Se conoscete una donna in stato interessante, che ha già otto figli, tre dei quali sono sordi, due ciechi, uno ritardato mentale e lei stessa ha la sifilide, le consigliereste di abortire?
Se avete risposto … SI……….avete appena ucciso Ludwig van Beethoven
Beethoven aveva 8 fratelli tre dei quali sordi, due ciechi ed uno ritardato. A completare il quadro quando fu concepito la madre aveva la sifilide…chiunque avrebbe consigliato l’aborto ma, lei portò avanti la gravidanza dandoci uno dei più grandi pianisti e compositori di tutti i tempi.
LA LETTERA DI BEETHOVEN AI FRATELLI CHE RACCONTA COME LA MUSICA LO ABBIA SALVATO DALLA SOLITUDINE DELLA SORDITÀ
Beethoven, 1820 – Joseph Karl Stieler 1781-1858
Ancora oggi la fonte della sordità di Beethoven rimane un mistero. Alcuni biografi parlano di avvelenamento da piombo – all’epoca, il piombo, si trovava ovunque, dal caffè alle acque termali – altri invece puntano il dito verso una rara patologia autoimmune. Beethoven stesso si convinse che fu un esplosione di rabbia a farlo diventare sordo. Secondo quanto riporta Alexander Wheelock Thayer, uno dei più autorevoli biografi del compositore tedesco, Beethoven si arrabbiò con un tenore che lo interruppe durante un’intensa sessione creativa. Una rabbia così intensa da portarlo a svenire e quindi cadere sul pavimento dopo essere salito in piedi sulla sua scrivania. Beethoven raccontò che dopo essersi ripreso, si accorse di non poter più udire nulla.
Questa condizione terrorizzò il compositore. Beethoven era certo che la sua improvvisa sordità si sarebbe rivelata sintomo di una malattia che lo avrebbe ucciso a breve. A soli trentadue anni, l’angoscia di non sapere cosa sarebbe successo alla sua vita lo portò a rinchiudersi in casa.
Ma il malessere peggiore, secondo Beethoven, fu la melanconia e la solitudine. “La mia sordità,” scrisse, “è meno un problema quando suono o compongo, specialmente in compagnia di altri”.
Ed è con questo spirito che scrisse il suo testamento nell’ottobre del 1802, con la richiesta, espressa ai due fratelli, di essere letto e rispettato solo dopo la sua morte. Un testo in cui tutta la sua sofferenza, la sua rabbia e il suo amore infinito per la musica emergono con forza.
Sono nato a Soave (VR) nel giugno 1946, e cresciuto a Rosá (VI), dove sono vissuto fino al 1974.
Dopo qualche anno trascorso a Padova, vivo attualmente a Bassano.
Sono figlio di genitori veronesi, figli a loro volta di veronesi, figli a loro volta di veneti, cosí all’indietro per (almeno) otto generazioni, come amo dire.
Laureato in matematica presso l’Universitá di Padova, ho prestato per un paio d’ anni la mia opera come assistente borsista.
Da molti anni conduco una piccola azienda di SoftWare per Computer ( “MástegaNumeri” ) la quale vanta un discreto numero di clienti.
Le cose da fare (e lo stress ! ) non mancano certamente.
Sposato da alcuni mesi ( circa 330 ! ) con Silvana, spartisco con lei tre figli , tutti in maggiore etá, (due maschi ed una femmina) con i quali formiamo una famiglia dagli spiccati sentimenti veneti.
Da giovane sono stato un buon giocatore di calcio a livello dilettantistico. Ho smesso tale hobby soltanto qualche anno fa.
Sono da sempre appassionato di musica, per merito soprattutto di mio padre,che mi ha introdotto in questo “mondo magico”. Dopo aver formato con i fratelli un complesso musicale “leggero” ma di stampo classico, sono diventato Organista del Duomo di Rosá (VI). Ho cominciato in questo periodo a comporre canzoni romantiche (tipiche dell’ etá ). In seguito ho fatto parte, per alcuni anni, di un coro di musiche popolari del territorio. Mi sono poi dato alla creazione e direzione di cori di musica sacra, attivitá che porto tuttora avanti con un’esperienza (ahimé dovuta all’ etá!) sempre maggiore.
