. La dottrina francese, lo ricordiamo, prevede l’avvertimento graduale dell’utenza che viola il diritto d’autore fino a giungere a un distaccamento della connessione.

Il Comitato antipirateria istituito presso il Consiglio dei ministri, perciò, come preconizzato da alcuni, parrebbe sempre più il primo passo verso l’introduzione anche in Italia di una norma con gli stessi intenti (pur se già bocciata in sede europea).

In una società in cui il Web ha una rilevanza sempre più fondamentale nelle attività di tutti i giorni, secondo alcuni legislatori il diritto alla tutela dell’autore sembrerebbe quindi più importante di quei diritti fondamentali che la Rete stessa garantisce. Un po’ come se per punire chi ha detto una parolaccia gli si tagliasse la lingua.

 

Fonte: srs di Luca Spinelli


Mar 11 2009

L’Iran… no, e’ l’Italia a presentare un emendamento per bandire Facebook

Category: Media e informazione,Società e politicagiorgio @ 19:37

 

Pubblicato martedì 24 febbraio 2009 in Olanda

[de nieuwe reporter]

 

L’UDC e’ il partito ‘di opposizione’ della destra con piu’ deputati perseguiti penalmente. Giampiero D’Alia, senatore del partito, ha recentemente redatto l’emendamento 50bis per mezzo del quale siti come Facebook e Youtube potrebbero essere chiusi sul territorio nazionale su richiesta del Ministero degli Interni. L’emendamento e’ stato approvato come parte del grande pacchetto sicurezza del governo italiano.

Il network Facebook cresce in maniera velocissima in Italia. Un grafico mostra la crescita esponenziale di Facebook comparandolo a Myspace, Blogger e Splinder. Il sito contava 4.149.320 registrazioni a novembre dello scorso anno, mentre nel febbraio di quest’anno e’ cresciuto del 55,59%, fino a 6.455.960 registrazioni.

La comunita’ italiana di Facebook mostra un vivace e intricato groviglio di contatti. Gli studenti italiani hanno spesso usato Facebook lo scorso autunno per le loro proteste contro i cambiamenti nel sistema scolastico. Un programma TV su Gaza in cui un giornalista se ne era andato via arrabbiato, ha comportato numerose reazioni sul sito. Nel frattempo la questione di Eluana Englaro, sfruttata dalle logiche politiche e del vaticano in modo estremo, e’ stata a lungo discussa anche su Facebook mentre sono stati inseriti online ‘testamenti biologici’ come conseguenza della tragedia di Eluana.

Pacchetto sicurezza

L’emendamento 50bis di D’Alia e’ parte del piu’ grande ‘pacchetto sicurezza’ che in passato ha reso possibile la presenza dell’esercito e polizia extra a Napoli e in altre zone, e che prevede sull’isola di Lampedusa una sorta di Alcatraz per immigranti illigali.  Il parlamentare motiva il suo emendamento nominando siti come Facebook in cui nei mesi scorsi sono comparsi gruppi che idolatrano mafiosi di primo ordine come i siciliani Toto’ Riina e Bernardo Provenzano e il camorrista napoletano Cutolo, o la organizzazione terroristica delle Brigate Rosse. Questi gruppi non contano che circa duecento membri. Gli altri gruppi italiani con decine di migliaia di soci su Facebook portano invece nomi di famosi giudici uccisi dalla mafia.

In un’intervista con il settimanale L’Espresso il senatore D’Alia ha rilasciato la seguente dichiarazione: “Nel caso di simili contenuti dannosi il ministero intimera’ il provider che avra’ pertanto due possibilita’: o accettare, e quindi cancellare i contenuti indicati, o non farlo. Nell’ultimo caso diviene complice di chi inneggia a Provenzano e Riina, e si da’ ragione pertanto della soppressione del sito.[…] Lo stesso vale per i video su Youtube, che concernono lo scambio di offese e minacce tra gli utenti, e vale anche per i commenti sui blog”.

Protesta

Subito si sono formati gruppi di protesta su Facebook contro l’emendamento di D’Alia. Ma non sono le prime proteste italiane contro le limitazioni alla liberta’ di espressione sul web. E non sono nemmeno i primi tentativi per regolare la comunicazione digitale.

