Nov 05 2024

IL  MARE PERDUTO DELLA LOMBARDIA: IL MITICO LAGO GERUNDO

Fra i laghi paludosi della pianura padana, uno dei più notevoli e tardi a scomparire fu senza dubbio il lago Gerundo. Questa grande regione acquitrinosa era formata dal disordine alluvionale dei fiumi Adda, Oglio e Serio (ed anche del Lambro e del Silero), e perciò copriva – pur con confini continuamente variabili – l’intero ampio territorio compreso fra la provincia bergamasca meridionale e la provincia superiore di Cremona, con tutto il Cremasco e il Lodigiano. Il perimetro del lago era variabile, spesso in periodi di siccità spariva del tutto, lasciando pochi acquitrini o paludi.

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Quante volte abbiamo sentito la frase: “Se Milano avesse il mare…” senza immaginare che un tempo non avrebbe avuto senso dirlo. Infatti, tre millenni fa, quando i celti stabilirono i primi insediamenti nella pianura in cui sarebbe sorta Milano, a pochi chilometri un mare c’era davvero, e vi rimase anche se in forma sempre più ridotta fino al primo medio evo.

Era il lago (o mare) Gerundo.

Pare che il Gerundo si estendesse tra i fiumi Adda e Serio fin dalla preistoria, comprendendo quindi non solo i territori di Milano e dintorni ma anche le provincie di Lodi, Cremona e Bergamo.

Si trattava dell’ultimo ricordo di quando il ritirarsi dei ghiacciai aveva innalzato i mari fino che inondarono la pianura fin quasi sotto le Alpi, lasciando al centro della Lombardia un vasto specchio di acque salmastre.

L’invaso aveva un aspetto per lo più paludoso e, solo in pochi punti dei suoi duecento chilometri quadrati di estensione, raggiungeva i dieci metri d’altezza. Una volta rimasto isolato dal mare, ad alimentarlo rimasero solo piogge ed esondazioni dei fiumi che lo circondavano, così nel giro di qualche secolo l’evaporazione delle acque e le bonifiche dell’alto medio evo ne causarono la scomparsa.

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Ott 07 2024

LA RUSUMADA – LA MERENDA DELLA TRADIZIONE LOMBARDA 

Category: Alimentazione e gastronomia,Padania e dintornigiorgio @ 12:39

“Ta se giù de corda?” chiedeva la nonna, e subito si metteva a preparare una merenda “speciale”: La Rusumada.

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La rusumada – rosumada, italianizzato in rossumata – per secoli protagonista nelle cucina di Milano e Brianza è, ahinoi, da annoverare nella lista delle bevande estinte, scalzata in pochi decenni dalla concorrenza di prodotti industriali più “moderni”.

Si tratta di una alternativa lombarda allo zabaione, ma al contrario di questo non necessita di cottura. Prende il nome dal tuorlo, il rosso dell’uovo, chiamato in dialetto rüss d’oof o rüsümm. Era la colazione golosa e casalinga di una volta, preparata nei giorni in cui la zuppa di latte e pane secco non bastava più, magari perché c’era una qualche infreddatura da curare o un piccolo goloso da coccolare.

Erano tempi in cui i sicuro un goccio di vino, anche a colazione, non faceva inorridire nessuno e le mamme di una volta ben volentieri preparavano la russumata quando i piccoli di casa avevano bisogno di una sferzata di energia o per contrastare i malanni della stagione fredda. 

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Ott 20 2019

LO STATO ITALIANO È BEN PEGGIO DELLA MAFIA: INDIPENDENZA!

 

di GILBERTO ONETO

 

Un rapinatore punta la pistola o il coltello,  intima «La borsa o la vita!» e prende i soldi.

 

Se è proprio un bastardo tira un cazzotto, se lo è un po’ meno insulta, se è “normale”  se ne va in silenzio, se è un raro esemplare di “brigante galantuomo” ringrazia e chiede scusa per il fastidio.

Le organizzazioni criminali hanno inventato un più efficiente sistema di rapina continuata tramite il pizzo:  a fronte della tranquillità o di una protezione chiedono una percentuale sugli incassi o un tot fisso che è sicuramente pesante per chi lo deve pagare ma che è sempre misurato all’attenzione da parte dell’estortore a non esagerare, per non uccidere la sua fonte di “reddito”.

