Mag 21 2017

ROBERTO DA RONCO DETTO “EL BERTO DA COGOLO” – IL GENIALE ARTIGIANO DEL FERRO BATTUTO –

Category: Lessinia,Persone e personaggi,Verona lavoragiorgio @ 00:01

El Berto da Cogolo

 

Alcune aree del territorio italiano, come del resto in ogni altra parte del mondo, sono caratterizzate da peculiarità, così pure da determinate tradizioni, mestieri e arti; è appunto il caso della Lessinia per quanto riguarda l’antica arte della lavorazione a forgia del ferro, cioè del ferro battuto. A Cogollo di Tregnago quest’arte vanta una tradizione secolare ed è rimasta la memoria di un geniale artigiano.
Si tratta della figura di ROBERTO DA RONCO, gergalmente noto con lo pseudonimo di “EL BERTO DA COGOLO”.
Nacque a Cogollo di Tregnago il 09 settembre 1887 da Benvenuto Da Ronco e da Teresa Pomari. Originaria di Gemona nel Friuli, la sua famiglia vantava già dal 1380 ininterrottamente una tradizione secolare nell’arte della battitura del ferro e si erano insediati a Cogollo nel 1621, data che compare nell’antica casa di famiglia.
Sin da piccolo apprese dal padre l’uso della fucina, dell’incudine, del martello e del maglio; iniziò così a maneggiare il martello battendo i ferri bollenti sull’incudine per essere lavorati e diede da subito la dimostrazione di essere dotato di un innato talento in quest’arte.
All’età di dieci anni frequentò la scuola d’arte di Soave dove apprese il disegno, la sbozzatura del marmo, la scultura del legno; fu indirizzato, pure, allo studio degli stili del passato. Tutte le domeniche, con un paio di fette di polenta fredda e salame nello zainetto, come era in uso a quei tempi di povertà, di buon mattino partiva a piedi per raggiungere la scuola d’arte per poi rincasare a sera.
L’aula venne ricavata in una caverna alla base del castello medioevale e apprese le lezioni dal maestro d’arte Brunelli; per il suo talento e diligenza, alla fine del corso triennale meritò la medaglia d’oro. Fu così in grado di creare da solo i suoi primi “lavoretti”, aggiungendovi ogni qualvolta un’inventiva derivante dalla sua genialità.

 

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Apr 30 2017

DON DOMENICO MERCANTE, IL PRETE FUCILATO DAI TEDESCHI IL 27 APRILE 1945 –

Don Domenico Mercante 

 

 

IL 27 APRILE 2017, 72° ANNIVERSARIO DALLA MORTE DI DON DOMENICO MERCANTE – GIAZZA (LJETZAN) –

 

 

RICOSTRUZIONE STORICA DEI FATTI

 

Nelle ultime giornate dell’aprile 1945, a Giazza nell’alta Valle d’Illasi, c’era, ad ogni ora, gente sulla piazza che osservava il passaggio di reparti tedeschi in fuga verso i valichi alpini. Con l’appoggio di massicce incursioni aeree che frantumavano sotto una valanga di ferro e di fuoco ogni resistenza le colonne corazzate americane e inglesi, superato il Po, dilagavano ora in Lombardia. È il momento del crollo definitivo del fronte tedesco, e chi può, fugge verso il Nord.
Il 27 aprile, di buon mattino, è in marcia verso Giazza una compagnia germanica di circa cento uomini formata, in prevalenza, di paracadutisti e carristi e da alcuni elementi delle SS. È bene armata e vuole raggiungere Passo Pertica per scendere ad Ala, in Val d’Adige.

 

Una formazione partigiana, nascosta nella zona, intende fermarla alle porte di Giazza e disarmarla. Avvertito che in questo modo un grave pericolo incombe sul paese, il parroco di Giazza, don Domenico Mercante, accompagnato da un brigadiere della milizia forestale, si fa incontro ai due gruppi, per convincere i partigiani a non provocare i tedeschi in ritirata e per invitare i tedeschi a non fare del male alla pacifica popolazione. In testa alla compagnia vi sono due ufficiali che ascoltano i due “parlamentari” senza tuttavia dare alcun peso alle loro spiegazioni. A conoscenza che nella zona operano partigiani, obbligano i due a mettersi in cammino davanti ai soldati per farsi scudo con loro contro un improvviso attacco nemico. In particolare tengono d’occhio don Mercante, ostaggio prezioso che può assicurare loro via libera.