Da alcuni anni mi sono rimesso a comporre canzoni, questa volta in lingua veneta, scoprendo in essa una forte capacitá di esprimere, con immagini semplici, tutti i sentimenti della vita.
Ho cominciato a partecipare a qualche concorso, risultando spesso vincitore o comunque ben piazzandomi.
Nel febbraio 1999 mi é stato assegnato il “Leone d’ Oro” al concorso di canzoni venete durante il Carnevale di Venezia.
La canzone che mi ha dato questa soddisfazione ( “Perasto 1797” ) ha il testo tratto dal discorso del Capitano Viscovich in occasione dell’ ultimo ammainabandiera del vessillo di S. Marco. La base musicale é costituita dall’ “Adagio dal Concerto in re minore per Oboe ed Archi” di Alessandro Marcello. La linea melodica del canto é invece di mia produzione. Come si puó facilmente intuire mi sono messo in buona compagnia.
L’ essere stato nominato socio onorario di Europa Veneta é il riconoscimento della mia vita di cui vado maggiormente orgoglioso.
Bepi De Marzi, stasera sabato 20 marzo 2010 a Verona al teatro Stimate e lunedì 22 marzo a Valgatara
Bepi De Marzi, classe 1935, aveva poco più di vent’anni quando, fresco di diploma di conservatorio e di naja, compose Signore delle cime. Eseguì il canto in pubblico per la prima volta nel 1958 con il coro che sarebbe diventato famoso, i Crodaioli.
Da allora Arzignano, paese di De Marzi, ha continuato a essere fucina dei suoi canti d’ispirazione popolare, composti «tra il vociare di giocatori di tresette e il profumo del vino nero della vecchia osteria sotto casa».
Joska la rossa, Monte Pasubio, Laila oh: la montagna e la sua gente, le tradizioni sacre e profane, in centinaia di canti e una decina di dischi.
Il preferito, Cantare. «So dove i grilli accordano i violini, so dove il vento si ferma quando trema, so dove nasce la voglia di cantare».
Il più celebre, Signore delle cime, è tradotto in cento lingue.
Il maestro Enrico De Mori è morto ieri (1 luglio 2016) al Policlinico di Borgo Roma dove era stato ricoverato per l’aggravarsi delle sue condizioni di salute, assai precarie negli ultimi tempi tanto da non permettergli di partecipare l’11 giugno scorso al concerto tenuto al Circolo unificato di Castelvecchio per i suoi 86 anni.
Enrico De Mori, (meglio Henri) era nato a Roanne, cittadina del dipartimento della Loira, l’11 giugno 1930. Qui abitava la sua famiglia proveniente da Perzacco, frazione di Zevio, che era emigrata in Francia alla ricerca di lavoro.
La sua formazione di musicista era iniziata sotto la guida del papà Augusto Cesare, valido violinista e chitarrista, ed era continuata con il maestro Charles Bonneton. A 12 anni Henri aveva conseguito il diploma in pianoforte, teoria e solfeggio all’École de la musique de Roanne. Ma, nel 1942 dovette rientrare precipitosamente in Italia con la famiglia a causa della guerra. Qui fu obbligato a ripetere gli studi e gli esami di diploma musicale nel 1943 al Conservatorio Arrigo Boito di Parma perché tutti i documenti che certificavano la sua preparazione musicale erano rimasti in Francia.
BASSANO – Lutto nel mondo della cultura per la scomparsa, di LUCIANO BRUNELLI, 68 anni, che si è spento all’ospedale San Bassiano dove era ricoverato da alcuni giorni.
Brunelli, conosciuto soprattutto nell’ambiente musicale bassanese, da tempo soffriva di problemi di cuore. Nato a Soave (Verona) nel 1946, ha vissuto la sua giovinezza a Rosà, dove ha iniziato i primi passi nella musica suonando l’organo del Duomo, per poi trasferirsi definitivamente nella città del Grappa, dopo una breve parentesi a Padova. Laureato in matematica, la sua è stata una vita interamente dedicata alla famiglia e alla musica, accanto alla sua professione di programmatore informatico.
Luciano andava molto fiero dell’essere autodidatta nel campo artistico, dove si era perfezionato nella composizione di canzoni specialmente in lingua veneta, lui che era un “venetista” convinto e della prima ora. In oltre quarant’anni di impegno musicale ha diretto diversi cori di musica sacra nel Bassanese, lasciando sempre la sua “impronta” per le innovazioni che sapeva portare.
