Mar 07 2019

L’ORIGINE REMOTA DEL CARNEVALE VERONESE

Papà del Gnoco

 

 

L’origine remota del Carnevale Veronese secondo le teorie del grande studioso scaligero Umberto Grancelli, fautore del grande testo sulla rinascita e rifondazione della città “nova” di Verona; voluta dal nascente Impero Romano e attuata sotto precisi dettami esoterici.

 

IL CARNEVALE VERONESE

 

Non è fuor luogo ammettere che il Carnevale Veronese trovi le sue origini nelle antiche corse dei Palio, sancite dallo Statuto Albertino e che trovano magistrale eco nel canto XV dell’Inferno della Divina Commedia. “E parve di coloro che corrono a Verona il drappo verde per la campagna; e parve di costoro quelli che vince, non colui che perde”Narra la tradizione, riportata dagli storici dell’umanesimo, che Ezzelino, dopo aver vinto la fazione dei Sanbonifacio, rientrò a Verona nella prima domenica di Quaresima del 1208 con entusiasmo e con giostre e tornei; si stabilì che ogni anno si corresse il Palio, al quale per rinnovati trionfi accorrevano molti onorati cavalieri e nobilissime dame da molte parti d’Italia.

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Gen 20 2019

LE DROGHERIE, LA PEARA’ E LA CITTA’ SCOMPARSA

La storica insegna: oggi c’è un negozio di abbigliamento

 

 

VERONA- Se, nel Medioevo, con il pepe, i veneziani pagavano il dazio ai longobardi, questa, che resta la più famosa delle droghe orientali, è una protagonista della nostra cucina. Dalla leggenda alla storia, con il pepe, grazie al libro di Andrea Brugnoli dal titolo Magna e tasi.

 

Curiosamente, ricorda Brugnoli che la prima attestazione del nome «pearà» riguarda un possidente di nome Ato, soprannominato Pearà, appunto, che, nel 1141, aveva terreni al Boschetto, fuori Porta Vescovo.

La pearà, definita piperata, nella Verona medioevale, è citata, come ci ricorda sempre Brugnoli, negli statuti del 1319: doveva essere fatta con il pepe,a cui andavano aggiunti zafferano, cannella e zenzero.

 

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Dic 16 2018

QUANDO UNA VOLTA SI FACEVA IL BUCATO A MANO

 

 

CUAN ‘NA OLTA SE LAVAVA DO LE ROBE A MAN  

 

Sino agli anni ’60 del XX° secolo lavare i panni era un “affare serio” in quanto richiedeva molta fatica e molto “ojo de gombio” e necessitava di diversi giorni, a differenza dei tempi contemporanei ove con l’ausilio della lavatrice e dell’asciugatrice nel volgere di alcune ore si risolve il problema senza la minima fatica. Infatti, sebbene i primi elettrodomestici con funzione di lavapanni, denominate in seguito lavatrici, risalgano ai primi anni ’40, fu solo con lo sviluppo economico degli anni ’60 e ’70 che la lavatrice ebbe una notevole diffusione nelle abitazioni dei nostri monti Lessini e un po’ ovunque nelle periferie italiane.

 

Prima di allora il bucato si lavava a mano, innanzitutto non si disponeva di un detersivo o di un ammorbidente già pronto all’uso per cui era necessario produrselo. Due tre giorni prima di quando si stabiliva di fare l’operazione di lavaggio, si metteva da parte della cenere del focolare che veniva riposta in un bidone in metallo che si riempiva con dell’acqua. Dopo un paio di giorni il bidone si poneva sul fuoco e l’acqua contenuta veniva fatta bollire, ottenendo così’ la “lìssia” che costituiva il detersivo del passato.

 

Migliore era il legno bruciato nel focolare o nella “stua” e migliore era la cenere prodotta che, se di qualità arrivava addirittura ad essere fine e bianca.

 

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Dic 02 2018

STELE FUNERARIA DI UN CAVALLO

 

Stele funeraria di un cavallo  ( I secolo d.C.) da Brescia.   – Museo Lapidario Maffeiano (Verona)

 

 

” Tu che eri solito superare gli uccelli vaganti e vincere i venti, ora non pascoli più nei boschi toscani o siculi, ma in questa tomba.”

 

 

Al cavallo morto, raffigurato mentre  incede verso sinistra, è dedicata l’iscrizione in versi nella parte superiore della stele.