 

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Apr 27 2017

FEDERICO FAGGIN – MASSIMO MARCHIORI: QUESTI DUE UOMINI SONO IL VENETO

 

FEDERICO FAGGIN: IL PADRE DEL MICROPROCESSORE È UN VENETO NATO A VICENZA

 

Federico  Faggin

 

 

Federico Faggin:  Il padre del computer piccolo e maneggevole «Servono idee e risorse» Faggin, è vicentino, ma vive e lavora in California

 

PADOVA—Il padre del microprocessore è nato a Vicenza (Isola Vicentina nel 1941, Comune dell’Alto Vicentino di circa 8.000 anime )  ha studiato a Padova. Eppure non c’è traccia di accento veneto nella voce di Federico Faggin, 68 anni, il geniale ricercatore emigrato in America che tra meno di un mese riceverà dal Presidente Obama il più prestigioso riconoscimento statunitense riservato agli scienziati, la Medaglia nazionale per la tecnologia e l’innovazione. 

 

Se dopo 42 anni di trasferta l’inflessione se n’è andata, c’è una cosa della nostra regione che Faggin porta ancora con sé.

«L’etica del lavoro è alla base della cultura veneta, la devo alle mie origini» ammette il primo italoamericano (ha la doppia cittadinanza) a finire nella Hall of Fame della scienza d’oltreoceano. 

 

Il suo «contributo», come lo chiama lui, è quella rivoluzionaria invenzione che ha reso i computer piccoli e maneggevoli. 

 

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Apr 20 2017

MONSIGNOR TURRINI GIUSEPPE

Category: Chiesa veronese,Persone e personaggigiorgio @ 01:03

Monsignor Giuseppe Turrini con un libro della Capitolare danneggiato nel bombardamento del 4.1.45

Monsignor Giuseppe Turrini, in una foto con un libro danneggiato nel bombardamento del 1945

 

 
(Castelrotto di Valpolicella VR 11 marzo 1889 – Negrar VR 16 gennaio 1978])

 

Dopo aver frequentato le scuole comunali del paese di nascita e aver compiuto privatamente gli studi ginnasiali, nel 1904 fu ammesso al Collegio Accoliti di Verona per proseguire gli studi liceali e teologici presso il Seminario vescovile.

 

Ordinato sacerdote nel 1911, nel 1916 divenne cappellano e maestro di cappella della Cattedrale; nel febbraio del 1922 cominciò l’apprendistato presso la Biblioteca capitolare e il 1º dicembre il Capitolo della Cattedrale lo nominò prefetto della Biblioteca con il titolo di vice-bibliotecario, dal momento che don Giuseppe Zamboni, al quale succedeva, aveva lasciato l’ufficio di bibliotecario, ma non il titolo, per insegnare filosofia all’Università cattolica di Milano.

 

Con l’aiuto di esperti italiani e stranieri e l’appoggio della Biblioteca Vaticana monsignor Turrini iniziò subito l’opera di recupero della raccolta di opere musicali antiche, ancora prive di catalogo, e il riordinamento dell’archivio, che conteneva una decina di migliaia di pergamene fortemente danneggiate dall’inondazione dell’Adige del 1882.

 

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Apr 16 2017

LUCIANO BRUNELLI……RICORDO….

 

Buona Pasqua Luciano

 

Luciano Brunelli

 

 

Sono nato a Soave (VR) nel giugno 1946, e cresciuto a Rosá (VI), dove sono vissuto fino al 1974.

Dopo qualche anno trascorso a Padova, vivo attualmente a Bassano.

Sono figlio di genitori veronesi, figli a loro volta di veronesi, figli a loro volta di veneti, cosí all’indietro per (almeno) otto generazioni, come amo dire. 

 

Laureato in matematica presso l’Universitá di Padova, ho prestato per un paio d’ anni la mia opera come assistente borsista.

Da molti anni conduco una piccola azienda di SoftWare per Computer ( “MástegaNumeri” ) la quale vanta un discreto numero di clienti.

Le cose da fare (e lo stress ! ) non mancano certamente.

 

Sposato da alcuni mesi ( circa 330 ! ) con Silvana, spartisco con lei tre figli , tutti in maggiore etá, (due maschi ed una femmina) con i quali formiamo una famiglia dagli spiccati sentimenti veneti.

 

Da giovane sono stato un buon giocatore di calcio a livello dilettantistico. Ho smesso tale hobby soltanto qualche anno fa.

 

Sono da sempre appassionato di musica, per merito soprattutto di mio padre,che mi ha introdotto in questo “mondo magico”. Dopo aver formato con i fratelli un complesso musicale “leggero” ma di stampo classico, sono diventato Organista del Duomo di Rosá (VI). Ho cominciato in questo periodo a comporre canzoni romantiche (tipiche dell’ etá ). In seguito ho fatto parte, per alcuni anni, di un coro di musiche popolari del territorio. Mi sono poi dato alla creazione e direzione di cori di musica sacra, attivitá che porto tuttora avanti con un’esperienza (ahimé dovuta all’ etá!) sempre maggiore.

