di Fabrizio Fiorini
Con tutto il rispetto dovuto alla figura del Presidente della Repubblica, per imprescindibile senso civico nonché ai sensi dell’art. 278 del codice penale, nonché per la riverenza dovuta alla sua carica istituzionale e costituzionale che – dice la stessa Carta – dovrebbe avere come caratteristica primaria quella di “rappresentare l’unità nazionale”, quindi tutte le componenti sociali, anche i proscritti, gli esclusi, i diseredati, è tuttavia d’obbligo contestare all’ottuagenario Capo dello Stato una qualche lentezza nelle sue constatazioni, una vagamente scarsa avvedutezza nella rilevazione dei fenomeni sociali, politici ed economici che riguardano non già l’ovattato mondo dei mercati finanziari, bensì la vita e spesso, purtroppo, la mera sopravvivenza di milioni di connazionali.
Nel corso della recente visita nella Venezia Giulia, il presidente ha affermato, lapidario: “se i giovani non trovano lavoro, l’Italia è finita”.
E se ne accorge ora, signor Presidente?
Lei è nella politica e nelle istituzioni da oltre sessant’anni e se ne accorge ora?
Non potrà dire anche lei: “eh, ma è la crisi”; non è stato un fenomeno istantaneo, che uno si sveglia la mattina e “c’è la crisi”.
Non c’è stata una guerra lampo, non hanno bombardato le fabbriche, non hanno chiuso le università e le scuole, non hanno spruzzato il diserbante sui campi e avvelenato i pozzi da un giorno all’altro.
L’Italia, signor Presidente, è finita da un bel po’.
Non è facendo assumere un migliaio di giovani al call-center o all’Ikea che si risolve tutto.
A voler essere pignoli, Eccellenza, l’Italia è già “finita” centinaia di volte
da quando Lei abita le stanze del potere.
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