Infatti nel 2007 su iniziativa di un parlamentare, ancora dell’ UDC, fu oscurato un sito italiano. E’ accaduto a causa del gioco-video flash-based Operation Pedopriest. Il gioco nel 2007 e’ stata la provocatoria risposta dei mediartisti di Molleindustria al documentario della BBC ‘Sex, Crime and the Vatican’.

A giugno di quell’anno Luca Volonte’, all’epoca a capo dell’UDC al Senato, protesto’ presso tre ministri che il gioco aveva lo scopo di attaccare la Chiesa e il Papa Benedetto XVI. Richiese pertanto ai ministri di prendere dei provvedimenti urgenti in modo che la liberta’ d’espressione non diventasse un alibi per giustificare l’offesa di sentimenti umani e religiosi e soprattutto della religione cattolica.

l Ministero degli Interni fece sapere che il sito era stato gia’ ispezionato dalla giustizia, e gli artisti tolsero il loro sito dal web, “per non peggiorare la situazione del nostro web provider, che è responsabile legalmente per tutto il contenuto’. Dopodiche’, come era prevedibile, il gioco e’ rimbalzato ed e’ stato copiato in Italia e all’estero.

Un mese piu’ tardi e’ stato registrato un dominio online dal nome lucavolonte.eu per una parodia, una copia quasi esatta del sito di Volonte’, con l’Operazione Pedopriest ben in vista.

Il sito e’ stato prontamente chiuso a causa della ’sostituzione di persona e calunnia a mezzo stampa’. Ma non e’ ancora finita, perche’ ora il sito si trova con la stessa parodia negli USA. Voci dicono che il PM italiano stia valutando se presentare una richiesta internazionale alle autorita’ americane.

Emigrazione

L’emendanmento 50bis comportera’ probabilmente nel contesto internazionale una emigrazione di siti e servers fuori dall’Italia, sull’esempio della crescente emigrazione di gente dal Paese.

Facebook e Google hanno intanto reagito in modo scosso all’emendamento 50bis di D’Alia. Marco Pancini di Google Italia ha detto alla stampa di non essere d’accordo con “queste leggi ad aziendam. [..] Qui si ha a che fare con reati di opinione”. Pancini fa sapere che “la polemica circola a livello internazionale e la cosa continua ancora.[..] C’e’ una corrente all’interno della politica contro l’industria internet e il mondo degli utenti” afferma Pancini. Facebook paragona l’emendamento ad un blocco dei binari a seguito di graffiti indecenti nella stazione.

La formulazione dell’emendamento trova origine nell’esigenza di combattere il culto dei mafiosi nei gruppi di Facebook ma in pratica avra’ il carattere di una censura vera e propria che si estendera’ anche a siti come Youtube. Le aziende della telecomunicazione sono ritenute responsabili della cancellazione dei contenuti incriminati con multe fino a 300.000 euro. Per il provider sara’ forse piu’ semplice chiudere un intero sito che andare in cerca di un aspetto di un contenuto illegale su una certa piattaforma.

Skype

Il prossimo mezzo di comunicazione digitale che diventera’ forse bersaglio del governo italiano e’ Skype. L’intercettazione telefonica di un trafficante di cocaina e’ sotto l’attenzione da un paio di mesi: ” Ne riparliamo di nuovo su Skype di quei due chili di cocaina”.

PS. In questo momento c’e’, sempre in relazione al ‘pacchetto sicurezza’ del governo italiano, un provvedimento per bandire le intercettazioni telefoniche nel corso di inchieste giudiziarie. I giornalisti e i giornali sono punibili (fino a 3 anni) se scrivono su persone indagate o nominano i magistrati legati all’inchiesta o, ancora, se informano su processi non ancora conclusi.

PPS. Gabriella Carlucci del PdL (il partito di Berlusconi) attraverso la proposta di legge 2195 vuole “assicurare la legalita su internet” per cui, secondo lei, il governo dovrebbe nominare un comitato che vigili che ogni testo online sia riferito riconducibile all’autore”. In altre parole, con tale proposta di legge si vuole che l’anonimato sulla rete giunga a termine. La proposta, nelle intenzioni di chi l’ha formulata, si vuole abbia valore anche fuori dai confini geografici italiani. La proposta non e’ ancora ufficiale, ma alcune parti circolano gia’ sul web.