 

Da alcuni anni mi sono rimesso a comporre canzoni, questa volta in lingua veneta, scoprendo in essa una forte capacitá di esprimere, con immagini semplici, tutti i sentimenti della vita.

Ho cominciato a partecipare a qualche concorso, risultando spesso vincitore o comunque ben piazzandomi.

Nel febbraio 1999 mi é stato assegnato il “Leone d’ Oro” al concorso di canzoni venete durante il Carnevale di Venezia.

La canzone che mi ha dato questa soddisfazione ( “Perasto 1797” ) ha il testo tratto dal discorso del Capitano Viscovich in occasione dell’ ultimo ammainabandiera del vessillo di S. Marco. La base musicale é costituita dall’ “Adagio dal Concerto in re minore per Oboe ed Archi” di Alessandro Marcello. La linea melodica del canto é invece di mia produzione. Come si puó facilmente intuire mi sono messo in buona compagnia.

 

L’ essere stato nominato socio onorario di Europa Veneta é il riconoscimento della mia vita di cui vado maggiormente orgoglioso.

 

Fonte: da Europa Veneta  del 1999

 

 

Perasto 1797 (L. Brunelli) – Ti co nu, nu co Ti

 

 

 


Mar 10 2017

STEFANO LORENZETTO – CUOR DI VENETO. ANATOMIA DI UN POPOLO CHE FU NAZIONE

Stefano Lorenzetto   Cuor di Veneto,  Anatomia di un popolo che fu nazione

 (Marsilio, 304 pagine, 19 euro)

 

 

Per capire davvero un luogo bisognerebbe esserci nati.

Stefano Lorenzetto è veneto, figlio orgoglioso di un popolo che fu per 1.100 anni nazione, e in questo libro ci racconta la controversa regione d’Italia attraverso le storie dei suoi poliedrici abitanti, eredi della repubblica più longeva mai apparsa sulla faccia della Terra:

 il Beppe Grillo dei poveri, l’imprenditore che fa lavorare i matti, l’ultimo cicisbeo, la donna che lo faceva per soldi, il nuovo Marco Polo, il cercatore di ossa, lo sposo di Venezia, fino al Grande Vècio dei Serenissimi e al presidente dello Stato veneto.

 

Partendo dalla sua esperienza personale di povertà e fatica, l’autore smonta molti stereotipi giornalistici, per arrivare alla conclusione che non l’Italia, bensì il Veneto, è una repubblica fondata sul lavoro:

 

«Il lavoro non è nemmeno un dovere, per i veneti: è il senso stesso del vivere».

 

Per due secoli confinati nell’orto concluso della miseria, condannati a una marginalità geografica prim’ancora che culturale, carico di terza classe sulle rotte dell’emigrazione, carne da macello per i fronti di guerra, bestie da soma per l’industrializzazione d’Italia, balie per la prole dei nobili, servette per i capricci dei sióri romani e milanesi, sembrava che il destino di questo popolo di zotici, tonti, alcolizzati e baciapile potesse essere uno solo:  estinguersi per miseria.

 

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Feb 20 2017

INTERVISTA AL RICERCATORE SARDO LEONARDO MELIS.

Category: Persone e personaggigiorgio @ 00:17

Leonardo Melis

 

 

Benvenuto su U.R.N. Sardinnya,

 

La scienza, le arti e le culture in generale richiedono una dimensione ideale che nella ricerca (sia essa giusta o sbagliata) trova lo stimolo per il progresso. Senza ricerca dunque non c’è evoluzione e senza il relativo dibattito non c’è il miglioramento delle valutazioni (come nel campo archeologico) sui contorni storici del nostro passato. Quando ha capito nella sua vita che il suo interesse per la Sardegna si sarebbe tradotto nella sua opera di divulgazione?

 

La mia preparazione con gli studi classici effettuati presso il Collegio Salesiano di Lanusei (dove studiarono Lussu, Lilliu e tante altre teste pensanti di illustri Sardi) mi diede la necessaria preparazione per poter affrontare un ulteriore approfondimento della nostra Storia, andando oltre i testi selezionati dal periodo fascista esclusivamente indirizzati alla gloria di Roma e della Storia Classica Greco-Romana. Il mio successivo vagare per il mondo, grazie anche al mio lavoro, mi aiutò a confermare i miei sospetti che qualcosa ci era stato nascosto. La scoperta di siti e di testi tutt’oggi vietati nelle scuole italiche fecero il resto.

 

Nel 2002 la pubblicazione del suo libro “Shardana: I Popoli del Mare” per la PTM Editrice di Mogoro, nonostante il buon successo editoriale, ha inaugurato una trafila di dure polemiche nel mondo accademico Sardo. Quali sono i motivi di questi attacchi al suo lavoro?

