Gen 31 2013

E MONTI SAREBBE UN PROFESSORE UNIVERSITARIO?

Category: Scuola e università,Società e politicagiorgio @ 00:07

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Mario Monti

Se Monti capisce di economia come capisce di Università, siamo a posto! Ma non è stato perfino Rettore alla Bocconi? O era troppo occupato con il Bilderberg e con la Trilaterale? E intanto, a farne le spese è l’istruzione italiana. Meno cultura, meno consapevolezza dei propri diritti e più lavoro sottopagato: lentamente, il modello cinese si avvicina.

 

di Valerio Valentini

Stringe il cuore vedere il presidente del consiglio Mario Monti darsi così tanto da fare per gli universitari italiani, sbattendo i pugni per permettere agli Erasmus in giro per l’Europa di poter votare alle prossime elezioni: “Bisogna fare tutto il possibile per consentire loro il diritto di voto”, aveva sobriamente ribadito ai suoi ministri Cancellieri e Terzi di Sant’Agata. Forse, però, un po’ troppo sobriamente. E infatti tre giorni dopo il Consiglio dei Ministri ha bloccato tutto: non ci sono i tempi tecnici. L’Erasmus, del resto, esiste soltanto dal 1987.

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Ott 05 2012

SAREBBE NECESSARIO INSEGNARE I FONDAMENTI ELEMENTARI DELLA NOSTRA TRADIZIONE RELIGIOSA

Massimo Cacciari

“Non lo dico da oggi: sarebbe civile che in questo Paese si insegnassero nelle scuole i fondamenti elementari della nostra tradizione religiosa.  Sarebbe assolutamente necessario battersi perché ci fosse un insegnamento serio di storia della nostra tradizione religiosa.

Lo stesso vale per le università; sarebbe ora che fosse permesso lo studio della teologia nei corsi normali di filosofia, esattamente come avviene in Germania. (…)

Per me è fondamentale il fatto che non si può essere analfabeti in materia della propria tradizione religiosa. È una questione di cultura, di civiltà. Non si può non sapere cos’è il giudaismo, l’ebraismo, non si può ignorare chi erano Abramo, Isacco e Giacobbe. Bisogna conoscerne la storia della religione, almeno della nostra tradizione religiosa, esattamente com’è conosciuta la storia della filosofia e della letteratura italiana. Ne va dell’educazione, della maturazione anche antropologica dei ragazzi.

È assolutamente indecente che un giovane esca dalla maturità sapendo magari malamente chi è Manzoni, chi è Platone e non chi è Gesù Cristo. Si tratta di analfabetismo. La scuola deve alfabetizzare. Quando i ragazzi vanno in giro a fare i turisti vedono delle chiese e dei quadri con immagini sacre. Ma cosa vedono, cosa capiscono? Spesso riconoscono a malapena Gesù Bambino. Non sanno nulla delle nostre tradizioni. La religione è un linguaggio fondamentale.  Come la musica”.

 

Massimo Cacciari, filosofo agnostico

 

 


Lug 24 2012

CHRIS HEDGES: PERCHÈ GLI STATI UNITI DISTRUGGONO IL LORO SISTEMA SCOLASTICO

Category: Cultura e dintorni,Monolandia,Scuola e universitàgiorgio @ 21:08

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Una nazione che distrugge il proprio sistema educativo, degrada la sua informazione pubblica, sbudella le proprie librerie pubbliche e trasforma le proprie frequenze in veicoli di svago ripetitivo a buon mercato, diventa cieca, sorda e muta.  Apprezza i punteggi nei test più del pensiero critico e dell’istruzione. Celebra l’addestramento meccanico al lavoro e la singola, amorale abilità nel far soldi. Sforna prodotti umani rachitici, privi della capacità e del vocabolario per contrastare gli assiomi e le strutture dello stato e delle imprese.  Li incanala in un sistema castale di gestori di droni e di sistemi. Trasforma uno stato democratico in un sistema feudale di padroni e servi delle imprese.