Le varie mafie si prendono perciò una parte “ragionevole” delle ricchezze o dei guadagni delle loro vittime ma poi garantiscono un servizio, stabiliscono una sorta di monopolio dell’estorsione, impedendo a chiunque altro di farlo e con ciò proteggendo la vittima-cliente da ogni altro malintenzionato. E quando qualche furbetto si presenta con armi o minacce, viene immediatamente punito con rapidità, efficienza e durezza. La recente vicenda del marocchino che aveva incautamente rapinato e ammazzato a Roma un “portavalute” cinese e che è stato trovato “suicidato” tre giorni dopo la dice lunga su come funzionino queste cose, e anche come l’ambaradan abbia assunto connotazioni multietniche che faranno felici il ministro Riccardi e Don Gallo.

 

Lo Stato italiano è un rapinatore ben peggiore, è molto peggio di tutte le mafie, camorre, ‘ndranghete pelasgiche, albanesi e cinesi messe assieme. É molto peggio del peggiore dei tagliagole e dei borseggiatori di strada.

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Nov 07 2018

LA PREGHIERA DI MIGLIO VALE ANCHE OGGI: FATE IN FRETTA

GIANFRANCO MIGLIO

 

 

6 Nov 2018

 

di  ETTORE BEGGIATO e GIANFRANCO MIGLIO

 

Il 5 febbraio 1999 il gruppo “Liga Veneta Repubblica” in Consiglio Regionale del Veneto organizzava a Padova un memorabile convegno intitolato “Veneto: un popolo sovrano verso l’Europa”, con la partecipazioni di prestigiosi studiosi, dal prof. Miglio al prof. Mario Bertolissi, dall’avv. Ivone Cacciavillani al prof. Renzo Gubert, allora senatore; il convegno fu poi nobilitato da tre straordinarie relazioni incentrate sulla Catalunya e sulla Scozia tenute dal prof. Ferran Requejo dell’Università Pompeo Fabra di Barcellona, da Josep Camps di “Convergencia Democratica di Catalunia e da Donald Henderson dello “European Affairs Division dello Scottish Office” di Edimburgo. Francesco Jori riuscì, da par suo, a mettere insieme il tutto, intervallando sapientemente anche gli interventi di  Comencini, Foggiato, Morosin e il mio.

Fu una giornata di un’intensità straordinaria e lo può confermare chi  partecipò all’Hotel Sheraton all’evento; ma in particolare vorrei riproporre l’intervento del prof. Miglio, per certi versi profetico,direi, in particolare quando sottolineava con forza: 

Ma fate più in fretta possibile, o Veneti, perché questo Stato italiano sta avvicinandosi al suo momento critico.”

Eravamo nel 1999….

 

 

di Gianfranco MIGLIO:

 

IL PROGETTO DI UNA CARTA COSTITUZIONALE VENETA ADOTTATA IN ESERCIZIO PRECOSTITUZIONALE DELLA SOVRANITÀ

 

Quando ho ricevuto il materiale che gli organizzatori di questo convegno mi hanno mandato, ho fatto un salto sulla mia seggiola, perché ho visto esaltata quest’idea del “Popolo Sovrano”, e allora mi sono detto: “Non pensano a una costituzione federale”, perché voi sapete che la caratteristica di una costituzione federale è che al suo interno nessun potere è sovrano. Poi. leggendo, e ascoltando le belle relazioni di Morosin e di Bertolissi, mi si è chiarito il concetto di “sovranità pre-costituzionale”, che non pregiudica la struttura di una costituzione federale o confederale, e quindi della sovranità “divisa”.

 

Però quell’idea di mettere davanti all’esercizio degli articoli 121 e 138 della Costituzione, una presa di posizione del Popolo Veneto a favore della sua indipendenza, comporta una certa logica di azione politica, che io sconsiglio. Perché ritengo che si debba prima arrivare a far funzionare la Costituzione con le sue norme, e precisamente gli articoli 121 e la 138, soltanto se la procedura ordinaria non funzionerà, allora verrà il momento di una azione insurrezionale.