L’Inno di Mameli, conosciuto anche come Fratelli d’Italia ma con il titolo originale: “Il canto degli Italiani”, venne scritto da Goffredo Mameli, ventenne studente genovese, nell’autunno del 1847 e poco dopo musicato a Torino da un altro genovese: Michele Novaro.
Erano questi due giovani seguaci delle idee propugnate da Giuseppo Mazzini: un individuo che fu, al di là della retorica settaria otto-novecentesca che lo descrive come un romantico ed idealista rivoluzionario, un lucido e programmato maestro del terrore al servizio delle logge massoniche britanniche che, con i mezzi allora disponibili, segnò con il sangue la strada verso l’unificazione dell’Italia colpendo indistintamente re, politici, cattolici ecc.
Un massone violento ma nel contempo di scarso coraggio preferendo mandare a morire e ad uccidere i suoi adepti standosene tranquillo ed al sicuro “in esilio”. Un tipo di rivoluzionario “da salotto” come se ne sono rivisti nello stato italiano nella seconda metà del 1900 e degno compare di quel “rivoluzionario di professione”, al servizio anch’egli della massoneria, di nome Giuseppe Garibaldi.
A partire da Giovedi 13 novembre 2014 esce nel Veneto e in tutte le sale d’Italia
il film del regista napoletano Salvatore Chiosi
BOICOTTATO IL LEONE DI VETRO: IL FILM ACCUSATO DI INDIPENDENTISMO
Salta la proiezione al Melies, caso politico da Vazzola a Conegliano
CONEGLIANO. Le major cinematrografiche boicottano “Il leone di vetro”, che è stato girato anche nel Coneglianese. Doveva uscire anche al Melies di Conegliano, ma non verrà proiettato. «Il motivo? Il ricatto delle multinazionali», è questa l’accusa fatta attraverso i social network dalla produzione del film, il caso è diventato anche politico.
«Il cinema Melies di Conegliano», è la comunicazione dello staff del film, «dopo averci richiesto la pellicola e dato l’ok per la proiezione in sala, mandando anche il trailer tra quelli prossimamente in cartellone, a tre giorni dall’uscita fa dietrofront e ci comunica che non proietterà più il film».
Il film storico narra le vicende di due famiglie venete nell’annessione del 1866. Ha visto molti ciak nella Marca, con protagonista lo storico Borgo Malanotte, di Tezze di Piave, e i suoi abitanti che hanno fatto da comparse. Per questo in molti attendevano l’uscita nelle sale. Invece a Conegliano il film è saltato.
L’Associazione Borgo Malanotte ha commentato con un «Senza parole». Si è sollevato anche un polverone politico, con voci di una “censura” per i contenuti vicini all’indipendentismo.
purtroppo a volte l’età, portatrice di acciacchi, è nemica della gioia.
Ho dovuto a malincuore rinunciare alla pur breve tourneé per motivi di salute legati principalmente alle condizioni precarie della mia schiena, che mi impedisce di sostenere la durata dello spettacolo.
Mi piange davvero il cuore perché incontrare degli amici come voi è ogni volta un piccolo prodigio che si ripete e che ogni volta mi inorgoglisce e mi commuove.
Cantautore e cabarettista, protagonista della musica italiana, si è spento a Milano a 78 anni
Il mondo della musica piange uno dei suoi più grandi protagonisti, Enzo Jannacci. Cantautore, cabarettista, tra i protagonisti della scena italiana, si è spento a Milano all’età di 78 anni. Autore di canzoni entrate nella cultura popolare come “Vengo anch’io, no tu no” e “Quelli che”, è stato anche medico cardiologo, attività che non ha mai voluto lasciare anche dopo il successo discografico.
Malato da tempo di cancro, negli ultimi giorni era stato ricoverato in ospedale dopo un repentino peggioramento delle sue condizioni. Con lui, al momento della scomparsa nella clinica Columbus, c’era tutta la famiglia.