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Dic 16 2009

Il futuro passa dalle lingue regionali

Category: Scuola e università,Società e politicagiorgio @ 10:21

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Sabino Acquaviva

Professore Acquaviva, questa settimana in Venerdì di Repubblica dedica un servizio di copertina al dialetto, con la chiave “se lo parliamo tutti, come facciamo a capirei?”. Come risponde?

«All’inizio del Rinascimento esistevano le lingue regionali – veneto, toscano, provenzano, catalano e via dicendo – e una lingua veicolare, comune, che era il latino. Poi in ogni area geografica una lingua regionale si è imposta sulle altre e sono nate le lingue nazionali: il castigliano è diventato lo spagnolo, il francese del Nord è diventato il francese e così via. Sono seguiti tre secoli di guerre violentissime. Ora cosa dovremmo fare: tornare indietro? No, guardare avanti. Noi abbiamo bisogno degli Stati Uniti d’Europa, perché Paesi di 50-60 milioni di abitanti non possono competere con colossi come Cina e India, che hanno ritmi di espansione 8-10 volte superiori».

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Nov 25 2009

Il declino della lingua italiana

Category: Scuola e universitàgiorgio @ 03:00

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La lingua italiana  … sembra avviarsi verso l’anarchia da quando la rivoluzione culturale del 68 ha decretato la fine di un sistema didattico mirante alla conservazione di una corretta uniformità linguistica nel nostro paese, basata su rigide regole grammaticali e di sintassi.

Può succedere che non si abbia mai avuto voglia di indagare su lacune grammaticali o di semplice punteggiatura che ci trasciniamo dall’infanzia cosi, dopo esserci laureati e magari diventati personaggi pubblici di un certo “spessore”, possa uscirci un “ci azzecca” scritto “c’azzecca” che ovviamente si pronuncia “cazzecca”, come pure c’ha si pronuncia “ca”.

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Mag 13 2009

Cancellate la Storia Veneta

Category: Scuola e università,Veneto e dintornigiorgio @ 09:06

Nel 2005 mi è passato tra le mani questa dispensa scolastica elaborata in una scuola del Friuli, nella quale uno dei consigli didattici era:

“E’ opportuno inoltre chiarire con i ragazzi che i primi interventi romani in questa regione risalgono a prima dell’epoca augustea (III sec. a.C.) e che i romani non sono stati i primi ad abitare la regione, anche se non è opportuno approfondire la complessa questione degli insediamenti preromani e delle popolazioni che qui si erano insediati.”

Pedagogia  da  invasori occupanti.


Apr 17 2009

Da Berlinguer alla Moratti il grande disastro dell’Università


Category: Scuola e universitàgiorgio @ 05:44

 

Da Berlinguer alla Moratti il grande disastro dell’Università



I cambiamenti introdotti da Luigi Berlinguer, fatti propri dal ministro
Moratti, hanno abbassato ogni livello.


Dopo la laurea breve ci sono i due anni di studio specializzato che
dovrebbero permettere di insegnare nelle medie o nei licei.


Il primo inconveniente è che il corso di studi abbreviato non è veramente
riuscito a ridurre i cosiddetti studenti fuori corso.


Porre un tetto ai testi da studiare, poche righe di Tolstoj o della
Dickinson, induce a evitare l¹acquisto di libri.


I classici e i saggi firmati da grandi autori sono stati sostituiti da
 librettini che in sessanta pagine spiegano tutto Dante.



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”


Mar 01 2009

Conservatorio Lucio Campiani di Mantova: tesi di VINCENZO ROSE

Category: Scuola e università,Veja migiorgio @ 17:41

Lucio Campiani

Mantova 28 febbraio 2009 

Sala Ovale del Conservatorio Lucio Campiani di Mantova, Piazza Dante 1 

Ieri ho presenziato alla  relazione conclusiva della tesi di Vincenzo Rose.  Nulla di particolare,  se non altro che egli vi è arrivato dopo una lunga professione  d’insegnante di musica, di cantante, di regista,  dove il dottorato sarebbe, ed è stato, il compendio finale della sua lunga carriera professionale.  Una Laurea  che,  per le capacità e l’esperienza del candidato, avrebbe potuto ottenere benissimo per Honoris Causa: uno dei casi in cui il  giudicato rischia essere  di “spessore” superiore ai giudicanti.

