Le tocco il cuIo(ne) e mi rendo conto che, nonostante la montagna di anni che mi porto sulle spalle, la cosa non passa inosservata ai piani bassi. Lei sorride. Per quanto di cattivo gusto, soprattutto all’interno di un locale pubblico, questo mio gesto da teenager in calore sembra farle piacere.
Abbiamo passato una vita insieme. La verità è che mi auguro di poterle toccare il cuIo anche nel corso della prossima.
I nostri figli sono diventati genitori. I loro figli, i nostri nipoti, sono invece alla prese con i primi amori. Corrisposti e non. Tutto come da copione.
Ho contato i miei anni e ho scoperto che ho meno tempo per vivere da qui in poi rispetto a quello che ho vissuto fino ad ora.
Mi sento come quel bambino che ha vinto un pacchetto di dolci: i primi li ha mangiati con piacere, ma quando ha compreso che ne erano rimasti pochi ha cominciato a gustarli intensamente.
Non ho più tempo per riunioni interminabili dove vengono discussi statuti, regole, procedure e regolamenti interni, sapendo che nulla sarà raggiunto.
Non ho più tempo per sostenere le persone assurde che, nonostante la loro età cronologica, non sono cresciute.
Il mio tempo è troppo breve: voglio l’essenza, la mia anima ha fretta.
Non ho più molti dolci nel pacchetto.
Voglio vivere accanto a persone umane, molto umane, che sappiano ridere dei propri errori e che non siano gonfiate dai propri trionfi e che si assumano le proprie responsabilità.
Così si difende la dignità umana e si va verso la verità e onestà
È l’essenziale che fa valer la pena di vivere.
Voglio circondarmi da persone che sanno come toccare i cuori, di persone a cui i duri colpi della vita hanno insegnato a crescere con tocchi soavi dell’anima.
Sì, sono di fretta, ho fretta di vivere con l’intensità che solo la maturità sa dare.
Non intendo sprecare nessuno dei dolci rimasti.
Sono sicuro che saranno squisiti, molto più di quelli mangiati finora.
Il mio obiettivo è quello di raggiungere la fine soddisfatto e in pace con i miei cari e la mia coscienza.
Abbiamo due vite e la seconda inizia quando ti rendi conto che ne hai solo una.
“Non avvicinarti alla mia tomba piangendo.
Non ci sono. Non dormo lì.
Io sono come mille venti che soffiano.
Io sono come un diamante nella neve splendente.
Io sono la luce del sole sul grano dorato.
Io sono la pioggia gentile attesa in autunno.
Quando ti svegli la mattina tranquilla,
sono il canto di uno stormo di uccelli.
Io sono anche le stelle che brillano,
mentre la notte cade sulla tua finestra.
Perciò non avvicinarti alla mia tomba piangendo.
Non ci sono. Io non sono morto.”
Canto attribuito alla cultura Navajo,
in realtà poema del 1932 di Mary Elizabeth Frye, poetessa americana (1905-2004)
Un giorno, quando i miei figli saranno abbastanza grandi per capire la logica che motiva le madri, gli dirò:
Ti ho amato abbastanza, da chiederti dove andavi, con chi e a che ora saresti tornato a casa.
Ti ho amato abbastanza, da insistere perché risparmiassi il denaro per comperarti una bicicletta anche se noi, tuoi genitori, avremmo potuto comperartene una.
Ti ho amato abbastanza, da tacere e lasciarti scoprire che il tuo nuovo e migliore amico era un matto.
Ti ho amato abbastanza da darti fastidio e starti addosso, per due ore, mentre mettevi in ordine la tua stanza, un lavoro che avrebbe preso a me solo 15 minuti.
Ti ho amato abbastanza da lasciarti intravedere nei miei occhi, la mia collera, delusione e lacrime.
Anche i figli devono capire che non siamo perfette.
Ti ho amato abbastanza da lasciare che ti prendessi la responsabilità delle tue azioni, anche se spezzo le punizioni mi spezzavano il cuore.