L’altro giorno, con gran cassa mediatica, il Benigni ha dichiarato che si deve voler bene alla Costituzione come fosse la mamma. Applausi. In Italia la mamma è tutto, comincia per emme come Mussolini, come Monti. Luciano Tajoli e Beniamino Gigli dovevano essere dei padri costituenti. Siccome a molti questa Costituzione non garba (fuori dai palazzi, dai teatri e dai café-chantant non piace quasi a nessuno), gli lasciamo volentieri questo riconoscimento di maternità: è la mamma del Benigni, che è perciò un figlio della Costituzione. E ci fermiamo qui per evitare di scadere in linguaggio da caserma.
Una strana mamma di cui tutti raccontano ed esaltano solo i primi 12 articoli e glissano sul resto. È come la biografia di una signora chiacchierata di cui si ricordano solo i primissimi anni, quelli dell’illibatezza. Diamo un’occhiata a questi pochi sprazzi di verginità.
Art. 1
L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro.
Tre milioni di disoccupati, legioni di sottoccupati, occupati in nero, cassintegrati e finti lavoratori; un esercito di pubblici dipendenti, di finti invalidi, di immigrati nullafacenti, di pensionati che non hanno mai lavorato, di politici. Tutta gente che vive di Italia e sul lavoro degli altri.
La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione.
Fosse una cosa seria si fermerebbe a “la sovranità appartiene al popolo”, punto. Il reso è limitativo, toglie reale potere alla sovranità: è come dire che si gode della più assoluta libertà ma all’interno delle mura di una cella. Al popolo è mai stato chiesto se era d’accordo sulle cessioni di sovranità a stranieri della Nato o alla Comunità europea? In realtà non gli è mai stato neppure chiesto se gli andava bene la Costituzione. Qualche volta gli si chiede un parere con referendum abrogativi che però abrogano solo quello che il potere ha deciso di abrogare e lasciano tutto il resto così com’è. Alla faccia della sovranità!
“A dire il vero pensavo che interessasse la musica, mica gli amici. Serve anche che le presenti la fidanzata?”
“Ma hai una lista di amici che chiami quando suoni in giro?”
“Sì, ma non ho idea se quella sera avranno voglia di farsi 50km per sentirmi suonare.”
“Vabbè, passa di qui che ci mettiamo d’accordo”
“Hanno inventato il telefono proprio per evitare alle persone di perdere tempo e spendere la tredicesima in autostrada e benzina.”
“Porta recensioni e un CD demo.”
“Tanto lo so che resteranno sullo scaffale sotto al bancone per settimane, e che tutta questa manfrina serve solo a farmi telefonare almeno altre 4-5 volte, giusto per sottolineare chi è lo schiavo e chi è il padrone.”
“Speriamo solo che la serata vada bene (cioè io venda molta birra, ndr)”
“Tranquillo: lo so già che se va male ci viene dato metà del compenso (forse) ma che se va benissimo non ci viene dato il doppio”
Ecco un bell’ esempio di come la sentenza di Roma di far espellere i filmati da Youtube sia l’ennesimo granchio preso da una catena di “distratti”, – non volendo usare la parola “incompetenti” – che oramai dilagano irrefrenati sull’italica terra. Povera Mediaset, e pensare che eri per me, un “mito commerciale”, nemmeno il ricordo mi è rimasto di quel periodo…L’ho cercato su Youtube, ma non l’ho trovato…
Da Express-new
Un rap ante litteram per un mito senza tempo. “PRISENCOLINENSINAINCIUSOL” spopola negli Usa, a quasi 40 anni dalla sua incisione.
A far riesplodere il mito del brano piu’ originale di Adriano Celentano e’ il blog ‘Boing Boing’, frequentatissimo negli Usa: Cory Doctorow, scrittore e guru dei blogger statunitensi, parla della canzone uscita nel 1972 in toni entusiastici, la cita come esempio di quanti cantano l’inglese senza conoscerlo e come simbolo del fascino dello slang finto-anglofono.
Per me non c’è destra centro o sinistra, io faccio solo differenza tra verità e menzogna, e quando la verità ti viene imposta per legge o per imperio, allora stai certo: è una menzogna!
Le prove se sono false le sbugiardi subito, se sono vere le puoi solo distruggere
L'ISTRUZIONE PERVERTE LA MENTE
“L'istruzione perverte la mente, poiché ci opponiamo direttamente al suo sviluppo naturale, ottenendo prima le idee e poi le osservazioni. “ “Questo è il motivo per cui così pochi uomini di cultura hanno buon senso come quello che è comune tra gli analfabeti.” Arthur Schopenhauer
IL MIO PAESE
L’importante non è il paese in cui vivi, ma solo se hai la libertà, perché in quel paese non te l’hanno rubata.