Invece, per un meccanismo oscuro dello spirito  umano, tale momento è stato reso  più malagevole del dovuto.

La relazione della tesi è  parsa scivolare su una serie  di domande che trasmetteva   la sensazione  che erano rivolte più  a  dimostrare   lo scibile  dei docenti, che l’eventuale preparazione del candidato… ed, in alcuni casi, di “difficile comprensione” tale da far dire all’esaminando, in un paio di occasioni: “ma vuole sapere quello che dice la bibliografia, quello  ho trovato o quello che penso io?”.  Mi è rimasta impressa e mi sono annotata questa: “…non voglio metterla in difficoltà ma, siccome non ho letto la tesi, vorrei una spiegazione su…”.

Che la commissione abbia giudicato, diciamo,  in modo “travagliato, difficoltoso ed impegnativo” lo si è capito  benissimo alla fine,  quando, al momento della comunicazione del voto, chiamato il  candidato,  è stato  impedito e vietato l’accesso nell’aula a chiunque: praticamente hanno espulso tutti i presenti all’esame.

Più chiaro di così


Feb 16 2009

La chiave

Category: Scuola e università,Veneto e dintornigiorgio @ 13:23

Chi ha vissuto nel Veneto degli anni ‘30 ( in pieno ventennio) può capire che cosa voglia dire questo racconto e quanta angoscia ci si portasse dentro mentre si vivevano gli avvenimenti che sto per narrare.

Al mio paese tutti parlavano veneto, tranne forse qualche persona ligia ai dettami del fascismo o che volesse fare risaltare il suo alto livello culturale rendendosi ridicola alla popolazione intera.

Si parlava il veneto in casa, in chiesa, nelle strade, al bar, nelle feste; si parlava veneto tra di noi bambini che lo utilizzavamo a scuola come nel resto della giornata.

Ma in nome della creazione di una lingua nazionale, di un distorto senso didattico che vedeva l’uso del dialetto come un problema per l’apprendimento dell’italiano (beh, le doppie le sbagliavamo anche quando parlavamo italiano!) e dello “sviluppo culturale della popolazione rurale”, ad un certo punto ci è stato proibito di parlare il dialetto a scuola.  Un problema enorme!

Si trattava di dimenticare la nostra lingua per parlarne un’altra, una nuova, una che raramente sentivamo.  Si trattava di dare un nome nuovo alle cose, alle azioni che facevamo e agli amici stessi che mai avremmo chiamato Domenico perché “Menego” ci bastava per capirci o mai Antonio perché per noi “Toni” era il suo nome.

Insomma era un mondo veneto che si voleva trasformare, attraverso la scuola, in un mondo italiano.

Noi un po’ ce la ridevamo e un po’, invece, eravamo guardinghi.

Era per questo che i crocchi si formavano sempre lontano da porte o finestre e che occupavamo gli angoli del cortile o ci nascondevano dietro gli alberi per fare quella terribile cosa proibita: parlare in dialetto.

Ma ecco il colpo di genio dei nostri insegnanti: il gioco della chiave.

Il disegno era semplice e diabolico: non riuscendo a controllarci volevano trasformarci tutti in spie.

Il gioco era banale: al mattino l’insegnante consegnava una piccola chiave, quelle da scrivania, non di quelle piatte e sottili di oggi, ma sufficientemente piccola da passare inosservata, in assoluta segretezza ad un alunno che aveva sentito parlare il dialetto.

Questi, girando per la classe e per i cortili poteva passare la chiave, sempre di nascosto, a colui che avesse sentito parlare in dialetto.

Alla fine della giornata, marcata dalla campanella che il bidello agitava per segnalare l’orario di uscita alle dodici e mezza, colui che fosse stato trovato in possesso della chiave sarebbe stato punito con punizioni “esemplari” che quasi sempre consistevano nello scrivere: “Non devo parlare in dialetto”.