 

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Feb 19 2017

GINEVRA SEREGO DEGLI ALIGHERI E VIRGINIO ORSINI. UNA DELLE PIU’ DRAMMATICHE E CRUDELI STORIE D’AMORE

Category: Persone e personaggi,Verona storia e artegiorgio @ 10:19

Sono stata solo una lacrima nel vento

 

Il castello di Illasi

 

 

Castello di Illasi di Verona: Girolamo II  Pompei, uomo d’armi della Serenissima, nel 1591 sposa la contessa Ginevra Serego degli Alighieri, figlia  di Angela Giusti e del conte Pier Alvise  Serego discendente diretto del sommo poeta Dante Alighieri.

 

Purtroppo lo spirito da don Rodrigo, di manzoniana memoria, faceva, del Girolamo, più a suo agio in campagne d’armi contro i turchi che fra le mura domestiche e lasciava, non curante, la giovane  Ginevra “ad amirar le stelle”.

 

Le pulsioni d’amore del governatore di Verona Virginio Orsini, ospite assiduo del feudo d’Illasi, fecero a poco a poco breccia nell’intimo di Ginevra, suggellando una travolgente passione.

Malgrado la fedele complicità  del servitore di Ginevra, il fedele Gregorio Griffo, il loro amore  non passò inosservato, tanto che, nel dicembre 1592,  al ritorno da una delle sue  missioni guerresche, il Girolamo ne fu prontamente informato. Abituato a combattere contro i turchi, sistemò la questione a suo modo.

 

Girolamo chiamò subito Ginevra a rispondere sulle voci di quel rapporto da amanti, ed ella stessa, dando in mano la spada al marito perché la uccidesse, confessò l’infedeltà.

Girolamo fece subito chiamare il Griffo  per confermare  la versione.

Il Griffo fu costretto a confessare e venne ucciso a pugnalate: fin sulla strada «si sentì il sassinamento et una voce che disse “o Jesu”… et il Conte lo fece strapegar nel brolo fuori della corte…».

 

Epilogo della vicenda fu la morte dell’amante Virginio Orsini che riuscito a fuggire a Roma, fu in seguito catturato dalle truppe  pontificie e venne poi decapitato per “questioni politiche”.

 

L’uccisione del Griffo non passo’  comunque  inosservata, tanto che la  Serenissima decise di indagare sulla questione.

Ginevra e  Girolamo vennero coinvolti in un lungo processo, ma, visti gli scarsi risultati inquisitori, la confessione fatta da Ginevra stessa al marito, le deposizioni del fratello della contessa, Brunoro Serego, di Francesco Pompei e di altri testimoni, e le inevitabili ingerenze  politiche, venne messa una pesante pietra sopra sull’ intera vicenda.

 

La giovane Ginevra, oramai segregata nel castello, scomparve misteriosamente dalla scena non più in là di tre anni dall’omicidio del Griffo, poco prima dell’autunno 1595, quando i nobili vicentini Stefano e Leonoro Gualdo, due fratelli della contessa Lucrezia Gualdo, varcarono la soglia del palazzo Pompei in Illasi, per offrire, con la promessa di una cospicua dote, la mano di  sposa della propria sorella al “condottier di gente ed armi della repubblica veneta”.

 

Di lei non si seppe piu’ nulla, ma nella valle d’Illasi le grida portate dal vento sussurravan  voci che ella, la bellissima Ginevra, fosse morta d’inedia, murata viva in una segreta del castello.

 

Di essa rimase solo il profilo di una bambina che le sopravvisse la figlia  Faustina,  che, crescendo nel ricordo di una madre che si era “suicidata”, ne ridisegnava e ricordava sempre di piu’ le belle fattezze.

 

Suo padre il 27 febbraio 1604, ne costituiva la dote monacale ed ella  il 5 aprile 1605, accompagnata da  un corteo di autorità religiose, civili e militari, varcava, come Sposa di Cristo, la porta del   convento di Santa Caterina da Siena in Contrada San Nazzaro di Verona,  prendendo il nome di  Suor Lucrezia, in ricordo dalla sua matrigna, la contessa  Lucrezia Gualdo, la quale, per procura del marito assente, perché relegato dalla Serenissima dal 26 gennaio 1601 in quel di Zara per scontarvi un bando di  cinque anni per essere il mandante di due omicidi, ratificava e confermava le donazioni al convento di Santa Caterina da Siena, compresi i beni della defunta madre contessa Ginevra Serego degli Alighieri.

 

Padrino della cerimonia, fu il conte Giordano Serego, fratello di Pier Alvise e figlio di Marco Antonio, nonno di Faustina.