 

Alcune lapidi funerarie di età romana, poste a ricordo di cavalli, sono state ritrovate  anche in altri luoghi della Venetia, e questo è un elemento di grande interesse poiché attesta in epoca romana  la  continuità di una pratica  funeraria  diffusa presso i Veneti fin dall’età del Ferro ( peraltro noti allevatori di pregiate razze equine).

 

Essi usavano talvolta seppellire cavalli  all’interno delle loro necropoli, sia in fosse  semplici  ed isolate dalle tombe degli uomini, sia in sepolture  solidali,  sia in veri e propri cimiteri  di soli cavalli, come quello scoperto ad Este(Padova)

Sempre a Este una sepoltura di 22 cavalli disposti intorno a quelli di un cavaliere di rango.

 

Strabone   ci racconta che  gli antichi veneti sacrificavano i cavalli e li seppellivano, senza che le loro carni fossero state consumate dopo il sacrificio, per farne dono ai loro eroi defunti, aggiunge che sacrificavano cavalli bianchi a Diomede, un eroe greco reso celebre dall’Iliade di Omero.

 

Fonte: Museo Lapidario Maffeiano ( Verona )

 

 

 

 

 


Nov 25 2018

IL GRIFO

Category: Storia e arte,Verona storia e artegiorgio @ 14:53

DI grifi del portale ovest del Duomo di Verona, opera di Niccolò, del  1139. 

 

 

Animale fantastico, genericamente con becco e ali d’aquila e corpo di leone, il grifo può presentare varietà fisionomiche: grifo-uccello, con corpo di leone e testa di uccello, con o senza ali, zampe anteriori di rapace e posteriori di felino; grifo-leone, con corpo leonino, con o senza ali, e coda d’uccello (d’Agostino, 1994, p. 155).

 

Il tema iconografico ebbe origine in Mesopotamia e in Egitto intorno al 3000 a.C. (Bisi, 1965, p. 254), sebbene Erodoto (III, 116; IV, 13, 27) ritenesse il grifo originario della Scizia (d’Agostino, 1994, p. 156).

 

Controversa l’origine del nome: secondo Bisi (1965, p. 202) “i Greci coniarono per un motivo straniero un nome nuovo e prettamente ellenico”, mentre per altri la parola deriverebbe da una contaminazione con l’ebraico kerub, assimilabile ai cherubini dell’antica tradizione biblica, ovvero quelle sfingi alate a loro volta “derivate dal motivo dei grifi a guardia dell’albero della vita, frequenti sui sigilli siriaci e mitannici del secondo millennio a.C.” (Bussagli, 1991, p. 18).

 

Frequentemente raffigurato nell’arte achemenide della Persia, il grifo divenne per gli Ebrei il simbolo della dottrina persiana dei Magi (Chevalier, Gheerbrant, 1973).

 

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Nov 23 2018

CALCOLARE L’ORA SOLARE A VERONA CON LA TORRE DEI LAMBERTI

Category: Natura e scienza,Verona storia e artegiorgio @ 00:16

 

Verona Torre dei Lamberti 

 

 

Come facevano nel medioevo a calcolare il mezzogiorno per tarare l’ora e suonare il Rengo o la Marangona? 

 

Ore 12.20

 

Usavano  la grande meridiana di Verona, la torre dei Lamberti, o meglio  lo gnomone della torre dei Lamberti, il pilastro rivolto a sud della cella campanaria.

 

Il sole proietta la sua ombra sul pavimento della cella campanaria

 

Al mezzogiorno solare di Verona, che corrisponde   alle ore 12.20, minuto più minuto meno, il sole nel suo percorso trafilava dal profilo del pilastro e colpiva lo stilo piantato nel pavimento della cella,  di cui attualmente rimane solo la base.

 

Colpisce al centro la colonna dello stilo piantato sul pavimento, e andato distrutto

 

In questo modo sapevano esattamente il mezzogiorno solare di Verona.