E quando la punizione toccava ad uno di noi fratelli, mia mamma, poco istruita, ma piena di buon senso, ci diceva: “Te lo gavea dito de stare tento” (Te lo avevo detto di stare attento), ovviamente in veneto.  Non ci sgridava per averlo fatto, ma perché ci eravamo fatti “beccare” e questo bloccava qualunque nostra lamentela rispetto alla punizione.  Tutto semplice e banale, all’apparenza, ma non così scontato.

A parte la tremarella che aveva colpito i più insicuri e le bambine (erano gli anni trenta e noi femmine ancora non avevamo la grinta necessaria a ribellarci ai nostri maschietti) c’erano diverse crepe nel sistema.

Una prima era quella di accordarci tra di noi per dare la chiave ai “secchioni” o ai “cocchi del maestro”.  Certo, questo insospettiva gli insegnanti, ma non potevano fare altro che prendere atto della situazione dato che, come proclamavano, “La legge è uguale per tutti”.

Alcuni di noi, poi, si erano specializzati nel far scivolare in modo insensibile la chiave nelle tasche degli altri.  Se qualcuno non si fosse accorto della chiave, l’avrebbe incoscientemente portata fino alla fine della giornata lasciando gli altri liberi di respirare.

Questo era più facile farlo con noi bambine perché le ampie e facilmente raggiungibili tasche dei grembiuli ci rendevano poco sensibili.

Ma il timore di avere la chiave era tale che, dopo poco tempo, si era cominciato a toccarsi sistematicamente le tasche anche perché spesso, assieme alle frasi da scrivere, ci scappava anche qualche scappellotto “orale”.

Altri la usavano scientemente per vendette personali. Guai a fare dispetti a qualcuno o a farsi un nemico. Potevi stare sicura che la chiave, parlassi dialetto o no, te l’avrebbe rifilata, in un modo o nell’altro.  C’erano anche le “associazioni a delinquere” che prendevano di mira alcuni nostri compagni e che utilizzavano la chiave per lottare contro il gruppo nemico.

Nei periodi di massima coesione eravamo riusciti ad escogitare un sistema per cercare di turlupinare il maestro.  La chiave veniva “persa” in cortile e così, alla fine delle lezioni, nessuno ce l’aveva in tasca. L’indagine, necessariamente approssimativa, perché non si era in grado di rilevare le impronte digitali, finiva inevitabilmente con qualcuno che non ricordava più a chi l’avesse data.

Del resto, neppure l’insegnante poteva insistere eccessivamente perché la segretezza del gesto era un fatto indispensabile per la riuscita del gioco e portare in piazza i passaggi tra l’uno e l’altro poteva rivelare trame.

Ma anche questa si è rivelata una cuccagna effimera perché, dopo, per due o tre volte, il compito di punizione è stato dato a tutta la classe e così ci siamo trovati tutti a dover scrivere cento volte “Non devo parlare in dialetto”. Il trucco è stato abbandonato perché inefficace.

Qualche volta abbiamo anche tentato di scrivere a più mani le cento frasi di punizione. Ma la grafia ci ha traditi.  Infine, i più rassegnati, o i più saggi, per così dire, “si portavano avanti con il lavoro”.

Sapendo che prima o poi sarebbe toccato a tutti, compilavano preventivamente qualche pagina, magari durante l’intervallo. Così, al momento della punizione, una parte del compito sarebbe risultata già fatta.

Mi è restato dentro un senso di angoscia e di rabbia per quella che mi sembrava un’assurda ingiustizia. Non so se lo fosse davvero, ma io, quando ci penso ora, ancora la vivo così e ricordo l’odio, vero odio, che provavo per quella chiave, chiunque l’avesse, quando si arrivava alla fine delle lezioni.

E, comunque, ho 84anni, vivo ad Aosta da 56 anni eppure parlo ancora il dialetto con i miei figli e con coloro che lo capiscono e, quando torno al mio paese, sento parlare tutti dialetto tranne coloro che vogliono fare risaltare il loro alto livello culturale rendendosi ridicoli alla popolazione intera.