LA CASA
La casa è un attributo della personalità e tassare la casa è come tassare l'intelligenza, la bellezza o l'altezza di una persona.
SOCIETA’
Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche nella misura in cui essi fruiscono delle stesse
DIRITTO
Riconosco solo le leggi della natura, non quelle scritte da altri uomini alle quali mi riservo il diritto di disobbedire quando in disaccordo
DIRITTO NATURALE ALLA RIBELLIONE
L’ARTICOLO SCOMPARSO DALLA NOSTRA COSTITUZIONE
Quando i poteri pubblici violino le libertà fondamentali ed i diritti garantiti dalla Costituzione, la resistenza all’oppressione è diritto e dovere del cittadino
GIUSTIZIA
Grido e lotto contro le multinazionali, contro l’informazione controllata e censurata, contro la gestione del potere politico, che diventa la gestione della ricchezza di pochi e della povertà di molti
DIRITTO D’AUTORE E PROPRIETÀ INTELLETTUALE
Noi, per quella decina di anni o poco più, che il Padre Eterno ci lascia su questa terra, siamo il 99,999 periodico il passato e il sapere degli altri, il rimanente, forse, noi, se madre natura è stata generosa, pertanto è ipocrito pretendere e campare diritti autoritari di possesso e proprietà intellettuale.
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CHE IMPORTA SE OGNUNO CERCA LA VERITA’ A SUO MODO?
Dobbiamo riconoscere che tutti i culti hanno un unico fondamento.
Tutti contemplano le stesse stelle, un solo cielo ci è comune, un solo universo ci circonda.
Che importa se ognuno cerca la verità a suo modo? – domandò Simmaco –
Non si può seguire una sola strada per raggiungere un mistero così grande.
(Quinto Aurelio Simmaco, Relatio de ara Victoriae III,10)
RICERCA DELLA FELICITA’
Ognuno è libero di credere in ciò che vuole e in ciò che lo fa stare in pace con se stesso e con l'universo. È l'inestimabile valore della libertà di pensiero. Il problema sorge quando le persone ritengono che le loro conoscenze siano la verità assoluta e vogliono imporre la loro visione delle cose al resto del genere umano.
VENERA DIO SUL TUO CAMMINO
Le religioni tendono ad avere una memoria selettiva e a prendere le distanze dai loro antichi precursori.
Di conseguenza:
“Venera Dio sul tuo cammino.
Qualunque sia la forma in cui si manifesta.
Che sia abbellito con pietre preziose, o rappresentato da una statua di rame.
Una forma ne sostituirà un’altra, come una nuova inondazione segue la precedente”
(Insegnamento per Merekarie)
AMO LA VITA
Il matrimonio gay non reca in se' la vita e il futuro del mondo
Ma e' una scelta di morte
E un modello culturale di morte costruito contro l'origine e il fondamento della stessa vita umana
PENSIERI E PRINCIPI
«Ama il Creatore».
«Ama la terra».
«Lavora gratuitamente».
«Conta su quello che hai e sii povero».
«Ama qualcuno che se non se lo merita».
«Studia molto sia la natura che gli uomini; più sul terreno che sui libri».
«Non pestare sul terreno senza necessità perché uccidi un essere vivente e lavori alla distruzione di tutti i viventi».
«Non progredire, ma vivere».
«Vendere poco e comperare meno».
«Non comperare roba venuta da lontano».
«Non produrre cose che possano essere esportate lontano».
«Non produrre cose che possano essere trasformate in simboli monetari».
«Non prendere soldi in prestito; se hai risparmiato soldi, non prestarli alle banche».
«Non ti fidare del governo di nessun governo».
«Gli Stati non possono distruggere la cultura dei popoli».
«Abbraccia gli essere umani del tuo rapporto con ciascuno di loro riponi la tua speranza politica».
«Evita come un diavolo qualunque sport. Sono drogature dei capitalisti per rubare i soldi ai salariati, e aumentare la degradazione dell’ energia. Anche lo sport è una guerra fatta per impinguare i capitalisti ».