 

Testimoni della monacazione furono il capitano Gio. Batta de Turchi dell’ Isolo di Sotto, della contrada stessa dei Pompei, e il notaio Ottavio de’ Magnini.

Nelle  veci di vicario generale  il canonico del Vescovado di Verona, Florio Pindemonte.

 

Le porte si aprono alla presenza del Padre Costantino Gandini, priore del monastero di S. Anastasia.

 

Gli esaminatori della professa, tutti suoi consanguinei, un rappresentante per ciascun ramo: il conte Gio. Batta Pompei di Francesco, il nobile Alessandro di Federico, e il conte Adriano figli del suddetto Gio. Batta.

 

L’atto venne sanzionato da Marcantonio “Fomalenus  judex ordinarius ad officium Draconis Palatii, iuris Comuniis Veronae sub preatura M. D. Julij Contareno dignis.mi Potestatis Veronae et eius districtus pro Seren. Duc…”

 

Pubblicato in Arengo il 28 maggio 1605 da Bernardino Fracanzano notaio “deputatus ad conciones”. 

 

 

IL RITROVAMENTO DI GINEVRA

 

 

Agli inizi dell’900, nel corso di alcuni lavori di restauro, venne abbattuta una parete nelle segrete del castello e si scoprì lo scheletro, ancora incatenato, di una giovane donna: rivelazione di come si fosse effettivamente conclusa la vicenda.

 

Le ossa, il piccolo teschio e le  tre catene, di varie  lunghezze ad anelli sottili oblunghi e sferici,  serrate ai tre lati di un piccolo triangolo di ferro, furono raccolti dal conte Antonio Pompei e custoditi in un’ urna di vetro posta in una camera buia dell’ala del palazzo  Pompei di Illasi, fatto costruire dal conte Girolamo II, marito di Ginevra, nel 1615.

 

Per tutti si trattò della rivelazione conclusiva della  storia del conte Girolamo II Pompei e della sua sposa Ginevra.

La loro attuale collocazione non è una buia o angusta stanza qualsiasi, ma la luminosa sacrestia della cappella di villa Pompei-Sagramoso.

 

 

IL MISTERO DI ILLASI: IL DELITTO CHE COINVOLSE GINEVRA SEREGO ALIGHIERI, DISCENDENTE DI DANTE. VERONA 1592

 

 

Sul finire del 1592 un enorme scandalo scosse la città di Verona. Il governatore Virginio Orsini era fuggito dalla città la notte del 20 dicembre, come un ladro, per evitare la feroce vendetta del conte Girolamo Pompei di Illasi.

Il conte lo accusava di aver stuprato, la notte del 22 novembre, nel loro palazzo di Verona, la giovane moglie Ginevra. Ginevra Serego Alighieri, discendente di Dante Alighieri e giovane sposa del conte Girolamo Pompei, quello stesso dicembre 1592 fu accusata dell’omicidio di Gregorio Griffo, sua guardia del corpo e uomo d’armi fidatissimo del conte suo marito.

Secondo la versione ufficiale, era stato proprio il Griffo a far entrare Virginio Orsini nella camera della contessa, in cambio di denaro. Ginevra poi, sempre secondo la versione ufficiale, lo aveva ucciso pugnalandolo ben quindici volte perché causa della sua rovina e perdita dell’onore.

Da Venezia fu inviato a Verona l’avogadore Marco Querini, che con molta difficoltà riuscì ad interrogare Ginevra. Non le cavò nulla di bocca, se non la versione dei fatti che ormai tutti conoscevano. Dopo di che di lei non si seppe più nulla.

Una leggenda vuole che sia stata murata viva nel castello di Illasi.

 

Più di dieci anni fa ritrovai nell’Archivio di Stato di Venezia le carte originali del processo, e la loro attenta lettura hanno svelato un’altra verità. Una verità così pericolosa che segnò tragicamente il destino di Ginevra consegnandola alla morte e all’infamia nel tempo.

Ginevra Serego Alighieri era figlia di Pieralvise Serego Alighieri, figlio a sua volta di Marcantonio Serego e Ginevra Alighieri. La madre era una discendente di Dante Alighieri, o meglio del di lui figlio Pietro, giudice, che fu podestà di Treviso, dove morì e fu sepolto il 21 aprile 1364.

 

Il patrimonio della famiglia Serego Alighieri era notevole. Una perizia del 1563 parla di una stima di 74.177 ducati. Parecchi miliardi di euro odierni.

I Serego erano gente d’armi, derivavano da un’antica stirpe militare che, però nel Cinquecento aveva ormai contorni mitici e sfumati.

 

Girolamo Pompei detto il Malanchino  

 

Il matrimonio di Ginevra con Girolamo Pompei fu pensato nell’ottica tutta politica di legarsi ai nuovi condottieri fedelissimi della Repubblica di San Marco.