 

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Lug 09 2018

SEQUESTRO LEGA, NORDIO: “HA RAGIONE SALVINI, È ATTO POLITICO”

Carlo Nordio

 

 

L’ex procuratore aggiunto di Venezia che fossero necessari i provvedimenti adottati verso la Lega

 

 

“Ha ragione Salvini che parla di atto politico”, lo ha dichiarato Carlo Nordio, in un’intervista a QN in cui definisce “pericoloso” il protagonismo di chi indaga. Così l’ex procuratore aggiunto di Venezia ha commentato il sequestro conservativo da 49 milioni di euro disposto dal Tribunale di Genova sui beni della Lega Nord dopo la condanna di Umberto Bossi e l’ex tesoriere Francesco Belsito per i rimborsi elettorali.

 

“Bisogna andarci cauti con provvedimenti di questo tipo – ha spiegato – che incidono sullo svolgimento della dialettica politica. Vanno adottati solo se strettamente necessari: non mi pare che lo fossero. Così si rischia di alterare il gioco democratico. In questo senso, ha ragione Salvini che parla di atto politico”. Più in generale ha poi affermato che “la politica deve recuperare fiducia in se stessa se vuole ristabilire il primato sull’azione giudiziaria, altrimenti restera’ subordinata alla magistratura, come succede dal 1993, ovvero da quando è scoppiata Mani Pulite”.

 

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Lug 08 2018

COSA NON TORNA SUI 49 MILIONI DI EURO DELLA LEGA

 

 

Lega, Franco Bechis svela la vergogna dei magistrati contro la Lega: cosa non torna sui 49 milioni di euro

 

 

Una cosa è certa: nessuno, né all’ epoca di Umberto Bossi con il suo tesoriere Francesco Belsito, né in quella successiva di Roberto Maroni o in quella ancora attuale di Matteo Salvini si è preso 49 milioni di euro dalle casse della Lega e se li è messi in tasca.

Per questo è incomprensibile l’ accanimento contro la Lega da parte dei magistrati di Genova e ora pure della Corte di Cassazione che considera legittimo sequestrare qualsiasi centesimo giri da quelle parti da qui per non so quanti lustri fino a quando non si raggiungerà quella somma di 49 milioni di euro.

Eppure secondo le varie sentenze emesse a Genova e Milano Belsito e la famiglia Bossi sono stati riconosciuti colpevoli di avere usato per sé e non per le finalità pubbliche circa un milione di euro proveniente dalle casse della Lega.

 

La tesi dei magistrati è che visto quel milione (sono contestati anche altri 5 milioni investiti in Tanzania e a Cipro per il reato di riciclaggio) usato in difformità dalle prescrizioni di legge, fra l’ altro per comprare vestiti a Bossi, debbono essere ritenuti irregolari tutti i rendiconti della Lega di quegli anni, e quindi illegittimi tutti i finanziamenti ricevuti dallo Stato a rimborso delle spese elettorali. Per questo secondo loro andrebbero recuperati all’ erario circa 50 milioni di euro, e se i padri quei soldi non hanno, bisognerà che ci pensino i figli, i nipoti e magari pure i pronipoti: le colpe ricadranno biblicamente sulle spalle delle famiglie leghiste di generazione in generazione.

 

Con questa idea biblica di giustizia ovviamente nessuno poi potrebbe mai tenere in vita la Lega nemmeno sotto mentite spoglie, perché i vari di livelli di giustizia italiana sembrano in questo momento coalizzati per fare fuori Salvini dal panorama politico.

 

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Lug 07 2018

LEGA, IL CERCHIO MAGICO DI BOSSI ?…. LONTANISSIMO DAI MILITANTI

Category: Padania e dintorni,Società e politicagiorgio @ 00:08

 

 

Cristiano Forte, ex segretario provinciale del Carroccio, scrive un’analisi sul movimento di lotta e governo. “L’entourage di Bossi poco amato dalla base, gli equilibri si sono rotti, Maroni e Calderoli furibondi”.