 

Dello stilo rimane solo la base, che ho evidenziato

 


Nov 05 2018

VERONA – DOGANA DI SAN FERMO. FATTA QUASI A DISPETTO DI VENEZIA

Via Dogana – 37121 – Verona, Veneto

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Scipione Maffei, esponente tra i più prestigiosi dell’aristocrazia veronese, nella prima metà del Settecento, propose al vecchio governo della Serenissima un Consiglio politico in cui prospettava un regime parlamentare rappresentativo dei cittadini su modello di quello inglese. E quello, aveva ragione l’aristocratico preveggente, era lo sbocco inevitabile, se Napoleone non avesse distrutto Venezia e venduto la libertà dei Veneti all’Austria. 
C’era quindi tra l’élite di Verona e della Terraferma un’aria di fronda specie verso la  metà de Settecento, in cui si inquadra la costruzione e il conseguente conflitto, tra il governo centrale e il governo locale, che qui riportiamo. E che costò all’erario veneto ben 36mila ducati al posto dei 12mila previsti.
Ringrazio il veronese Lorenzo Magnabosco per la segnalazione. 
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Nell’anno 1746 si avvia al termine a Verona, alle spalle della Basilica di San Fermo, la costruzione ella nuova dogana di terra. Iniziata appena l’anno precedente, è stata costruita a tempo di record.

 

Ma il suo completamento, lungi dal rappresentare un momento di festa, segna l’esplodere di una polemica che vede contrapposte la suddetta Verona e la Repubblica di Venezia. Motivo del contendere, lo spirito secondo il quale Verona ha progettato e costruito l’edificio pubblico: una mai troppo celata insofferenza alla dominazione veneziana, stavolta uscita decisamente allo scoperto. Un atteggiamento che, ovviamente, la Dominante non poteva accettare passivamente: di qui un’aspra contesa che, per la Serenissima, si sarebbe conclusa con una vittoria dal sapore amaro.

 

Ma andiamo con ordine, ricostruendo innanzi tutto le vicende che portarono alla necessità oggettiva, per Verona e per la Repubblica del Leone, di disporre di un nuovo punto di sdoganamento e di controllo sanitario delle merci che viaggiavano via Adige.

La città scaligera, da secoli nodo di vitale importanza per il commercio, aveva conservato tale ruolo primario anche in età veneziana.

Eccezionale era l’importanza della via fluviale dell’Adige, corso d’acqua navigabile quasi per intero: per la sua posizione privilegiata sulle rive di questo fiume, Verona era diventata un punto d’accesso di fondamentale importanza per le merci che entravano nel territorio della Serenissima. E il suo ruolo divenne ancor più determinante dopo che, in seguito alla scoperta dell’America, i grandi traffici marittimi si andarono via via spostando verso le acque dell’Atlantico, portando ad una consistente riduzione dell’importanza di Venezia. Proprio l’Adige, infatti, divenne una via di comunicazione privilegiata nei traffici fra l’area mediterranea e il nord delle nascenti potenze commerciali, Inghilterra ed Olanda.

 

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Ott 28 2018

LA FESTA DEI MORTI DE ‘NA OLTA” SU PAR I NOSTRI MONTI DELLA LESSINIA

Cimitero di Roconi

 

 

La Commemorazione dei defunti (in latino Commemoratio Omnium Fidelium Defunctorum, ossia Commemorazione di Tutti i Fedeli Defunti), è una ricorrenza della Chiesa cattolica.

Anticamente preceduta da una novena, è celebrata il 2 novembre di ogni anno. Nel calendario liturgico segue di un giorno la festività di Ognissanti del 1º novembre. Il colore liturgico di questa commemorazione è il viola, il colore della penitenza, dell’attesa e del dolore, utilizzato anche nei funerali; è possibile usare anche il nero.

 

Nella forma straordinaria del rito romano è previsto che, nel caso in cui il 2 novembre cada di domenica, la ricorrenza sia celebrata il giorno successivo, lunedì 3 novembre. In Italia, benché molti lo considerino come un giorno festivo, la ricorrenza non è mai stata ufficialmente istituita come festività civile.

 

L’idea di commemorare i defunti in suffragio nacque su ispirazione di un rito bizantino che celebrava infatti tutti i morti, il sabato prima della domenica di Sessagesima – così chiamata prima della riforma liturgica del Concilio Vaticano II° – , ossia la domenica che precede di due settimane l’inizio della quaresima, all’incirca in un periodo compreso fra la fine di gennaio ed il mese di febbraio.