Però, soprattutto, ti ho amato abbastanza da dirti “NO” anche se sapevo che mi avresti odiata per questo..
Queste sono state le battaglie più difficili per me.
Però sono contenta per averle vinte, perché alla fine hai vinto anche tu.
E un giorno o l’altro, quando i tuoi figli siano sufficientemente grandi per capire la logica che motiva i genitori, tu gli dirai:
“Ti ho amato abbastanza da fare tutto quello che ho fatto per te”!!!
Frase della filosofa russo-americana Ayn Rand (ebrea fuggitiva dalla rivoluzione russa, che arrivò negli Stati Uniti nella meta del decennio 1920-30), mostrando un punto di vista con cognizione di causa:
Quando ti rendi conto che, per produrre, è necessario ottenere Il consenso di coloro che non producono nulla;
Quando hai la prova che Il denaro fluisce a coloro che non commerciano con merci, ma con favori;
Quando capisci che molti si arricchiscono con la corruzione e l’influenza, più che di lavoro e che le leggi non ci proteggono da loro, ma al contrarlo, essi sono protetti dalle leggi;
Quando ti rendi conto che la corruzione è ricompensata, e l’onestà diventa auto-sacrificio; allora puoi affermare, senza paura di sbagliarti, che la tua società è condannata.
Camminavo con mio padre, quando all’improvviso si arrestò ad una curva e dopo un breve silenzio mi domandò: “Oltre al canto dei passeri, senti qualcos’altro?”
Aguzzai le orecchie e dopo alcuni secondi gli risposi: “Il rumore di un carretto”.
“Giusto – mi disse -. È un carretto vuoto”.
Io gli domandai: “Come fai a sapere che si tratta di un carretto vuoto se non lo hai ancora visto?”.
Mi rispose: “E’ facile capire quando un carretto è vuoto, dal momento che quanto più è vuoto, tanto più fa rumore”.
Divenni adulta e anche oggi quando vedo una persona che parla troppo, interrompe la conversazione degli altri, è invadente, si vanta delle doti che pensa di avere, è prepotente e pensa di poter fare a meno degli altri, ho l’impressione di ascoltare la voce di mio padre che dice:
“Quanto più il carretto è vuoto, tanto più fa rumore”.
Alla fine degli anni Cinquanta, a Cremona la passeggiata serale dei giovani si svolgeva lungo Corso Campi. Si partiva dall’ingresso presso i giardinetti della Galleria XXV Aprile, un’imponente costruzione dell’epoca fascista, e, dopo averla attraversata, si sbucava in Corso Campi.
Si camminava lungo una via di circa centocinquanta metri che alla fine si restringe e si biforca. Andando diritto s’imbocca Via Palestro, mentre curvando leggermente a sinistra si prosegue per Corso Garibaldi.
Mentre la maggior parte di noi ragazzi tornava indietro, altri allungavano il cammino proseguendo per Corso Garibaldi fino alla chiesa di Sant’Agata. Questa era la nostra vasca: chiamata in questo modo per il semplice fatto che il percorrerla più volte ricordava l’andare e venire in piscina.
La via si snoda sulla linea Est-Ovest, probabilmente su una parallela del Cardo Massimo, ed è quindi in buona luce. Purtroppo non ha monumenti, ma solo qualche palazzo di fine Ottocento. Il marciapiede più battuto per chi si dirige verso la galleria, oltre a essere il più stretto e sconnesso, era quello di sinistra. Non c’era una spiegazione perché questo avvenisse.
Ah, le donne! Non finiscono mai di stupirci. Fantastiche e fantasiose sono poi nelle loro domande e risposte quando fanno le finte ingenue. Quante volte le abbiamo sentite dire: – O Dio, ma cosa ho fatto?- fingendo di pentirsi. Oppure: – E adesso, cosa facciamo?- pur sapendo benissimo cosa fare. Ecco l’argomento per un buon racconto.