 

di Cristiano Forte

 

Nel Carroccio le correnti non esistono. Fine dell’articolo, dunque? Proprio no, perché in questi giorni all’interno della Lega si sta realizzando unoscontro senza precedenti che vede come protagonisti da una parte il cosiddetto “Cerchio Magico”, le persone più vicine a Bossi e che lo influenzano maggiormente, e dall’altra tutti gli altri. Non si tratta di correnti perché il “Cerchio Magico” è autoreferenziale, non ha collegamenti con il territorio e la militanza, si tratta di un gruppo ristretto che influenza Bossi e gli fa prendere decisioni pilotate. Quelli che si oppongono al “Cerchio Magico”, praticamente tutti gli altri, capitanati dai colonnelli Maroni e Calderoli, hanno in comune la consapevolezza del pericolo che il “Cerchio” rappresenta per loro.

 

Il “Cerchio Magico”è nato dopo l’ictus che ha colpito Bossi nel 2004.

Fu subito chiaro che le condizioni fisiche e mentali di Bossi erano compromesse e che occorreva creare un cordone che permettesse alla cerchia ristretta dei fedelissimi scelti dalla moglie di Bossi,Manuela Marrone, di gestire le decisioni all’interno del Movimento. La faccia continua a mettercela Bossi, il cui carisma sulla militanza è rimasto immutato, ma le decisioni sono prese dal “Cerchio Magico”, non più da lui. Oltre alla moglie fanno parte del “Cerchio” Rosy Mauro, fondatrice del poco fortunato sindacato padano e vicepresidente del Senato, Federico Bricolo,pittoresco capogruppo al senato, Marco Reguzzoni,capogruppo alla camera, ex Presidente della provincia di Varese, genero dell’Eurodeputato Speronie più volte indicato (solitamente da se stesso) come delfino di Bossi, almeno prima dell’avvento del

 

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Ott 19 2017

LA PRIGIONE INVISIBILE ITALIANA

Oneto: le idee sono punite come fossero dinamite. La prigione “invisibile” in cui viviamo

 

In un memorabile articolo Gilberto Oneto descrive la situazione in cui si trovano a vivere veneti e lombardi, paragonati a quegli uccelli che, ormai condizionati, non provamo neanche più ad uscire dalla gabbia a portellino aperto. E del resto, quando ci si provassero, la musica cambia, come ora sta succedendo in Catalogna, con i primi arresti e il plauso neanche tanto sottaciuto, della élite burocratica finanziaria europea. Consiglio la lettura. Oneto non c’è più ma le sue idee vivono ancora. 

 

 

Gli Indipendentisti – ovvero le Idee punite come fossero dinamite. La prigione “invisibile” italiana. E quella, ormai visibile, spagnola. 

 

 

Ci sono due modi per tenere la gente in prigione ed evitare che se la squagli: costruire mura solidissime e munirle di inferriate triple, oppure convincerla che sta benissimo dov’è e che fuori starebbe peggio. Le sbarre di metallo hanno il difetto (in tempi di buonismo e di politically correct) di essere evidenti e identificabili, di poter essere stigmatizzate su manifesti e fotografie. Le sbarre psicologiche non si vedono, non si possono fotografare, non ci si può appendere o impiccare, si possono sempre negare, si può sostenere che sono frutto di autoconvincimento o di propaganda avversaria. Ma sono in definitiva anche le più solide e subdole, sono difficili da segare e non si sa esattamente quale spazi delimitino: alla fine riducono alla condizione di certi uccelli che se ne restano in gabbia anche quando le porte vengono aperte.

 

L’Italia è una prigione di questo genere: a nessuno viene impedito di uscire fisicamente e (soprattutto) di entrare, ci si può lamentare e organizzare per cambiare le cose all’interno. Si può proporre di cambiarle anche radicalmente ma non si possono toccare i muri: si può rinnovare l’arredamento, ma le pareti vanno lasciate come sono.

 

Nuove porte e finestre incorrono nei rigori del Codice Rocco che difende con scrupolo la sacralità e l’intangibilità dei muri dell’unità nazionale, e della prigione. Nel creare argomenti per convincere i carcerati di non esserlo sono stati abilissimi e hanno saputo percorrere anche strade diverse e creative: una volta si attaccavano ai sentimentalismi patriottici (De Amicis è stato un grande carceriere), alle catarsi belliche (anche Cadorna lo è stato) e ai turgori nazionalistici (Mussolini e Franco sono stati perfetti). 