 

I Pompei si erano stabiliti a Illasi nel corso del XV secolo, e la Repubblica aveva concesso loro la piena giurisdizione. Ginevra e Girolamo si erano sposati nel 1584, lei doveva avere tra i quindici e i sedici anni, lui ne aveva già ventotto.

 

Da subito il matrimonio tra i due non funzionò, sia per la differenza d’età, sia per la diversa estrazione e provenienza famigliare. A ciò si aggiunse il fatto che Ginevra non riuscì subito ad avere dei figli. Rimase incinta dopo che erano ormai trascorsi cinque anni dal matrimonio e partorì una figlia, Faustina. Il marito le aveva messo accanto la sorella Suordamor, per farle compagnia, visto che era sua coetanea, e la servetta Agnolina anch’essa della stessa età di Ginevra. Ma, soprattutto, le aveva assegnato come guardia del corpo un suo fidatissimo uomo d’arme, Gregorio Griffo con il quale il conte Girolamo era cresciuto come un fratello. Fu un errore fatale.

 

La solitudine e la continua vicinanza favorì la nascita di un sentimento d’amore tra la contessa Ginevra e la sua guardia del corpo. Gregorio Griffo doveva essere un oggetto di desiderio molto ambito dalle donne del castello di Illasi, sempre sole e annoiate. E malgrado tutte le precauzioni, la relazione tra la contessa e Gregorio non passò inosservata. Se ne accorse per prima proprio la servetta personale di Ginevra, Agnolina, che scoprì i due amanti insieme a letto, a Verona, nella camera di lei.

 

Secondo la versione ufficiale riportata in processo, Agnolina avrebbe confidato il suo pesante segreto a Suordamor, che, a questo punto, presa da furiosa gelosia e forse anche lei innamorata di Gregorio, confessò tutto alla sorella Caterina che la portò via subito dal castello di Illasi, rivelando il tradimento al conte Girolamo Pompei e segnando così per sempre il destino dei due amanti, che inevitabilmente avrebbero dovuto essere uccisi.

 

Ma come uccidere i due amanti senza segnare l’onore di casa Pompei?

Girolamo Pompei non avrebbe mai potuto ammettere di essere stato tradito da un suo uomo d’armi, che, per quanto di famiglia, era sempre un suo sottoposto. Sarebbe stato per lui disonorevole. Così fu architettato un diabolico piano.

 

Infatti, in quel periodo era governatore di Verona Virginio Orsini, un narciso che correva dietro a tutte le belle donne della città, e pare che avesse fatto numerose avances anche alla bella Ginevra. Fu messa in giro la voce che proprio Orsini avesse stuprato nel palazzo di Verona la contessa Ginevra, e che il tramite di questo turpe atto fosse stato proprio Gregorio Griffo. Fu proprio lui la prima vittima di Girolamo Pompei. Con gran pompa fu prelevato nella sua casa di Illasi, trasportato su al castello e in una stanza assassinato dal conte tradito e dai suoi bravi. In seguito, Girolamo Pompei costrinse Ginevra ad accusarsi dell’atroce delitto del suo amante.

 

Nel frattempo, la famiglia Pompei aveva in segreto avvertito il governatore Orsini di fuggire al più presto per salvarsi la vita, visto che Girolamo Pompei avrebbe dovuto vendicarsi su di lui per lo stupro della moglie.

In effetti, Orsini fuggì prima a Mantova poi a Venezia, denunciando sempre, anche davanti al senato della Repubblica, la sua innocenza ed estraneità ai fatti. Ginevra fu costretta anche a firmare una confessione pubblica nel castello di Illasi, probabilmente temendo per il destino della sua unica figlia Faustina.

Depose in processo, davanti all’avogadore inviato da Venezia, poi sparì per sempre dalla storia, nessuno seppe più nulla di lei.

 

Nel 1596 Girolamo Pompei si risposò con Lucrezia Gualdo di Vicenza, ricchissima. Da lei ebbe ben sei figli maschi.

Faustina, la figlia avuta da Ginevra, fu rinchiusa nel convento di Santa Caterina da Siena in San Nazzaro in Verona, prese il nome di suor Lucrezia ed ereditò i beni della madre.

 

 


Feb 17 2017

MONS. GIOVANNI BATTISTA PIGHI

Category: Chiesa veronese,Persone e personaggigiorgio @ 13:47

 

 

 

Sacerdote, canonico della Cattedrale di Verona e Vicario Generale della diocesi dal  1913 al 1923.

Nacque a Quinzano nel 1847. Accolto  nel collegio di Don Mazza  nel 1858, vi rimase fino al 1865, compiendo gli studi ginnasiali e liceali alle scuole del Seminario Vescovile.