Negli anni Sessanta, per noi giovani era difficile trovare posticini adatti per amoreggiare. Se erano sposate, in alberghi o in qualche locanda fuori mano non venivano per timore di lasciar tracce; se erano nubili, era la vergogna che le tratteneva. E noi non eravamo neanche così ricchi da permetterci un paio di locali da usare come scannatoio. Per combinar qualcosa, c’erano solo due posti: l’aperta campagna o la macchina. Raramente poi si riusciva a portarle in casa nostra o entrare nella loro.
I giovani del giorno d’oggi la cantano bella: fino agli anni Sessanta i genitori non permettevano che i loro ragazzi amoreggiassero in casa, mentre già negli anni Ottanta, alcuni miei amici al sabato sera ritardavano il loro rientro per lasciare più tempo ai figli. Addirittura al giorno d’oggi li lasciano che passino le notti insieme.
Negli anni Settanta, l’Università di Verona non ha ancora la Facoltà di Medicina, e la maggior parte degli studenti sono invogliati, per la breve distanza e per la frequenza dei treni sulla linea Milano-Venezia, a iscriversi all’Università di Padova. Che è una fortuna non indifferente essere iscritti in una facoltà che fin dal Medio Evo vanta nobili origini e chiara fama in tutto il mondo.
Tra questi giovani ce n’è un paio che non sono affatto male. Svegli, e già fin troppo navigati per la loro età. Oltre che compagni di corso si vedono spesso in giro per il centro circondati da quel benevolo alone d’ammirazione e d’invidia che rendono mitiche le loro imprese.
Michele, dai capelli neri e corti, dal sorriso smagliante, appena al di sotto del metro e ottanta su un viso dai lineamenti delicati, è sempre in jeans e maglione più o meno pesanti secondo le stagioni. Flaviano, leggermente più piccolo e più maschio, porta i capelli lunghi fino al collo: sono castani e ben curati dalla tartaruga del suo pettine. Eternamente abbronzato, con scarpe all’inglese, con i risvolti ai calzoni e in giacca e cravatta, veste come un elegantone d’altri tempi. Ora, con un paio d’avventure capitate in treno, potrete inquadrarli meglio.
Soprattutto nelle prime ore del mattino, la linea Milano-Venezia a causa dei pendolari e degli studenti che si recano quotidianamente a Padova e a Venezia è sempre affollatissima. Capita sovente di salire e di farsi strada a fatica, il più delle volte disgustati dall’alito e dal sudore cipollino di certe ascelle. A volte, si deve anche ringraziare il Cielo se non si prendono spintoni e pestoni da alcuni energumeni.
Già in un’altra occasione, avevo scritto che l’amante ideale per noi maschi dovrebbe essere la bella femmina della porta accanto, e se poi è sposata, meglio ancora!
Non mi credete? Consideriamone i vantaggi. In primo luogo, con la vicina si ha più facilità di contatti, e quindi maggiori rapporti; secondariamente, se dovessero pescarvi mentre entrate o uscite dal suo appartamento, potete sempre giustificarvi che eravate confusi o che avete sbagliato porta. Addirittura, che vi occorreva del sale, un goccio d’olio, due uova… o che so io? Quel che vi salta in mente in quel momento, anche della curcuma. Nessun dubbio poi dell’enorme vantaggio che rappresenta la via di fuga, che non può essere più breve che da porta a porta.
Donna sposata non va mai abbandonata, a meno che lei voglia lasciare il marito per mettervi delle catene. Vi ricordo che siamo liberi d’entrare in una gabbia, ma difficile uscirne. Queste sono le raccomandazioni che faccio sempre ai miei amici. Quanti guai in meno, se mi avessero ascoltato!