 

Fonte: http://italiadallestero.info/archives/3981

[Articolo originale di Cecile Landman]  http://www.denieuwereporter.nl/2009/02/iran-nee-italie-regelt-facebook-ban-per-amendement/

 


Feb 25 2009

MINACCIATA LA LIBERTA’ DI STAMPA: FNSI-FIEG, BATTAGLIA CONTRO NORME-BAVAGLIO

Category: Media e informazione,Società e politicagiorgio @ 06:12

ROMA – Sarà battaglia contro il disegno di legge sulle intercettazioni per impedire che passino le cosiddette norme-bavaglio per i giornalisti: è quanto promette la Federazione Nazionale della Stampa, oggi affiancata dalla Fieg in un affollato incontro – organizzato insieme all’Ordine dei giornalisti e all’Unci – che ha unito cronisti, politici, associazioni. 

Un fronte ampio e agguerrito riunito nella sede del sindacato dove si sono alternati gli interventi con qualche momento di tensione, quando hanno preso la parola Maurizio Gasparri e il sottosegretario alla Giustizia Giacomo Caliendo. 

Ad aprire i lavori, il presidente della Federazione Roberto Natale: “Vogliamo difendere gli interessi generali. E faremmo di tutto, compresi presidi davanti al Parlamento, per cambiare un testo contro l’opinione pubblica che ha il diritto a essere informata. Il giornalismo è unito in questa battaglia”. 

A spiegare le ragioni degli editori Carlo Malinconico, presidente della Fieg: “In particolare, preoccupano due aspetti del lodo Alfano: uno riguarda la cronaca giudiziaria, l’altro l’organizzazione dell’impresa editoriale. Il diritto di cronaca viene intaccato fortemente quando si vieta la pubblicazione di atti non coperti da segreto. L’altro aspetto riguarda l’organizzazione. Se l’editore, in quanto persona giuridica, viene sanzionato, finisce con il sovrapporsi alla figura del direttore responsabile, alterando gli equilibri all’interno dell’azienda”. 

Donatella Ferrante, capogruppo del Pd in commissione Giustizia della Camera, ha parlato di “oscurantismo totale”, mentre Beppe Giulietti ha definito la legge “ineffabile e inefficace”, bocciandola senza appello. E ha ipotizzato forme di obiezione di coscienza di massa. Concetto ripreso da Marco Travaglio che ha escluso ogni possibilità di mediazione: “Questa legge più lurida la fanno e maggiore è la possibilità che venga fulminata dalla Corte Costituzionale e dalla Corte Europea di Giustizia”. 

Durissima la critica al testo fatta da Giuseppe Cascini, segretario dell’Anm. “Una legge – ha detto – distante da ogni realtà. Mi chiedo quale mondo abbia immaginato chi l’ha scritta. Se passasse, i giornali sarebbero bianchi per il 70-80%. Pensate, non si potrebbe nemmeno scrivere su un necrologio: ‘barbaramente ucciso’ perché sono parole estratte da atti”. 

Cascini ha anche espresso preoccupazione per la riduzione degli spazi investigativi perché, di fatto, verrebbero abolite le intercettazioni. A questo punto è entrato in scena Gasparri secondo il quale sul diritto di cronaca e sul carcere per i giornalisti si può anche discutere ma sulle intercettazioni ha detto: “C’é stata una stagioni di abusi ed eccessi. Basta con questo carnevale”. 

Per Antonio Di Pietro, la legge è un attentato allo Stato di diritto, mentre il sottosegretario Caliendo ne ha difeso l’impianto. Michele Vietti (Udc), quasi in chiusura, ha annunciato la propria battaglia in Parlamento sui punti in discussione che, se non cambieranno, non avranno il voto del suo partito. A chiudere il padrone di casa, Franco Siddi: “Questo convegno dimostra che un cambiamento importante c’é con il tavolo Fnsi-Fieg”. “Ma – ha spiegato prendendo le distanze da Di Pietro e Travaglio – prima di ricorrere alla Corte Costituzionale si ha il dovere di dire che bisogna fermarsi a un passo prima dall’orrore. Noi chiediamo che sia espunta le parte contestata. Pensiamo che la battaglia si debba fare adesso”.