 

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Ott 21 2018

LA CGIL PROTESTA PER LA STORIA VENETA. MASSIMO TOMASUTTI RISPONDE

Category: Monolandia,Veneto e dintorni,Verona storia e artegiorgio @ 01:01

 

 

Mi segnala l’amico e storico Massimo Tomasutti, che in una lettera al Gazzettino, la dirigente della Cgil scuola del Veneto, si lamenta del fatto che Zaia voglia far insegnare la storia veneta nelle scuole (orrore!) mentre dovremmo far studiare l’influsso della civiltà italiana nella formazione della civiltà veneta. (A noi veneti che sappiamo la storia parrebbe dover esser il contrario. Studiare l’influenza della civiltà veneta in Italia). Risponde Tomasutti in maniera mirabile, tanto che è riuscito a commuovermi e a riempirmi di orgoglio. Ecco la sua lettera al giornale:

 

Gentile Direttore Papetti,

 

La lamentela espressa su queste pagine dal Segretario Regionale Flc Cgil Marta Viotto secondo cui nelle dichiarazioni pubbliche rese dal Governatore Luca Zaia – conseguenti alla firma dell’intesa tra Ministero dell’Istruzione e Regione Veneto per l’individuazione di percorsi didattici per sviluppare lo studio e la conoscenza della cultura e della storia veneta -, fossero assenti i ‘necessari’ riferimenti ai legami storici e culturali del Veneto con l’Italia non può lasciare indifferente chi, come lo scrivente, allo studio e all’insegnamento (molto precario e talvolta gratuito) della storia veneta ha dedicato tanto tempo, fatica e moltissima passione.

 

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Ott 10 2018

LA PIETRA CHE HA CAMBIATO LA STORIA DE L’ARENA DI VERONA

Tabella in pietra con il numero LXIII    (63) 

 

 

Tutti noi sappiamo: ce  l’hanno detto, e l’abbiamo letto,  che l’Ala dell’Arena è crollata a seguito del terribile terremoto  del 1117,   questa pietra ci dice  che non è vero.

 

Negli scavi archeologici, effettuati in via Mazzini  tra il 1997/1998 , uno dei blocchi incastrati nelle mura tardo romane   recava scolpito il numero LXIII.  (63).  Quella pietra apparteneva all’anfiteatro posizionato  a fianco   di uno dei quattro archi “sopravvissuti”  dell’ala esterna che ha il numero LXIII (64). 

 

L’arco dell’Ala con il numero LXIIII  (64)

 

 

Il dato è importantissimo: indica che l’anello andò distrutto non durante il terremoto del 1117, ma in occasione della costruzione della seconda cinta muraria della città….

 

Forse per recuperare materiale per la costruzione delle mura,  ma soprattutto per diminuire l’altezza  dell’edificio   che, malgrado le nuove mura della città fossero più alte di circa 6 metri delle precedenti,      era ritenuto pericoloso  in caso di attacco se conquistato dai  nemici… L’Arena venne abbassata di circa 12  metri   e mantenne comunque la normale  funzionalità della cavea  interna.

 

Rimane sempre aperto il periodo della distruzione dell’ala, eterna diatriba,  che va dal  265, Imperatore  Gallieno,  al  493-506  di   Teodorico il Grande 

 

 

 

 

 


Lug 17 2018

IL VULCANO DEL MONTE BALDO: VERITÀ O LEGGENDA

 

 

Si dice che in tutte le leggende ci sia un fondo di verità… e per questa, infondata, che riguarda il Monte Baldoesiste perlomeno qualche spiegazione sul perché sia nata.

 

Dai tempi antichi una convinzione popolare (ancora prima che una vera e propria leggenda) sostiene infatti che il Monte Baldo, che primeggia sulla costa veronese del lago di Garda e anche all’interno, ammiccando verso la Lessinia, sarebbe un vulcano, oggi spento o inattivo.

 

In questa falsa convinzione, nel tempo, sarebbero caduti anche diversi studiosi, associando la vivace attività sismica attorno al lagoproprio a una ipotetica natura vulcanica del Baldo.

 

Da ricordare in questo contesto, come spiega Leggende, curiosità e misteri del lago di Garda, vi sono i riferimenti leggendari alla distruzione di antiche città sepolte e sprofondate nel lago(come la prima Toscolano o la prima Garda, ma non solo), devastazioni dovute a terribili movimenti tellurici intervenuti in tempi antichi o più recenti, come dimostrano i due terremoti di Salò nel 1901 e nel 2004, che hanno contribuito a rafforzare questa reputazione particolare della montagna. Ma c’è molto di più.