Una mattina di primavera degli anni Settanta, stavo aprendo un po’ prima delle nove i cancelli della vetrina che dà sul vicoletto, quando mi sento sfiorare da una folata di vento che mi entra in negozio. Penso già al primo seccatore. A quello che ha l’occhiale storto, un‘asta staccata, oppure che ha bisogno d’un giro di vite e che, per la premura che dichiara, dovrei piantar lì tutto e servirlo. In negozio non trovo nessuno. Mi credo poco sveglio o di aver ancora dei fumi residui della sera precedente quando dal retrobottega mi appare lui: il bomber del Verona.
È pallido come una pezza lavata ed è nudo. Porta un asciughino a mo’ di grembiule … Eh, no, no! adesso ricordo bene: teneva le mani sui fianchi che reggevano uno straccetto. Resto a bocca aperta, e poi mi metto a ridere, e a ridere fino alle convulsioni. E per simpatia anche lui scoppia in una risata fragorosa.
Ho avuto una gran mamma. E che nessuno si sogni di dirmi adesso che la sua è stata più grande della mia. Di Margherita, chiamata Rita, potrei raccontarne tante da riempire più d’un libro, ma tempo e spazio mi consigliano di limitarmi solo a un breve compendio.
Piccola di statura, con le gambe storte, con capelli corvini e ricci di cui ne andava fiera, nonostante avesse un viso dai lineamenti marcati era riuscita a farsi sposare da mio padre che passava per un bell’uomo. In casa erano in sette fratelli: cinque femmine e due maschi. Perdiana, che allegria! Un giorno mi capitò di vederne quattro di queste cinque, parlavano tutte in una volta, e quel che mi stupì, fu che si capissero.
Ancora bambina, dopo la terza elementare aveva inforcato la bici e ogni mattina portava il pane nelle cascine vicine al paese. Era soprannominata la Fornarina(1) e, macinando chilometri e chilometri su strade piene di polvere e fango, portava, oltre al pane, un po’ d’aria fresca nella dura vita dei contadini di allora. In tavola, se il tempo non permetteva, i contadini si accontentavano della polenta.
Al ritorno, andava a dar una mano nella trattoria di famiglia. Mio nonno, oltre a essere fornaio, gestiva, aiutato da moglie, figli e dipendenti, una trattoria che a mezzogiorno dava da mangiare a un centinaio di lavoratori delle filande. Un piatto caldo o panini con il salame oltre al bicchier di vino. Un pasto che poi la gente integrava con qualcos’altro che si portava da casa per non spendere.
E non ha tutti torti. Per quel che vede, c’è solo da piangere.
Nietzsche ha scritto che Dio è morto, mentre la maggior parte di chi Lo implora si lamenta che è sordo. Gli autori delle Sacre Scritture Lo hanno descritto come un padre-padrone: ci ha scacciato dal paradiso, ci ha fatto correre per il deserto, ci ha dettato le Sue leggi e ha disperso il Suo popolo.
Con i limiti tutti nostri di poveri mortali Lo hanno sempre descritto troppo severo e vendicativo. Non credo però che Dio venga offeso quando non si condivide le idee dei Suoi preti, e neppure credo sia anche un giudice così serio e severo pronto a punirci senza divertirsi e regalarsi neppure un sorriso. Gli abbiamo attribuito le nostre più noiose qualità senza donargli un briciolo di umorismo e d’ironia che, come san tutti, sono il sale della vita. Per questo penso che la Teologia vada riscritta. Han fatto meglio i Greci che tra gli dei avevano generato un Bacco.
Ora, ammesso che esista, come posso non annoiarlo e fargli perdere quell’aria vendicativa di giustiziere se non deliziandolo e farlo sorridere? C’è solo un modo, anche se un po’ presuntuoso da parte mia: fargli leggere questi brevi racconti.
Non capita tutti i giorni d’incrociare per strada un amico che ti suggerisca:
– Visto che hai la penna facile, cerca di scrivere dei racconti brevi e, se ti è possibile, facendo leva sulla tua voglia di ridere e di scherzare, che siano divertenti. Mi piacerebbe vedere in giro facce più allegre. Ce ne sarebbe un gran bisogno! Ma lo sai che potresti ricavarne anche un sacco di soldi?