Entrato in Seminario per i corsi teologici, venne inviato a Roma al Collegio Capranica e conseguì la laurea in Teologia all’Università Gregoriana.

Ordinato sacerdote nel 1871, fu poi chiamato all’insegnamento della Storia Ecclesiastica  e della Teologia  Morale nel Seminario, ove, prestò la sua attività per 40 anni.

Frutto del suo insegnamento, furono le Institutiones  Historiae Ecclesiasticae  e il Cursus Theologiae Moralis.

Ma accanto a queste  pubblicazioni vennero collocarsene  molte altre di varia mole, fino al numero si  oltre 20.

Tra queste  va ricordata  la monografia Gian Matteo Giberti, Vescovo dì Verona e i Cenni storici sulla Chiesa Veronese comparsi a puntate nel Bollettino Ecclesiastico Veronese ed ora qui raccolti. 

Mons. Pighi si spense il 23 febbraio 1926

 

 


Feb 07 2017

LINO MANFROTTO. DOMENICA MATTINA SI È SPENTO A BASSANO DEL GRAPPA UNA DELLE STELLE DEL FIRMAMENTO DELL’IMPRENDITORIA VENETA.

Bassano Del Grappa. Domenica mattina,  5 febbraio 2017,  ci ha lasciato Lino Manfrotto,

 

Lino Manfrotto, l’imprenditore scomparso ieri mattina a 80 anni

 

 

BASSANODEL GRAPPA. Da un garage ad un marchio conosciuto in tutto il mondo. Se ne va uno degli industriali di riferimento del territorio bassanese. Lino Manfrotto, fondatore dell’omonima azienda, si è spento nella prima mattinata di ieri nella villa di via Motton, attorniato dall’affetto dei propri familiari. Aveva 80 anni. Manfrotto ha incarnato l’esempio dell’imprenditore lungimirante che con passione e determinazione riesce a raggiungere i propri obiettivi, riuscendo a gettare lo sguardo oltre l’orizzonte.

 

Ha iniziato la sua carriera sul finire degli anni ’60, in città, come fotoreporter per le testate locali tra le quali il Giornale di Vicenza. A quei tempi le attrezzature di un fotografo erano molto ingombranti, per cui non facilitavano il lavoro dei professionisti.

 

Il mercato offriva una vasta gamma di flash da studio e illuminatori al quarzo, ma trascurava completamente gli accessori di base come gli stativi, i bracci e i morsetti. Così, con l’aiuto del suo assistente, Lino Manfrotto creò i suoi primi prodotti, tra cui un leggero ma robusto supporto per luci.

 

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Gen 29 2017

PER UNA VITA MIGLIORE. L’IMPEGNO AL QUALE TUTTI SIAMO CHIAMATI

marina perlato

Marina Perlato, alla sua sinistra Andrea Conti

 

 

Sei anni fa, quando io e altri amici fondammo il GSC GIAMBENINI, non avevamo idee ben chiare su quello che stavamo facendo. Eravamo un gruppo che condivideva un passatempo, un hobby diverso dalla lettura, dalle chiacchiere al bar, e uno sponsor generoso e appassionato come noi di sport e bicicletta.

 

Con l’handbike abbiamo scoperto una disciplina accessibile a tutti, uno sport paritario, bastavano questo mezzo, simile ad una bicicletta, e un po’ di voglia di muoversi, per permetterei di percorrere le strade del nostro paese, poi della città, della nazione e infine dell’Europa, così i nostri orizzonti si sono allargati, e conoscere un sacco di gente di ogni nazionalità… Gente tosta, che non si piange addosso, che non molla mai, fino al traguardo, spalle incassate, gente che non si lamenta di diritti negati, di barriere architettoniche, di servizi inesistenti, di persone maleducate che non ti aiutano abbastanza, di soldi non sufficienti. Gente che ha fede in se stessa e dentro di se trova tutte le risorse per far fronte alle difficoltà della vita, più presenti per chi è in carrozzina, ma fondamentalmente difficoltà che prima o poi tutti incontrano.

 

In questi anni, tutti noi abbiamo imparato a stringere i denti, a non lamentarci e affrontare i problemi di petto, cercando di non deviare e tanto meno abbatterei. Il team, i compagni di viaggio, erano lì, pronti a cogliere il minimo segno di scoraggiamento, di “fatica”, pronti a spronarci e a darei una “spinta” in senso lato. Nessuno di noi è stato lasciato indietro.

 

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Gen 27 2017

ANDREA CONTI: DA UN GIOVANE UNA LEZIONE DI VITA.