Non ha funzionato.

Fonte:  srs Giuseppina Verza


Feb 14 2009

Francia, le musulmane nelle scuole cattoliche per indossare il velo

Category: Religioni e rasie,Scuola e universitàgiorgio @ 22:27

MARSIGLIA  (Francia)

Migliaia i giovani di fede islamica che frequentano istituti cattolici per aggirare le legge sulla laicità

Frequentare una scuola cattolica per indossare il velo islamico.

In Francia sono ormai decine di migliaia le ragazze musulmane che studiano in istituti cattolici privati per aggirare la legge sulla laicità dello Stato che vieta di ostentare simboli religiosi nelle scuole pubbliche francesi.

 Il New York Times dedica un ampio reportage a questo crescente fenomeno e sottolinea che le giovani musulmane scelgono gli istituti cattolici proprio perché qui sono tollerati tutti i simboli religiosi, anche quelli appartenenti a religioni diverse da quella cattolica romana.

CIFRE 

La maggior parte degli studenti, in alcuni istituti privati cattolici, è di religione musulmana. 

Addirittura nel collegio di St. Mauront, a Marsiglia, la presenza di alunni di fede islamica raggiunge la percentuale record dell’80%. 

Gli istituti musulmani in Francia sono solo quattro e per questo le 8.847 scuole cattoliche sono diventate l’ultimo rifugio per quei tanti musulmani che considerano la legge sulla laicità dello Stato qualcosa di ingiusto e liberticida. 

Secondo le statistiche diffuse dagli insegnanti francesi oggi le scuole cattoliche transalpine sono frequentate da circa due milioni di ragazzi: oltre il 10% degli studenti sono di religione musulmana.

TOLLERANZA 

Gli alunni di origine musulmana che frequentano la scuola cattolica di St. Mauront si dichiarano felici di non studiare in un istituto pubblico: 

«Qui almeno c’è rispetto per la nostra religione» taglia corto Nadia, studentessa di 14 anni di origine algerina. 

«Nelle scuole pubbliche non potrei mai indossare il velo». 

Anche gli esponenti del mondo religioso musulmano fanno notare le contraddizioni insite nella scuola francese. 

«La laicità è diventata la religione di Stato e la scuola repubblicana il suo tempio» afferma Imam Soheib Bencheikh, ex Gran Muftì di Marsiglia e oggi fondatore dell’Istituto di Alti Studi Islamici.

 «È ironico, ma oggi la Chiesa Cattolica è molto più tollerante dello Stato francese quando si parla di Islam» conclude Bencheikh che ha una figlia che frequenta una scuola cattolica. 

Gli istituti cattolici in Francia hanno un costo relativamente basso rispetto ai collegi privati delle altre nazioni: in media i genitori spendono 1400 euro per le scuole medie inferiori e 1800 euro per quelle superiori.

LIBERTÀ RELIGIOSA 

Jean Chamoux, direttore dell’istituto di St. Mauront, lavora in questa scuola da circa 20 anni: 

«A differenza della scuola pubblica noi crediamo nella libertà religiosa» afferma il preside. 

«Se proibissi alle ragazze di portare il velo, la metà degli studenti che oggi sono in queste classi non andrebbe a scuola. Preferisco averli qui, parlare con loro e spiegare che esse sono ragazze fortunate perché possono scegliere». 

Naturalmente anche nel collegio di St. Mauront non regna sempre l’armonia. 

È lo stesso preside Chamoux a confessare che probabilmente una minoranza delle studentesse è costretta dai genitori a portare il velo. 

Inoltre quando vi sono le lezioni di nuoto, tanti familiari fanno rimanere a casa le proprie figlie per evitare che mostrino parti del corpo o che nuotino in piscina con dei ragazzi. 