 

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Mar 11 2017

QUEL “SOGGIORNO OBBLIGATO” CHE ESPORTÒ MAFIOSI IN TUTTA LA PADANIA

Category: Padania e dintorni,Società e politicagiorgio @ 00:14

 

 

di ETTORE BEGGIATO

 

A cavallo fra gli anni 70 e 80, la Regione del Veneto  fu flagellata da una legge dello stato italiano attraverso la quale venivano mandati nelle nostre comunità delle “pecorelle smarrite” sospettate di appartenere alla mafia e alla ndrangheta: il cosiddetto “soggiorno obbligato”.

 

Personaggi con un curriculum impressionante, veri e proprio “pezzi da 90”  che oggi  non dicono molto, ma che all’epoca erano al vertice di “famiglie” potentissime e senza scrupoli. “La mafia combatte, i veneti muoiono”, così il “Corriere della Sera” titolava a tutta pagina il nell’86; Verona che era diventata la Bangkok d’Europa grazie al “clan dei calabresi” costituitosi attorno ai soggiornanti obbligati; non parliamo della Riviera del Brenta dove la piccola criminalità fece un salto di qualità grazie agli insegnamenti dei professionisti del crimine copiosamente inviati dallo stato italiano.

 

Incapacità, irresponsabilità o complicità da parte del governo di Roma? O la necessità di “fare gli italiani” livellando il livello di criminalità fra le varie regioni? Irresponsabilità, incapacità o complicità da parte di chi non si rese conto che il soggiorno obbligato, lungi dal poter essere uno strumento efficace nella lotta contro la mafia, diventata un fortissimo veicolo di impianto di criminalità organizzata in zone impossibilitate a difendersi?

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Mar 03 2017

NON AMO MOLTO IL CONCETTO DI PATRIA

Verona 1997: bandiere di patria “veneto-padana” che sventolano sui tralicci elettrici 

 

 

Non amo molto il concetto di patria. Troppa gente è morta in nome di una patria rappresentata solo dal politico del momento.

 

Di certo, io non vorrei combattere per qualcuno che decide per me, per cosa devo combattere e morire.

In una guerra non c’è nulla di eroico, vita e morte dipendono dal caso.

Libertà o morte” è una delle frasi più irragionevoli del mondo, se sei morto non puoi goderne ne essere libero.

 

In fondo, la patria è solo il posto dove sei nato.  

Ma la patria vera, che sento e che amo, è solo dove sto bene, e in quel luogo posso appendere il cuore, e non importa dov’è. 

E la felicità è far coincidere dove sei nato con la tua patria.  

 

Home is where you hang your heart

La casa è dove appendete il vostro cuore

Non so di chi sia questa frase, ma la amo molto.

 


Nov 21 2016

CIAO GILBERTO, TI RICORDIAMO PER AVERCI FATTO RISCOPRIRE LA STORIA

Category: Padania e dintornigiorgio @ 06:52

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di GIANFRANCESCO RUGGERI

 

Oggi, 20 novembre,  ricorre il primo anniversario dalla scomparsa di Gilberto Oneto e durante questi mesi la sua mancanza si è fatta sentire, i suoi saggi consigli ci sarebbero stati infatti estremamente utili in questo complicato periodo.

 

Oggi Gilberto verrà ricordato in vari modi, ci sarà chi ricorderà l’uomo, chi ne riproporrà le idee, chi parlerà del paesaggista, chi elencherà i suoi tanti libri invitando a leggerli e rileggerli, cosa sacrosanta e doverosa: io credo invece che il miglior modo per ricordarlo sia quello di applicare il cosiddetto “metodo Oneto”.

 

Come sapete Gilberto da solo ha riscoperto il patrimonio identitario, linguistico, culturale e storico di un intero popolo, in pratica tutto quello che sappiamo sulla Padania ce l’ha insegnato lui, dopo averlo riscoperto. Nel corso degli anni con pazienza ha sollevato il velo di italianità, ha soffiato via quella polvere tricolore che abbiamo lasciato depositare su di noi e sulla nostra terra, ha riscoperto l’essenza padana dei nostri luoghi e delle nostre tradizioni, di noi stessi.