 

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Mag 31 2018

MULINO DI PALASIO

Isola della Scala,   Mulino di Pallasio

 

 

Isola della Scala.  Il Mulino del Palasio si trovava lungo il fiume Tartato all’altezza di Via Degli Emili. Il nome deriva dal fatto che annesso al mulino vi era un altro edificio attualmente visibile percorrendo la via. In alcuni documenti del ‘500 viene indicata la presenza di quattro ruote da macina; sul finire del ‘500 venne aggiunta una pila da riso.
A partire dai primi anni del ‘900 la Privilegiata Impresa Einstein gestita dai fratelli Rudolf e Hermann Einstein, padre del più noto premio nobel Alfred, installò un generatore che sfruttava la forza del fiume per la produzione di energia elettrica. 

 

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Gen 13 2018

BREONIO LA CHIESA DISTRUTTA DI SAN MARZIALE

Category: Chiesa veronese,Lessinia,Verona storia e artegiorgio @ 00:59

La “vecchia” chiesa con il solo campanile intatto che sfiderà i secoli a venire

 

 

L’abbandono della chiesa “vecchia” di Breonio, – frazione del comune di Fumane (VR)- un esempio di volontà distuttiva a favore di nuovi edifici religiosi.
La “vecchia” chiesa di Breonio, di cui ora rimane solo qualche brandello del muro di cinta però con il campanile ancora nel pieno della sua possenza, fu abbattuta con la falsa scusa dell’instabilità dell’edificio. Nessuno ne vuole parlare apertamente nel paese, anche gli stessi abitanti vogliono dimenticare gli scempi che in un certo qual modo coinvolgono tutti.
Possiamo definire questo atto : l’ostinazione verso l’abbandono coatto di un tempio sacro e monumentale. Fu il prete del paese che nei primi anni del dopoguerra decise di abbattere la Vecchia chiesa e assieme abbandonare il piccolo e bellissimo cimitero adiacente che porta al centro, su di una cappella di familia, una croce celtica retaggio delle credenze pagane di quella fiera gente che fra le pietre e la piccola agricoltura fondava la sua economia quotidiana.

 

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Ott 13 2017

VERONA: IL TOPONIMO DI DELO DI MIZZOLE

Category: Verona cultura varia,Verona storia e artegiorgio @ 00:08

Il  pianoro di Delo di Mizzole

 

 

Storia e studio linguistico a cura del Dott. Gioal Canestrelli, Presidente dell’Istituto di Archeologia Sperimentale Fianna apPalug

 

DELO. Il toponimo “Delo” deriva senza ombra di dubbio dalla parola greca “Delos” dal significato di “Luminoso”; la sua persistenza, anche in forme composte, per quanto rara, tanto nella cognomastica quanto nella toponomastica italiana viene sempre ascritta al termine greco (1).

Nel caso specifico di Delo di Mizzole, per quanto il legame con la radice greca sia indissolubile, l’origine del nome sembra però relazionato più che altro ad una realtà storica collegata al termine “Delos” trasversalmente ed idealmente.

 

Già sito neolitico, sappiamo che l’area di Mizzole e Novaglie era densamente popolata nell’Età del Bronzo: gli scavi di Monte Pipaldolo e Monte Tesoro ci hanno restituito l’evidenza di due castellieri retici, insediamenti fortificati con mura a secco, datati tra il 1500 e il 1200 a.C. (2)

 

Entrambi gli insediamenti, in particolare quello di Monte Tesoro, dove ora sorge il monastero di San Fidenzio, sembrano strettamente collegati alla geometria sacra propria delle fondazioni dell’Italia antica (3), e incuriosisce la leggenda popolare che vorrebbe San Fidenzio edificato in prossimità o in sovrapposizione ad un tempio pagano dedicato al “Dio Sole” (4).

 

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Mag 02 2017

L’ORGANUM DI VERONA. IL MISTERIOSO E GRANDIOSO OROLOGIO ACUSTICO ROMANO AZIONATO DALL’ACQUA E REGOLATO DAL SOLE

Category: Verona storia e artegiorgio @ 00:07

 

Iconografia rateriana

 

 

Rovistando tra antiche pagine di storia veronese incontriamo continue e strabilianti invenzioni di segnatempo. Ora sembra di poter riconoscere un monumentale orologio di costruzione romana, raffigurato in una antichissima mappa di Verona «l’Iconografia rateriana» del IX secolo.

 

Guardando in alto, questa antica pianta cittadina del Codice CXIV-106, conservata presso la Biblioteca Capitolare di Verona, sulla destra, tra le costruzioni, osserviamo un enorme edificio a forma di Torre che sporge dietro i fabbricati, al di fuori delle mura cittadine, ai piedi della collina e lambito dall’Adige: L’Organum.

 

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