Infine Chamoux sottolinea che anche le libertà religiose hanno un limite: quando gli studenti musulmani gli hanno chiesto di togliere dalla classe il crocifisso per poter pregare «liberamente» durante i giorni del Ramadan, egli non ha voluto sentire ragioni e non ha mosso dalla parete il simbolo cristiano.

 

CRITICHE

 

Le considerazioni dei fautori del secolarismo sono totalmente diverse da quelle del preside Chamoux. 

Secondo costoro bisognerebbe rafforzare ulteriormente lo spirito laico dello Stato affinché alcuni dei valori occidentali quali il rispetto della donna e le libertà personali continuino ad essere principi inviolabili: «Il velo è un simbolo sessista e attesta la sottomissione della donna all’uomo» afferma Xavier Darcos, ministro dell’educazione francese. 

«Nella nostra scuola repubblicana non vi può essere posto per la discriminazione sessuale».

 

 

 

Fonte: srs di Francesco Tortora /da www.corriere.it/30 settembre 2008


Feb 12 2009

Esempi di Vita – Steve Paul Jobs agli studenti di Stanford: “Non accontentatevi mai”

Category: Cultura e dintorni,Informatica,Scuola e universitàgiorgio @ 17:02

Il 12 giugno 2005 è stata la giornata speciale per i laureandi di Stanford, una delle più famose università al mondo, con sede nel cuore della Silicony Valley. Ma è stata anche la  giornata speciale di Steve Jobs, invitato a tenere il commencement address, il discorso augurale per i neo-laureati.

Il vostro dovere è “non accontentarvi e pensare l’impossibile”. Questo il consiglio di Steve Jobs ai laureati di Stanford ai quali ha parlato nei giorni scorsi. 

Ecco,  l’intervento del fondatore Apple che è un sunto della sua filosofia  per il lavoro e per la vita. 

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Gen 28 2009

Maestra Marina, la mia maestra Marina

Category: Scuola e università,Veja migiorgio @ 19:27

 

Marina è la mia maestra di italiano, storia e musica.

Marina ha cinquantacinque anni, la sua attività lavorativa è fare la maestra e adesso si trova a scuola ad insegnarmi tante cose.

La sua corporatura è robusta, il suo viso è ovale, la sua espressione è allegra. 

Gli occhi neri e il naso normale.

La sua bocca è giusta e i suoi capelli sono biondi.

Indossa dei pantaloni neri, una maglietta marrone, delle scarpe nere con un fiocchetto, un bracciale e gli orecchini d’oro.

Il suo atteggiamento è allegro, la sua voce è bella e il suo hobby è: pianoforte, camminare, suonare la chitarra e leggere.

Marina è gentile.

Lei è la mia maestra, ma io la sento come se fosse una mia parente.

 

Nora


Gen 28 2009

Università: la maestria dei docenti

Category: Scuola e universitàgiorgio @ 17:44

Pronunciata con una soave erre moscia, la docente spezza la sua lezione con un: 

“Scusate ragazzi, ma io adoro sentire parlare me stessa”
.
Fonte: Università di Verona, scienza della formazione

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Gen 28 2009

UNIVERSITA’ ITALIANA: FUGA DAI BARONI

Category: Scuola e universitàgiorgio @ 17:21

Paolo De Coppi

 

In un’intervista pubblicata sul quotidiano La Stampa, Paolo De Coppi, il ricercatore padovano che lavora allo studio sulle cellule staminali nel liquido amniotico, afferma che in Italia non avrebbe mai avuto la possibilità di portare avanti le sue ricerche. Per quali motivi? Per diverse ragioni. 

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Dic 09 2008

Cara università ho visto cose che voi umani …

Category: Scuola e universitàgiorgio @ 11:46

Cara università ….ho visto cose che voi umani non potete neanche immaginare…erano figli, mogli, nipoti, amanti, nonne, nonni, portaborse, leccaculo, cugini, amichetti, amichette, servi dei sindacati, dei partiti, delle conventicole, massoni, scribacchini, “tecnici laureati”, avventizi, semilavorati del sapere, balordi, sbalorditi, comari, compari, mandati in cattedra al posto di studiosi di valore

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