 

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Nov 08 2016

L’IMMIGRAZIONE E IL DISEGNO DI CANCELLARE LA NOSTRA IDENTITÀ

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di GILBERTO ONETO

 

Lo striscione della fotografia è comparso tempo fa allo stadio di Roma e sembra sia riferito a un allenatore che proviene dalla Repubblica Ceka. Niente di male. Ma si provi a immaginare se ci fosse stato scritto roba come “Via il ghaniano”, e che magari lo stadio fosse stato – un posto non scelto a caso – quello di Busto Arsizio. Sarebbe successo il finimondo su giornali e televisioni, si sarebbero mobilitate frotte di antirazzisti e progressisti a stigmatizzare l’odioso episodio di xenofobia.

Ed è anche andata bene che ormai solo i più anziani ricordano il testo di una vecchia canzone di Dalida “Zingaro chi sei? Sei figlio di Boemia”, altrimenti anche in questo specifico caso si sarebbe scatenata la solita cagnara in difesa degli strolighi.  Invece chiedere di cacciare via un boemo è del tutto legittimo. Fosse stato un bergamasco o un cuneese sarebbe stato anche meglio e sicuramente più “politicamente corretto”.

 

È un piccolo segno, apparentemente marginale, che però da esattamente il polso di una situazione ormai malata e degenerata, di un razzismo esercitato con sistematicità contro la nostra gente dietro l’ipocrita paravento di accuse di veterorazzismo biologico che ci sono solo nella testa del peggior becerume progressista,  pieno di complessi di colpa per le sue reali e pericolose pulsioni antisemite.

 

Non è solo materia da psicanalisti, è anche l’espressione di un preciso disegno politico di annientamento della coscienza comunitaria delle popolazioni dell’Occidente europeo e più in particolare dei padani. All’interno di un più vasto progetto di demolizione della società occidentale e dei suoi valori (buoni o cattivi che siano, ma “suoi”) si sviluppa infatti il coerente e freddo disegno di distruzione  del senso di appartenenza delle comunità padane e delle loro residue capacità di reazione.

 

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Nov 04 2016

DOVE C’È LIBERTÀ C’È LA MIA PATRIA

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Fiume Po, 15 settembre  1996

 

 

di GILBERTO ONETO

 

«La mia patria è ovunque si combatta la mia battaglia», sia che lo si faccia con gli strumenti pacifici della democrazia, o che ci sia bisogno di lotte molto più energiche.

La battaglia per la libertà e per l’indipendenza dei popoli si combatte oggi un po’ dappertutto, dal Quebéc ai Paesi Baschi, dal Darfour al Tibet. Ovunque ci sia qualcuno che lotta per la libertà, l’identità e l’indipendenza,  là – in termini ideali – “è Padania”.

Ma c’è una modalità tutta europea di lotta, una sorta di indipendentismo post-moderno che ha caratteri tutti propri e che avvicina ancora di più fra di loro tutte le nazioni negate del vecchio continente, che sono per questo, ancora “più Padania.

 

L’oppressione europea degli ultimi decenni non è quasi mai esplicita o brutale, non è l’imposizione conclamata di una etnia, di una religione o di un gruppo umano su un altro. Si tratta quasi sempre di oppressioni striscianti e subdole, che si nascondono dietro il paravento della legalità, del riconoscimento democratico (ma limitato) delle alterità. Sono fatte in nome di un interesse superiore, di identità inventate di Stati inventati; sono nascoste dietro il paravento di processi storici che cercano rispettabilità nella loro antichità, sono acquattate dietro a grandi ideali di solidarietà imposte in nome di valori etici. A farne le spese sono comunità civili, evolute, economicamente avanzate, che in genere sono la parte più ricca dello Stato che devono sostenere.

 

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Ott 30 2016

GIANFRANCO MIGLIO: LE TASSE SULLA CASA SONO UN FURTO

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Gianfranco Miglio

 

 

di CRISTIAN MERLO*

 

Forse non tutti sanno che il mai troppo compianto Prof. Miglio, ormai 20 anni fa, diede alla stampe uno straordinario pamphlet, dal titolo più che eloquente: “Disobbedienza Civile”.