Non ci sarebbe nulla di singolare se il consiglio non mi fosse stato soffiato dal professor Flavio quando, in una mattina fredda e con qualche fiocco di neve di questo fine febbraio del Duemilatredici, l’incontrai all’uscita da Squassabia, in Piazza Isolo qui a Verona. Ero appena uscito da questo centro, dove avevo fatto delle terapie (interferenziali e ultrasuoni alle ginocchia), quando al volo ci siamo scambiati queste quattro parole.
Flavio è uno dei primi lettori dei miei scritti, un lettore entusiasta del mio primo libro. Ricordo che se lo portò in vacanza e gli piacque così tanto che mi scrisse una cartolina dalla Croazia complimentandosi e confessando pure che se lo contendeva con la moglie.
Uomo di solida e vasta cultura parla e scrive correttamente in cinque o sei lingue, avendole imparate nel corso degli anni come nostro addetto culturale in parecchie capitali europee. Ora,
insegna all’Università della Terza Età e, a tempo perso, sta leggendo le mie opere teatrali. Forsenon gli sono piaciute più di tanto, e allora mi ha suggerito con diplomatica eleganza di scrivere qualcos’altro.
E se mi sbagliassi? E se invece avesse visto in me una discreta abilità nel raccontar facezie?
Sulla settantina, calvo, sornione, con lo sguardo e il sorriso del saputo, oltre a possedere la raffinata doppiezza del diplomatico, conosce l’arte di pesare chi gli sta davanti. Che mi abbia dato un buon consiglio?
Un piacevole scritto di Monaldo Leopardi (1776 – 1847), padre del ben più famoso Giacomo (1798 – 1837), sull’uguaglianza. Tratto da “Catechismo filosofico per uso delle scuole inferiori”.
Discepolo.: è vero che tutti gli uomini sono uguali, come ci assicurano i filosofi liberali?
Maestro.: Prima di rispondervi, voglio farvi io stesso alcune interrogazioni.
M.:È vero che tutti gli uomini sono d’una altezza medesima?
D.: Signor no, perché altri sono alti, altri mezzani, altri bassi e questa è la disposizione della natura.
M.: è vero che tutti gli uomini hanno una medesima sanità ed una medesima forza?
D.: Signor no, perché alcuni sono sani, altri infermi, alcuni sono deboli ed altri gagliardi e questo pure è un altro ordinamento della natura.
M.: è vero che tutti gli uomini sieno di una medesima capacità, talento e ingegno?
D.: Signor no, perché alcuni sono ingegnosi, altri dotti, alcuni sono stupidi, altri sono ignoranti e questo pure è un ordinamento della natura.
Per me non c’è destra centro o sinistra, io faccio solo differenza tra verità e menzogna, e quando la verità ti viene imposta per legge o per imperio, allora stai certo: è una menzogna!
Le prove se sono false le sbugiardi subito, se sono vere le puoi solo distruggere
L'ISTRUZIONE PERVERTE LA MENTE
“L'istruzione perverte la mente, poiché ci opponiamo direttamente al suo sviluppo naturale, ottenendo prima le idee e poi le osservazioni. “ “Questo è il motivo per cui così pochi uomini di cultura hanno buon senso come quello che è comune tra gli analfabeti.” Arthur Schopenhauer
IL MIO PAESE
L’importante non è il paese in cui vivi, ma solo se hai la libertà, perché in quel paese non te l’hanno rubata.
LA CASA
La casa è un attributo della personalità e tassare la casa è come tassare l'intelligenza, la bellezza o l'altezza di una persona.