«Riconosco solo le leggi della natura, non quelle scritte da altri uomini alle quali mi riservo il diritto di disobbedire quando in disaccordo».
«Grido e lotto contro le multinazionali, contro l’informazione controllata e censurata, contro la gestione del potere politico, che diventa la gestione della ricchezza di pochi e della povertà di molti».
«Approva nella natura quello che non capisci, e loda quella speranza, perché ciò che l’Uomo non ha razionalizzato non ha distrutto».
«Fai le domande che non hanno risposta».
«Metti l'orecchio vicino alla terra e ascolta i bisbigli delle canzoni future».
«Sorridi, il sorriso è incalcolabile».
«Aspetta la fine del mondo».
«Investi nel millennio».
«Pianta castagnari».
(PENSIERI E PRINCIPI DI DON ALBERTO BENEDETTI)
IL VENETO E’ LA MIA PATRIA
Sebbene esista una Repubblica Italiana, questa espressione astratta non è la mia Patria.
Noi veneti abbiamo girato il mondo, ma la nostra Patria, quella per cui, se ci fosse da combattere, combatteremmo, è soltanto il Veneto.
Quando vedo scritto all'imbocco dei ponti sul Piave fiume sacro alla Patria, mi commuovo, ma non perché penso all'Italia, bensì perché penso al Veneto.
(Goffredo Parise, Il Corriere della Sera, 7 febbraio 1982)
TI CON NU, NU CON TI
Perasto 23 agosto 1797: Giuseppe Viscovich, Capitano di Perasto, deponendo sotto l'altare maggiore della chiesa le insegne di San Marco, alla presenza di tutte le milizie e di tutto il popolo pronunciò, con una notevole intensità, il seguente discorso:
"In sto amaro momento, in sto ultimo sfogo de amor, de fede al Veneto Serenisimo Dominio, al Gonfalon della Serenisima Republica, ne sia de conforto, o citadini, che la nostra condota pasada, che quela de sti ultimi tempi la rende più xusto sto ato fatal, ma virtuoxo, ma doveroso par nu.
Savarà da nu i nostri fioi, e la storia del xorno la farà saver a tuta Europa che Perasto la ga degnamente sostegnudo fin a l'ultimo l’onor del Veneto Gonfalon, onorandolo co sto ato solene e deponendolo bagnà da el nostro universal, amaro pianto.
Sfoghemose, citadini, sfoghemose pur; ma in sti nostri ultimi sentimenti, che i sigilà la nostra gloriosa corsa soto el Serenisimo Veneto Governo, rivolgemose verso sta Insegna che lo rapresenta e su de ela sfoghemo el nostro dolor.
Par 377 ani la nostra fede, el nostro valor, la ga senpre custodia par terra e par mar, par tuto indove che i ne ga ciamà i so nemisi, che li xe stai pur queli dela Religion. Par 377 ani le nostre sostanse, el nostro sangue, le nostre vite, le xe senpre stae par Ti, San Marco; e felicisimi sempre se gavemo reputà, Ti co nu, nu co Ti; e senpre co Ti sul mar nu semo stai ilustri e virtuoxi.
Nisuni co Ti ne ga visto scanpar, nisuni co Ti ne ga visto vinti e spauroxi!
E se sti tenpi prexenti, infelici par inprevidensa, par disension, par arbitrii ilegali, par visi ofendenti la natura e el gius dele xenti no Te gavese cavà via, par Ti in perpetuo sarave stae le nostre sostanse, el nostro sangue, la vita nostra, e pitosto che vedarTe vinto e dexonorà dai Toi, el corajo nostro, la nostra fede, se gaverave sepelio soto de Ti.
Ma xa che altro no ne resta da far par Ti, el nostro cuor sia l'onoratisima to tonba, e el più puro e el più grando to elogio le nostre lagrime".
Il Capitano Viscovich, deponendo le insegne, s’inginocchiò davanti all’'Altare, e rivolto al piccolo nipote che gli era accanto, disse:
“Inxenocite anca ti; basile, e tienile a mente par tuta la vita”.
(Discorso del Capitano Giuseppe Viscovich tratto da "Storia Documentata di Venezia" di S. Romanin)
Par stasera basta
Note, cristiani…par stasera basta e, se Dio vol, se catarem doman…