 

Fonte: ANSA 2009-02-24

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Feb 23 2009

La vera libertà di stampa

Category: Media e informazionegiorgio @ 16:13

 

La vera libertà di stampa è dire alla gente ciò che la gente non vorrebbe sentirsi dire


George Orwell


Feb 23 2009

La privacy serve a terroristi, criminali, evasori e corrotti.

Category: Media e informazione,Società e politicagiorgio @ 14:09

Jacopo Fo

La privacy serve a terroristi, criminali, evasori e corrotti.

 

Fonte: da srs di Jacopo Fo – 04,10,2005


Feb 08 2009

Da MARONI a “maroni”

Category: Media e informazione,Società e politicagiorgio @ 20:15

 

Repressione di attività di apologia o istigazione a delinquere compiuta a mezzo internet

C’è poco da fare.  Quando arrivano là, la libertà la perdono sempre per strada

In questi giorni il Senato ha approvato un emendamento, inutile, dannoso  e illiberale.

Da far invidia alla Corea del Nord

 

Art. 50-bis.
(Repressione di attività di apologia o istigazione a delinquere compiuta a mezzo internet

 

1. Quando si procede per delitti di istigazione a delinquere o a disobbedire alle leggi, ovvero per delitti di apologia di reato, previsti dal codice penale o da altre disposizioni penali, e sussistono concreti elementi che consentano di ritenere che alcuno compia detta attività di apologia o di istigazione in via telematica sulla rete internet, il Ministro dell’interno, in seguito a comunicazione dell’autorità giudiziaria, può disporre con proprio decreto l’interruzione della attività indicata, ordinando ai fornitori di connettività alla rete internet di utilizzare gli appositi strumenti di filtraggio necessari a tal fine.

2. Il Ministro dell’interno si avvale, per gli accertamenti finalizzati all’adozione del decreto di cui al comma 1, della polizia postale e delle comunicazioni. Avverso il provvedimento di interruzione è ammesso ricorso all’autorità giudiziaria. Il provvedimento di cui al comma 1 è revocato in ogni momento quando vengano meno i presupposti indicati nel medesimo comma.

3. I fornitori dei servizi di connettività alla rete internet, per l’effetto del decreto di cui al comma 1, devono provvedere ad eseguire l’attività di filtraggio imposta entro il termine di 24 ore. La violazione di tale obbligo comporta una sanzione amministrativa pecuniaria da euro 50.000 a euro 250.000, alla cui irrogazione provvede il Ministro dell’interno con proprio provvedimento.

4. Entro 60 giorni dalla pubblicazione della presente legge il Ministro dell’interno, con proprio decreto, di concerto con il Ministro dello sviluppo economico e con quello della pubblica amministrazione e innovazione, individua e definisce i requisiti tecnici degli strumenti di filtraggio di cui al comma 1, con le relative soluzioni tecnologiche.

5. Al quarto comma dell’articolo 266 del codice penale, il numero 1) è così sostituito: “col mezzo della stampa, in via telematica sulla rete internet, o con altro mezzo di propaganda”.».

 

PS

Personalmente mi sarei aspettato, da una governo che si proclama liberare e democratico, che la chiusura di un qualunque  sito internet,  cosa gravissima, visto che va ha ad  intaccare comunque la libertà di pensiero e di espressione, avvenga  solo dopo un regolare processo e con sentenza di colpevolezza, invece…  si parla   bene  e si razzola malissimo,  anzi, è uno schifo.

 

DIFENDIAMO  LA LIBERTA’ DI PENSIERO E  DI PAROLA,   QUALUNQUE ESSA SIA


Dic 11 2008

Gli «OSCAR» dell’Editoria. L’Arena di Verona miglior quotidiano locale 2008

Category: Media e informazione,Verona cultura variagiorgio @ 22:48

 

Ai «Media Awards» dedicati a qualità ed innovazione, il riconoscimento come miglior giornale locale italiano alla testata veronese. L’«Oscar» dei giornali assegnato a «L’Arena di Verona»

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Dic 08 2008

Fruizione dei media in Italia e gli ascolti in Europa

Category: Media e informazionegiorgio @ 22:37

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