SOCIETA’
Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche nella misura in cui essi fruiscono delle stesse
DIRITTO
Riconosco solo le leggi della natura, non quelle scritte da altri uomini alle quali mi riservo il diritto di disobbedire quando in disaccordo
DIRITTO NATURALE ALLA RIBELLIONE
L’ARTICOLO SCOMPARSO DALLA NOSTRA COSTITUZIONE
Quando i poteri pubblici violino le libertà fondamentali ed i diritti garantiti dalla Costituzione, la resistenza all’oppressione è diritto e dovere del cittadino
GIUSTIZIA
Grido e lotto contro le multinazionali, contro l’informazione controllata e censurata, contro la gestione del potere politico, che diventa la gestione della ricchezza di pochi e della povertà di molti
DIRITTO D’AUTORE E PROPRIETÀ INTELLETTUALE
Noi, per quella decina di anni o poco più, che il Padre Eterno ci lascia su questa terra, siamo il 99,999 periodico il passato e il sapere degli altri, il rimanente, forse, noi, se madre natura è stata generosa, pertanto è ipocrito pretendere e campare diritti autoritari di possesso e proprietà intellettuale.
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CHE IMPORTA SE OGNUNO CERCA LA VERITA’ A SUO MODO?
Dobbiamo riconoscere che tutti i culti hanno un unico fondamento.
Tutti contemplano le stesse stelle, un solo cielo ci è comune, un solo universo ci circonda.
Che importa se ognuno cerca la verità a suo modo? – domandò Simmaco –
Non si può seguire una sola strada per raggiungere un mistero così grande.
(Quinto Aurelio Simmaco, Relatio de ara Victoriae III,10)
RICERCA DELLA FELICITA’
Ognuno è libero di credere in ciò che vuole e in ciò che lo fa stare in pace con se stesso e con l'universo. È l'inestimabile valore della libertà di pensiero. Il problema sorge quando le persone ritengono che le loro conoscenze siano la verità assoluta e vogliono imporre la loro visione delle cose al resto del genere umano.
VENERA DIO SUL TUO CAMMINO
Le religioni tendono ad avere una memoria selettiva e a prendere le distanze dai loro antichi precursori.
Di conseguenza:
“Venera Dio sul tuo cammino.
Qualunque sia la forma in cui si manifesta.
Che sia abbellito con pietre preziose, o rappresentato da una statua di rame.
Una forma ne sostituirà un’altra, come una nuova inondazione segue la precedente”
(Insegnamento per Merekarie)
AMO LA VITA
Il matrimonio gay non reca in se' la vita e il futuro del mondo
Ma e' una scelta di morte
E un modello culturale di morte costruito contro l'origine e il fondamento della stessa vita umana
PENSIERI E PRINCIPI
«Ama il Creatore».
«Ama la terra».
«Lavora gratuitamente».
«Conta su quello che hai e sii povero».
«Ama qualcuno che se non se lo merita».
«Studia molto sia la natura che gli uomini; più sul terreno che sui libri».
«Non pestare sul terreno senza necessità perché uccidi un essere vivente e lavori alla distruzione di tutti i viventi».
«Non progredire, ma vivere».
«Vendere poco e comperare meno».
«Non comperare roba venuta da lontano».
«Non produrre cose che possano essere esportate lontano».
«Non produrre cose che possano essere trasformate in simboli monetari».
«Non prendere soldi in prestito; se hai risparmiato soldi, non prestarli alle banche».
«Non ti fidare del governo di nessun governo».
«Gli Stati non possono distruggere la cultura dei popoli».
«Abbraccia gli essere umani del tuo rapporto con ciascuno di loro riponi la tua speranza politica».
«Evita come un diavolo qualunque sport. Sono drogature dei capitalisti per rubare i soldi ai salariati, e aumentare la degradazione dell’ energia. Anche lo sport è una guerra fatta per impinguare i capitalisti ».
«Riconosco solo le leggi della natura, non quelle scritte da altri uomini alle quali mi riservo il diritto di disobbedire quando in disaccordo».
«Grido e lotto contro le multinazionali, contro l’informazione controllata e censurata, contro la gestione del potere politico, che diventa la gestione della ricchezza di pochi e della povertà di molti».