Category: Lessinia,Persone e personaggigiorgio @ 00:20

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Andrea  Conti con la figlia Veronica

 

 

Paralizzato da un incidente ma pieno di gioia di vivere.  La bontà da premiare di un atleta mancato

 

Cerro Veronese. Il fisico atletico, una faccia cordiale che invita alla confidenza. Una buona dose  di autoironia e, soprattutto, la capacità di sdrammatizzare sempre.

Sulla sedia a rotelle, che da tre anni è diventata il suo posto di comando, un adesivo spiritoso: “la bestemmia, gira gira, casca in testa a chi la tira”. Un modo per dire che ad arrabbiarsi non si risolve nulla. L’importante è avere delle ragioni e degli ideali con i quali far fronte alle emergenze della vita. E quella di Andrea Conti, come vedremo, è qualcosa di più di un’ emergenza.

Già da bambino, Andrea è nato nel 1970, dimostra doti atletiche non comuni. Si impegna nel podismo e nell’ atletica leggera. A Cerro, il paese dove è nato e dove risiede, lo chiamano il “Cova veronese”.

Il futuro è carico di promesse: primo nei campionati provinciali studenteschi, 4° in quelli assoluti del Veneto, un’azienda veronese che lo sponsorizza e che lo porta in una grande “scuderia”, insieme a Gelindo Bordin.  Lo sport sembra essere la nota emergente della vita di Andrea.

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Gen 25 2017

IL CONO GELATO? LA GENIALE INVENZIONE DI UN BELLUNESE EMIGRATO

 

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Italo Marchioni.

 

 

In pieno revanscismo ideologico musulmano anche l’invenzione del cono gelato è stata rivendicata da loro. Dicono che fu un emigrato siriano negli States, a proporlo per primo, negli anni Venti del ‘900, ma non è così. La paternità indubbia va a un veneto di Belluno (Patria indiscussa del gelato artigianale,del resto) che si chiamava Italo Marchioni. Ecco in breve la vicenda, tratta da un articolo di Marco De Biasi, comparso nella bella rivista “Storia veneta” (nr. 39).

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Gen 19 2017

CHIARA COLTRI: SE CADI TI RIALZI, PAROLA MIA

Category: Persone e personaggigiorgio @ 00:04

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Chiara Coltri

 

 

Aveva quindici anni Chiara Coltri quando capitò l’incidente. Era il 31 ottobre 2003, la sera di Halloween. “Eravamo stati a una festa vicino a Caprino”, racconta, “ed avevamo noleggiato una videocassetta, al ritorno pioveva. Sull’auto, una Renault Clio, stavamo in quattro. Quando siamo finiti fuori strada, rotolando giù da una scarpata, solo io ho subito gravi conseguenze. Il ragazzo che guidava non si è fatto nulla. Una ragazza è rimasta tre mesi in ospedale con le vertebre offese, ma poi se l’è cavata. A me è andata peggio perchè da allora ho perso l’uso delle gambe. Per tirarci fuori chiamarono i Vigili del fuoco. Ho dei ricordi molto annebbiati, qualche flash mentre sono in ambulanza.

 

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Gen 17 2017

L’UOMO DI NEANDERTHAL IN TERRA PADANA: INTERVISTA A LAURA LONGO CONSERVATORE DI PREISTORIA DEL MUSEO DI STORIA NATURALE DI VERONA

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L’occipitale  neandertaliano  del riparo Mezzena.

 

 

La Dottoressa Laura Longo, Conservatore di Preistoria del Museo di Storia Naturale di Verona, è la coordinatrice delle ricerche sui Neandertaliani e gli Uomini anatomicamente moderni (H. sapiens) convissuti in terra padana per circa 3/5000 anni. La abbiamo intervistata per voi.

 

Quando l’uomo di Neanderthal si stabilì in terra padana?

 

Abbiamo notizie della presenza neandertaliana nel nord Italia a partire da almeno 150.000 anni fa, forse anche un po’ prima.

 

Cosa attirò i Neandertaliani, e poi gli Uomini anatomicamente moderni (H. sapiens), sui monti veneti?

 

I Monti Lessini, i Berici, gli Euganei e le prealpi venete più in generale, sono disposti in modo che il sole li illumina e riscalda durante tutto l’arco della giornata. E durante i periodi glaciali questo aspetto non era certo da sottovalutare. Poi sono ricchi di strati calcarei in cui il carsismo ha scavato grotte e ripari, che sono i naturali ricoveri dei gruppi umani preistorici. Sono tutte aree ricche di selce, la roccia a frattura concoide che l’uomo preistorico ha sempre usato per costruire i propri strumenti. Sono zone ricche di acqua e quindi attiravano gli animali che diventavano facile preda dei cacciatori e raccoglitori preistorici. Insomma i monti veneti erano una specie di paradiso per Neandertaliani e Uomini anatomicamente moderni.

 

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