In questo scritto, Miglio andò alla riscoperta di una figura tanto affascinante, quanto negletta, nell’ambito dell’asfittico contesto italiota: quell’Henry David Thoreau, che, in nome del diritto alla resistenza individuale e della disobbedienza civile, affermò, nei fatti peraltro, che è del tutto ammissibile non rispettare le leggi quando esse vanno contro la coscienza e i diritti dell’uomo. Thoreau è un classico del pensiero libertario, che influenzò, in seguito, anche personaggi del calibro di Gandhi e Martin L. King. Miglio se ne servì quale formidabile prisma, per formulare delle radicali e profondissime riflessioni sullo stato di prostrazione, morale prima ancora che economica, in cui versava questo simulacro di Paese all’indomani del ciclone di Tangentopoli. Quando, per dirla tutta, si stava ancora bene…

 

Ma quel che ancora, forse, in meno sanno è che qualche anno più tardi, nel 2001 per la precisione, venne edito un bellissimo e storico numero di una rivista, “Quaderni Padani” (num. 37 e 38), dedicato allo straordinario spessore intellettuale del Professore lariano, venuto a mancare qualche mese prima.

Il titolo era emblematico: “Gianfranco Miglio: un uomo libero”. Si trattava di una bellissima raccolta di saggi, di scritti, di punti di vista e suggestioni che onoravano e omaggiavano la statura, scientifica ma forse ancor più morale, di uno dei più grandi scienziati della politica, cui questo disgraziato Paese ha dato i natali. Un’antologia magistralmente curata, da cui traspariva passione, trasporto, condite da una competenza e da una professionalità fuori dal comune. Il curatore era un giovane brillante, acuto e di belle speranze. Al curatore toccò anche la stesura di un pezzo importante ed impegnativo, che rendesse giustizia alla figura dell’ultimo Miglio, quello, per così dire, libertario e secessionista. Ne uscì un affresco memorabile, bellissimo, che ancor oggi, a distanza di anni, mi tocca le corde del cuore e mi induce ad un continua elaborazione di pensieri e di riflessioni.

Il titolo non poteva essere più azzeccato: “Disobbedire ai tiranni è obbedienza a Dio. Il diritto di resistenza in Gianfranco Miglio”. Lo scritto è denso, articolato, argomenta e spiega con dovizia di particolari: si parla di diritto alla resistenza, si ricostruisce la coeva situazione italiana, si introducono i concetti di resistenza civile e di sciopero fiscale. Ma, per darvi un’idea del respiro dell’opera conviene forse citare qualche passo, preso qua e là, dall’ autore. Ma ciò non rende comunque ancora l’idea delle emozioni che il testo veicola.

 

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Ago 16 2016

ONETO: IL PARTITO DI SALVINI NON È PIÙ LA LEGA NORD

Category: Padania e dintorni,Società e politicagiorgio @ 00:21

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Gilberto Oneto

 

La trasformazione della Lega Nord di Matteo Salvini da movimento federalista, autonomista e secessionista a formazione “ costituisce una metamorfosi politica?

Formiche.net ha rivolto l’interrogativo a Gilberto Oneto, architetto e scrittore supporter dell’indipendentismo della regione padano-alpina oltre che amico personale e collaboratore di Gianfranco Miglio, fondatore di MiglioVerde, oltre che editorialista in un recente passato del Giornale e di Libero.

 

Come giudica le evoluzioni del Carroccio?

Rientrano in un sostanziale tatticismo coerente con una tradizione di “cambiamenti” che non hanno fatto il bene del partito. Ma gli hanno permesso di sopravvivere in presenza di una leadership come quella di Umberto Bossi, che non accettava schemi né programmatici né ideologici in grado di limitare il suo strapotere personale. La principale preoccupazione del nuovo segretario delle “camicie verdi”, cui hanno lasciato in mano un cerino che si stava spegnendo, è stata di salvare la Lega Nord dall’estinzione. Lo ha fatto con coraggio e con qualche comprensibile compromesso ideologico.

 

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