«Approva nella natura quello che non capisci, e loda quella speranza, perché ciò che l’Uomo non ha razionalizzato non ha distrutto».
«Fai le domande che non hanno risposta».
«Metti l'orecchio vicino alla terra e ascolta i bisbigli delle canzoni future».
«Sorridi, il sorriso è incalcolabile».
«Aspetta la fine del mondo».
«Investi nel millennio».
«Pianta castagnari».
(PENSIERI E PRINCIPI DI DON ALBERTO BENEDETTI)
IL VENETO E’ LA MIA PATRIA
Sebbene esista una Repubblica Italiana, questa espressione astratta non è la mia Patria.
Noi veneti abbiamo girato il mondo, ma la nostra Patria, quella per cui, se ci fosse da combattere, combatteremmo, è soltanto il Veneto.
Quando vedo scritto all'imbocco dei ponti sul Piave fiume sacro alla Patria, mi commuovo, ma non perché penso all'Italia, bensì perché penso al Veneto.
(Goffredo Parise, Il Corriere della Sera, 7 febbraio 1982)
TI CON NU, NU CON TI
Perasto 23 agosto 1797: Giuseppe Viscovich, Capitano di Perasto, deponendo sotto l'altare maggiore della chiesa le insegne di San Marco, alla presenza di tutte le milizie e di tutto il popolo pronunciò, con una notevole intensità, il seguente discorso:
"In sto amaro momento, in sto ultimo sfogo de amor, de fede al Veneto Serenisimo Dominio, al Gonfalon della Serenisima Republica, ne sia de conforto, o citadini, che la nostra condota pasada, che quela de sti ultimi tempi la rende più xusto sto ato fatal, ma virtuoxo, ma doveroso par nu.
Savarà da nu i nostri fioi, e la storia del xorno la farà saver a tuta Europa che Perasto la ga degnamente sostegnudo fin a l'ultimo l’onor del Veneto Gonfalon, onorandolo co sto ato solene e deponendolo bagnà da el nostro universal, amaro pianto.
Sfoghemose, citadini, sfoghemose pur; ma in sti nostri ultimi sentimenti, che i sigilà la nostra gloriosa corsa soto el Serenisimo Veneto Governo, rivolgemose verso sta Insegna che lo rapresenta e su de ela sfoghemo el nostro dolor.
Par 377 ani la nostra fede, el nostro valor, la ga senpre custodia par terra e par mar, par tuto indove che i ne ga ciamà i so nemisi, che li xe stai pur queli dela Religion. Par 377 ani le nostre sostanse, el nostro sangue, le nostre vite, le xe senpre stae par Ti, San Marco; e felicisimi sempre se gavemo reputà, Ti co nu, nu co Ti; e senpre co Ti sul mar nu semo stai ilustri e virtuoxi.
Nisuni co Ti ne ga visto scanpar, nisuni co Ti ne ga visto vinti e spauroxi!
E se sti tenpi prexenti, infelici par inprevidensa, par disension, par arbitrii ilegali, par visi ofendenti la natura e el gius dele xenti no Te gavese cavà via, par Ti in perpetuo sarave stae le nostre sostanse, el nostro sangue, la vita nostra, e pitosto che vedarTe vinto e dexonorà dai Toi, el corajo nostro, la nostra fede, se gaverave sepelio soto de Ti.
Ma xa che altro no ne resta da far par Ti, el nostro cuor sia l'onoratisima to tonba, e el più puro e el più grando to elogio le nostre lagrime".
Il Capitano Viscovich, deponendo le insegne, s’inginocchiò davanti all’'Altare, e rivolto al piccolo nipote che gli era accanto, disse:
“Inxenocite anca ti; basile, e tienile a mente par tuta la vita”.
(Discorso del Capitano Giuseppe Viscovich tratto da "Storia Documentata di Venezia" di S. Romanin)
Par stasera basta
Note, cristiani…par stasera basta e, se Dio vol, se catarem doman…